40 anni fa il Comitato centrale del Partito comunista della Bosnia Erzegovina concedeva ai musulmani lo status di nazione. Le cause della confusione tra nazionalità e religione, le conseguenze per i laici, il ruolo dei leader religiosi nella Bosnia di oggi
"Non ci viene concesso di chiamarci bošnjaci (bosgnacchi), ma ci viene invece offerto il nome di musulmani... Accettiamo, anche se questo è sbagliato, perché si apra il processo di riconoscimento della nostra identità".
Sono queste le parole di Hamdija Pozderac, noto politico bosniaco, pronunciate 40 anni fa, quando i musulmani bosniaci furono promossi allo status di nazione, uno dei popoli costituenti della Jugoslavia.
Nel 1968, il Comitato centrale del partito comunista della Bosnia Erzegovina dichiarò: "E' stato dimostrato, e la prassi socialista lo ha confermato, che i musulmani (bosniaci) sono una nazionalità distinta".
Nel censimento del 1971, per la prima volta, venne inserita la categoria "musulmani" in senso di identità nazionale. I bosniaci che non si sentivano né serbi né croati, potevano dichiararsi "Musulmani", con la "M" maiuscola.
Promuovendo i musulmani bosniaci al rango di nazione, i comunisti credevano di aver "tagliato il nodo di Gordio" e di aver messo fine alle pretese dei nazionalisti sia serbi che croati, che consideravano i musulmani bosniaci come "parte del proprio gregge". La decisione presa fu una vittoria per i musulmani di Bosnia ma, purtroppo, nel nome allora scelto c'erano già i germi della futura tragedia.
"Ogni musulmano laico sapeva che una tale definizione non-secolare, per un popolo, o per una nazione, era fuorviante, e che sarebbe stata fatale sia per gli individui che per un intero popolo europeo", afferma l'artista bosniaco Damir Nikšić, meglio conosciuto per un video titolato "Se non fossi musulmano" ("If I wasn't muslim").
Nei primi 20 anni della Jugoslavia socialista l'Islam fu visto come una religione arretrata. Le scuole coraniche furono proibite, i dervisci messi fuori legge, molte moschee distrutte, chiuse o usate per altri scopi. I membri musulmani del partito ricevettero istruzione di non circoncidere i propri figli; le società culturali musulmane furono proibite o abbandonate.
A parte queste misure burocratico-restrittive, inizialmente la Jugoslavia socialista non andò lontano nella definizione di che cosa sono i musulmani bosniaci: una religione, una nazione o un gruppo etnico.
Alcuni fatti storici erano indiscutibili: i musulmani bosniaci appartenevano agli slavi del sud, arrivati nei Balcani nel settimo secolo dopo Cristo. Durante il dominio ottomano, molti bosniaci ed erzegovesi abbandonarono i loro legami con la Cristianità in favore dell'Islam. La questione dei musulmani, tuttavia, fu riconosciuta.
Al primo congresso del partito comunista del dopoguerra fu concluso che "la Bosnia non può essere divisa tra serbi e croati, non solo perché questi vivono mescolati su tutto il suo territorio, ma anche perché in Bosnia vivono i musulmani, che non hanno deciso sulla propria identità nazionale".
Si sperava che, col passare del tempo, i musulmani sarebbero divenuti serbi o croati. Ma nel censimento del 1948, 72mila musulmani si dichiarano serbi, 25mila croati e 778mila indecisi. Questo risultato fu sostanzialmente ripetuto nel censimento del 1953. Il numero di indecisi fu una solida prova di quanto i musulmani bosniaci non accettassero di essere croatizzati o serbizzati.
Rispetto alla libertà religiosa, in generale, nella Jugoslavia di Tito si registrò una certa apertura negli anni sessanta. In particolare la posizione dell'Islam, cioè dei musulmani bosniaci, venne a cambiare per una ragione speciale. Tito, insieme al presidente egiziano Nasser e a quello indiano, Nehru, fondava proprio allora il Movimento dei non allineati, ed aveva bisogno dei "propri" musulmani per rafforzare la sua posizione all'interno del nuovo movimento politico. Il cambiamento fu palpabile: all'improvviso l'origine musulmana fu "benvenuta" per chi voleva fare la carriera diplomatica.
La proclamazione dei musulmani bosniaci in nazione, che divennero cioè Musulmani, fu l'atto finale di un lungo processo che ha visto coinvolti molti intellettuali ed esponenti politici bosniaci, non necessariamente di religione musulmana, come ad esempio Branko Mikulić.
Da questo processo storico erano del tutto assenti i religiosi musulmani di Bosnia, gli ulema. Questo fatto va ribadito, visto che oggi i leader religiosi dei musulmani bosniaci negano qualsiasi ruolo e merito ai comunisti nella creazione della nuova nazione.
"Gli ulema e gli intellettuali musulmani non hanno scritto neanche una parola, figuriamoci un articolo o un libro, sui musulmani come popolo costituente in Bosnia", scrive il professor Alaga Dervišević, autore del libro "I bosniaci nella diaspora", e testimone di molti degli eventi che hanno contribuito a creare la nazionalità musulmana.
Anzi, per i capi religiosi il nome Musulmani (con la "m" maiuscola) "testimonia che i comunisti avevano ingannato i bosgnacchi dandogli un falso nome, e in questo modo li hanno separati dalla propria storia, terra e lingua".
Per questo, al congresso di Sarajevo del 1993, il nome Musulmani nel senso di una nazione fu cambiato in Bošnjak (Bosgnacchi).
Ma il cambio di nome non poteva certo invertire il tragico esito di un anno di guerra contro i musulmani bosniaci: attaccati, uccisi, violentati, derubati, cacciati dalle proprie case e terre, affamati, torturati, chiusi nei campi di concentramento, assediati, solo perché non volevano essere né serbi né croati. "Prima mi sentivo jugoslavo, poi bosniaco e adesso mi dichiaro musulmano, anche se non sono credente". Così il mio amico e collega Emir H. ha spiegato la trasformazione della sua appartenenza nazionale.
E' stato il pericolo a riunire i musulmani bosniaci, come conferma il leader della comunità religiosa musulmana in Bosnia, reis Mustafa Cerić: "Per il risveglio dei musulmani, Radovan Karadžić ha fatto molto più di quanto abbia fatto io stesso in cinquant'anni".
Oggi si stima che in Bosnia Erzegovina i bosgnacchi rappresentino tra il 50 e il 55 percento della popolazione. Non si può dire nulla di più preciso, perché non è stato fatto alcun censimento.
Nonostante il fatto che dal 1993 i musulmani, in senso nazionale, siano diventati bosgnacchi, ancora oggi la maggior parte degli appartenenti a questa comunità esprime la propria nazionalità con "la M maiuscola", si definisce cioè Musulmano.
Molti sono diventati religiosi, ma non tutti, e in tanti non riconoscono i leader religiosi come propri rappresentanti. In assenza di un forte movimento politico bosniaco di orientamento civile, i religiosi cercano di imporsi non solo come custodi di anime, ma anche come leader politici.
Lo stesso reis non è stato mai eletto, ma imposto nel 1993 come leader della comunità musulmana dal partito SDA Partito di Azione Democratica, ndr. Recentemente un gruppo di giovani musulmani ha proposto che gli venga assegnato un mandato a vita! La mossa ricalca così fedelmente le "iniziative spontanee" tanto care ai comunisti, che il settimanale "Dani" ha deciso di titolare "Lunga vita al compagno reis".
Troppe volte il nome di Cerić è stato legato alle tante appropriazioni indebite di aiuti inviati ai bosniaci. Niente è stato provato, ma di sicuro mentre i cittadini comuni lottavano per la vita, durante la guerra, Cerić si procurava un "modesto" appartamento di 240 metri quadri, appartenuto, una volta, ad un noto comunista bosniaco.
Poco tempo fa Cerić ha visitato i bosniaci originari di Prijedor (dove c'erano i campi di concentramento di Omarska, Keratem, Trnopolje), che oggi vivono negli Stati Uniti. Per partecipare a una riunione Cerić, e la sua "camarilla" hanno chiesto 3000 dollari!
Non si sapeva se ridere o piangere allo spettacolo che l'anno scorso ha visto Cerić nel ruolo di vera star: nello stadio olimpico di Kosevo, a Sarajevo, si sono festeggiati 600 anni di Islam in Bosnia! Un evento inventato di sana pianta, senza alcun fondamento o riferimento storico.
Lo sponsor principale dell'evento era la fabbrica di birra di Sarajevo, cosa a cui nessuno sembra aver fatto troppo caso, anche se gli ulema hanno reagito duramente al fatto che a Tuzla "si promuoveva in pubblico l'utilizzo di alcol" durante la fiera della rakija, un prodotto tradizionale bosniaco.
Il tentativo degli ulema di introdurre la religione negli asili nido provocò una valanga di reazioni negative, con petizioni dei genitori che non volevano che i piccoli venissero divisi per appartenenza religiosa. Cerić fu allora visto come l'ideatore dell'iniziativa.
Le dichiarazioni del reis Cerić talvolta sono tanto ridicole quanto insensate. Secondo lui, "la Turchia è nostra madre, ed il sultano Mehmed Fatih è il nostro Papa!"
La Turchia di oggi non ha niente a che fare con l'impero Ottomano, che ha conquistato e tolto l'indipendenza allo stato medievale di Bosnia. Il sultano Fatih fu un conquistatore che in nessun modo ha trattato la Bosnia diversamente dalle altre terre da lui sottomesse.
Fino a 20 anni fa era un insulto dare ai bosniaci dei "turchi". Quell'etichetta, durante la guerra, fu pretesto e giustificazione per la pulizia etnica ed i crimini. E adesso il reis lo ripete, e lo fa gratis.
"Cerić sta rovinando l'identità bosniaca, e ci sta imponendo quella turca", sostiene il direttore del settimanale "Dani", Senad Pećanin.
Confusi tra religione e laicità, appartenenza e identità, traumatizzati dalla guerra e resi inquieti dal futuro incerto, i bosgnacchi oggi confermano quello che 60 anni fa su di loro scriveva lo scrittore Meša Selimović ("Il derviscio e la morte"): "Siamo come un piccolo lago, troppo grandi per sparire, e troppo piccoli per diventare un popolo importante".