Le nuove faraoniche residenze dei leader religiosi in Bosnia Erzegovina: il futuro centro della comunità islamica a Sarajevo e il palazzo del vescovo Kačavenda a Bijeljina. Le reazioni ai nuovi progetti e il dibattito nel Paese
"Siamo colpevoli noi stessi. Troppo a lungo abbiamo lasciato che ci guidassero gli ingiusti e gli ignobili" (Meša Selimović, "Il derviscio e la morte")
Il futuro centro della comunità islamica della Bosnia Erzegovina sarà collocato nel cuore della città vecchia di Sarajevo. Il capo dei musulmani bosniaci, reis Mustafa Cerić, e un gruppo di imprenditori, hanno festeggiato l'inizio della costruzione di un palazzone di 4.500 metri quadri, compreso l'appartamento privato del reis, di 300 metri quadrati. Il tutto costerà circa cinque milioni di euro.
Sembrava che la notizia sarebbe passata senza reazioni. Una lettera anonima di studenti della Facoltà Islamica a Sarajevo, mandata a 200 indirizzi, ha però portato la vicenda al centro di uno dibattito feroce.
Gli studenti invitano il reis a rinunciare alla costruzione del palazzo "in questi tempi difficili", e a riflettere sulla opportunità di intraprendere un progetto simile mentre "i veterani sono disoccupati e affamati, i pensionati scavano nei container, i profughi non sono ancora sistemati, e gli studenti non hanno i soldi per continuare gli studi". In più, si invita il reis a riflettere bene sulle persone con cui sta costruendo il palazzo, perché "non si tratta di imprenditori ma di personaggi infami che, mentre noi difendevamo la patria, si sono arricchiti".
Invece di ripensarci o di smentire i fatti, il reis Cerić ha attaccato tutti quelli che hanno osato opporsi alla sua intenzione. Dalle pagine del leale quotidiano "Avaz" ha attaccato gli studenti, il professore della Facoltà Islamica Mustafa Spahić (che in pubblico ha condannato l'idea) e "Oslobodjenje". "State diffondendo bugie e l'islamofobia", ha dichiarato il reis Cerić, accusando il quotidiano "Oslobodjenje" per la "continuazione di una politica genocida che cerca di distruggere i musulmani" e per "una propaganda anti-musulmana che rievoca i peggiori giorni dell'isteria anti-islamica dei bolscevichi."
Il reis Cerić e i suoi "controversi imprenditori" (così vengono definiti i criminali che si sono arricchiti dalla stampa vicina al reis) non hanno smentito neanche uno dei fatti citati nella lettera, e non hanno pubblicato quello che scrivevano gli studenti.
Quello che il reis Mustafa Cerić sta per intraprendere, la comunità cattolica lo sta già facendo. Costruiscono un nuovo centro a Sarajevo, un edifico delle dimensioni monumentali.
Entrambe le comunità sono state precedute da quella serbo-ortodossa.
Il vescovo ortodosso Vasilije Kačavenda, due anni fa, ha costruito una reggia reale a Bijeljina, una cittadina nel nord della Bosnia Erzegovina. "La Versailles serba", intitolava il reportage sul palazzo del vescovo Kačavenda il settimanale "Gloria", precisando che "quel palazzo si distingue per il lusso e la ricchezza esagerata."
Questo "pezzo di paradiso terrestre", come il vescovo Kačavenda definisce la sua reggia, è stato eretto sulle rovine di dieci case di musulmani uccisi o espulsi da Bijeljina. Anche due cittadini serbi sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, nel centro della città, per far spazio al palazzone vescovile.
Il giornalista e membro del Comitato di Helsinki per i diritti umani della Republika Srpska, Lazar Manojlović, che ha criticato il vescovo Kačavenda, è stato minacciato in pubblico di morte dallo stesso Kačavenda. Per gli stessi motivi un prete ortodosso, Radomir Marković, dal villaggio di Zagona, è stato attaccato da un gruppo armato di fedeli del vescovo.
"Le comunità religiose in Bosnia Erzegovina si sono allontanate dalla spiritualità. Abbandonano le idee, il morale, l'educazione; si stanno staccando dal mondo dei valori, e dalla gente. Tramite i palazzi e i monumenti vogliono mostrare il potere", ritiene il prof. Mustafa Spahić, duro critico del reis Cerić.
L'estate scorsa l'opinione pubblica mondiale fu indignata leggendo che il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, sta costruendo un palazzo reale, mentre il suo popolo vive in miseria e molti sono affamati. E in Bosnia Erzegovina, un paese europeo come rilevano le autorità bosniache, i mugabesi locali non badano a spese per sistemare le proprie ambizioni ben poco spirituali.
La Bosnia Erzegovina è tra i paesi più poveri in Europa. La disoccupazione, ufficialmente, è al 40 percento. In una costante crisi politica, il paese è de facto un protettorato della comunità internazionale dal futuro ancora incerto.
Secondo la Banca Mondiale, circa il 18 percento della popolazione della BiH è povera, altri 30 percento sono al limite della miseria. Soffrono pure quelli che non sono bisognosi, a "causa della collettiva povertà del paese", afferma l'agenzia internazionale The World Vision. Un recente sondaggio ha mostrato che "causa l'opprimente situazione in BiH, il 65,7 percento dei giovani vuole andarsene via."
Ci sono interi gruppi della popolazione bosniaca - gli orfani, i veterani, i disoccupati, le donne violentate, le vedove di Srebrenica, i profughi che ancora non hanno trovato sistemazione - che in qualche modo dipendono dagli aiuti umanitari.
"La maggior parte dei preti e degli imam in Bosnia Erzegovina attivamente, o con la passività, partecipano al processo di trasferimento della ricchezza sociale nelle mani di criminali e di individui senza scrupoli", sostiene l'analista del settimanale "Dani" Vuk Bačanović, che scrive di "associazione tra religiosi e criminali."
Quei pochi che si azzardano a criticare questi progetti vergognosi e il comportamento indegno dei capi, sia politici che religiosi, sono diffamati e attaccati per essere "anti musulmani", "anti croati", "anti serbi".
Nella Bosnia d'oggi vale, come mai prima, la massima dividi et impera. I bosniaci, divisi lungo linee etniche, inventano differenze, si vantano di radici opposte ma, malgrado tutto, sono uniti nella miseria.