Prendono il via oggi i negoziati sul futuro status del Kosovo. Senad Slatina, intellettuale bosniaco e direttore dell'ufficio regionale del CEIS, si interroga su quali possono essere le conseguenze in Bosnia e nella regione se il Kosovo dovesse diventare indipendente. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Senad Slatina*
Traduzione di Ivana Telebak
Oggi a Vienna iniziano le trattative sullo status del Kosovo, il cui esito finale potrebbe avere implicazioni a lungo termine per i processi politici e i processi di sicurezza in tutti i Balcani, e in modo particolare in Bosnia ed Erzegovina.
Siamo sinceri, dalle dichiarazioni dei rappresentanti delle grandi potenze che stanno dietro queste trattative, è chiaro che la questione chiave è già stata definita, cioè che il Kosovo prima o poi sarà indipendente, e che l'oggetto delle trattative verte esclusivamente sullo status delle minoranze serbe che rimarranno a viverci.
Quali sono le conseguenze di questo sviluppo degli avvenimenti che ci si può attendere nel lungo o breve periodo sia nella regione che nella BiH?
Nel breve periodo, le aperte dichiarazioni sulla futura indipendenza del Kosovo sicuramente rafforzeranno il Partito radicale serbo (SRS) della Serbia, che ha già annunciato che non accetterà mai il riconoscimento internazionale dell'indipendenza del Kosovo e che in tal caso considererà la provincia serba come territorio occupato. Il più potente partito politico annuncia così la rinuncia serba al processo d'integrazione euro-atlantica e il ritorno alla politica del passato, cioè alla manipolazione degli interessi nazionali secolari. In queste circostanze, tutte le opzioni restano aperte. Bisogna ricordare che da sempre i campioni del SRS della Serbia sono stati i più forti sostenitori della tesi che in caso di indipendenza del Kosovo, la Serbia dovrà essere compensata con una parte del territorio della BiH.
Sembra che la comunità internazionale, così come le deboli istituzioni statali della BiH, non diano una grossa importanza a queste dichiarate minacce. Si crede, dunque, che le minacce di annessione di parte del territorio della BiH facciano solo parte della retorica politica serba, calcolata per suscitare la paura di una possibile indipendenza del Kosovo. Nessuno crede che la Serbia possa decidere di fare un'altra aggressione sul territorio di una BiH riconosciuta a livello internazionale. Questo prima di tutto perché come garante dell'accordo di Dayton, e al suo interno anche dell'integrità territoriale della BiH, ci sono gli Stati uniti come la forza militare più potente al mondo.
In questi argomenti ci sono tante cose infondate e probabilmente la maggior parte delle minacce serbe nei confronti della BiH sono soltanto una vuota retorica. Comunque nessuno può prevedere con sicurezza se una nuova aggressione verso il Kosovo potrebbe rafforzare questa retorica fino a sfociare in un reale pericolo politico, e al limite in un pericolo militare per la BiH.
Di importanza sostanziale per la BiH non sono le possibili decisioni di Belgrado, ma le inclinazioni politiche primarie che riguardo a ciò si svilupperanno fra i serbi della BiH , cioè nella Republika Srpska (RS).
E' evidente che i leader politici della RS cercheranno di evitare risposte dirette alle domande sulle possibili ripercussioni dell'indipendenza kosovara sulla BiH. Mentre a Sarajevo rifiutano in modo ostinato qualsiasi legame fra le due cose, a Banja Luka si agisce principalmente con nebbiose formulazioni oppure si avverte che l'indipendenza potrebbe essere un pericoloso precedente.
I leader politici dei serbi della BiH si trovano davanti ad una, probabilmente per loro, difficile ma in sostanza molto semplice scelta: seguire la retorica e l'orientamento dei radicali in Serbia, oppure dedicarsi senza riserve alla BiH e al suo futuro europeo.
Prima di questa scelta bisognerebbe calcolare onestamente quanto bene ha portato ai serbi negli ultimi 20 anni la politica che oggi fanno i Radicali della Serbia.
Dall'altra parte, bisogna analizzare tutte le paure che i serbi della Bosnia hanno riguardo ai processi di riforme nella BiH filo-europea del dopo Dayton.
E la decisione va presa. Da questa parte del Fiume.
* L'autore è direttore dell'ufficio regionale del Centro per le strategie di integrazione europea (CEIS)