La mortale eredità delle guerre dei Balcani e le crescenti restrizioni alle frontiere obbligano i pastori della regione ad abbandonare la vita nomade
Pubblichiamo da Skendel Vakuf un reportage di Richard Maxfield per l'Institute for War and Peace Reporting (IWPR)
Di Richard Maxfield, Skendel Vakuf (20 Marzo '03)
Tradotto da: Carlo Dall'Asta
La vita di Ismet Fusko ha seguito uno schema fisso durante gli ultimi cinquant'anni. Durante i caldi mesi estivi, il pastore bosniaco badava al suo gregge prima di intraprendere un lungo e difficile viaggio attraverso l'ex Yugoslavia per trovare un territorio di pascolo più clemente per l'inverno.
Sulla strada, potevano esserci drammatici imprevisti. Una volta dovette guadare il fiume Sava ghiacciato per evitare le pattuglie di frontiera croate. In un'altra occasione, una delle sue pecore fece esplodere una mina anti-tank, uccidendo venti capi del gregge e lasciandolo a curarsi ferite da schegge nelle gambe.
Quest'anno, ha deciso che non poteva più arrischiare il viaggio attraverso il territorio bosniaco infestato di mine. Il sessantacinquenne ha raggiunto il crescente numero di pastori in Bosnia che hanno deciso di smettere l'attività.
Ogni anno, alla fine di Ottobre, con l'arrivo delle prime nevi in Bosnia, Fusko radunava il suo gregge alle pendici del monte Vlasic e lo conduceva 250 miglia ad est, verso le pianure e il clima più mite della Vojvodina nella Yugoslavia del nord.
"E' sempre stato un modo difficile per guadagnarsi da vivere" - dice Jovan Vujinovic, un altro pastore nomade del monte Vlasic. "Dalla guerra in poi, però, è stato quasi impossibile per noi vivere in questo modo."
Prima del conflitto, le dimensioni stesse e la geografia naturale dell'ex Yugoslavia avevano creato un ambiente perfetto per lo stile di vita nomade. Ogni inverno, i pastori riuscivano a sfuggire al rigido inverno delle alture bosniache e montenegrine guidando le loro pecore giù dalle valli fino alle ondulate pianure della Serbia e della Croazia.
C'erano gli inevitabili incontri con le forze dell'ordine e le occasionali dispute territoriali - ma questi problemi normalmente venivano risolti e i nomadi erano generalmente lasciati in pace.
Con lo smembramento della Yugoslavia i nomadi si sono all'improvviso trovati circondati - bloccati tra le mine terrestri nelle loro montagne di provenienza e le guardie di confine degli Stati di nuova formazione.
Finito un pasto a base di fragole selvatiche e acquavite di prugne, mentre i suoi cani badano al gregge, Jovan ricorda il vecchio modo di vivere e le difficoltà che incontra ora: "Guardati in giro. La Bosnia non ha che montagne e le pecore non possono sopravvivere qui durante l'inverno" dice. "Dobbiamo spostarci per sopravvivere."
Come molti allevatori del Vlasic, Jovan ha cominciato a lavorare in giovane età. Aveva solo 14 anni quando fece il suo primo viaggio in Croazia accompagnando suo padre e un gruppo di tre altri pastori. Quando alla fine suo padre si ritirò, il gregge fu equamente diviso tra i membri della famiglia. Mentre i suoi fratelli vendettero la loro parte per partecipare alla costruzione di una segheria e di un allevamento ittico, Jovan decise che avrebbe continuato la tradizione di famiglia, nonostante le intrinseche difficoltà del lavoro.
"Perfino prima della guerra c'erano problemi a muoversi da una repubblica all'altra in Yugoslavia" - dice. "La polizia cercava di prenderci e noi dovevamo pagare una multa se non avevamo i documenti giusti e i certificati veterinari."
I pastori passavano notti immersi fino al petto in acque gelide traghettando illegalmente in Croazia le loro pecore su piccole zattere attraverso il fiume Sava. In altre occasioni, nascondevano le loro pecore nel profondo delle foreste per evitare le attenzioni della polizia.
Ma verso la metà degli anni '90, nessuna quantità di stratagemmi poté più aiutare i nomadi a garantirsi l'accesso agli Stati di nuova formazione e ai loro più rigidi controlli di confine.
Negli ultimi anni, riescono ad arrivare solo fino alle rive dei fiumi Sava e Drina, nelle estremità nord ed est della Bosnia, dove lottano per la terra non solo con altri pastori, ma anche con gli abitanti del posto e con i rifugiati che ora vivono lì.
Le attuali difficoltà economiche della Bosnia hanno creato una grande tensione per la terra. Con la disoccupazione che in alcuni posti arriva fino al 65 per cento, la gente ha dovuto tornare a un livello di sussistenza e tutta la terra fertile è stata messa a frutto.
Tradizionalmente, i mesi d'estate davano tregua ai pastori della Bosnia, che potevano fare una sosta nei loro difficili viaggi e tornare dalle loro famiglie sulle montagne. Dalla guerra in poi, però, anche le montagne non offrono più rifugio.
Guardando dal Vlasic, si può pensare che la guerra di Bosnia sia ora solo un lontano, infelice ricordo - il paesaggio appare sorprendentemente illeso dalla devastazione accumulatavi durante il conflitto. Ma la vera minaccia in Bosnia sta dieci centimetri sotto la superficie. Gli esperti sminatori che lavorano nella regione stimano che ci siano almeno 50 mila mine terrestri solo nella regione del Vlasic.
Nonostante gli ovvii pericoli, i pastori sembrano quasi non ricordarsene quando si muovono per i versanti delle colline. Jovan tira fuori una cartina spiegazzata dalla tasca posteriore, datagli dalle truppe di pace olandesi, che segnala i campi minati con minacciosi punti rossi. La mappa era ovviamente intesa come niente più che una guida approssimativa, ma Jovan la sventaglia come se possedesse poteri speciali che scacciano il male.
Nonostante la loro apparente convinzione nella propria invulnerabilità, comunque, quasi tutti i pastori raccontano di incidenti con le mine che hanno ucciso o ferito i loro animali. Le organizzazioni internazionali hanno cercato di incrementare la consapevolezza dei pericoli, ma hanno trovato difficile comunicare il loro messaggio perché i nomadi sono difficili da raggiungere.
Nonostante la loro grande capacità di adattamento, i cambiamenti dello scorso decennio hanno iniziato a riscuotere il loro pedaggio dalle popolazioni nomadi. Prima della guerra c'erano più di un centinaio di pastori nella regione del Vlasic - oggi ne rimangono solo un quinto.
Alcuni valutano la possibilità di ricevere dei rimborsi dalle autorità per il bestiame ucciso dalle mine, ma alla fine la vera questione è quella della terra che è scomparsa da sotto i piedi dei nomadi, e, purtroppo, nessuna somma di denaro riuscirà a portarla indietro.
Richard Maxfield è un reporter freelance che lavora in Bosnia.