Esce in Italia per Zandonai editore La città nello specchio, l'ultimo romanzo di Mirko Kovač. Una nuova saga familiare nel segno di una letteratura che non esiste più, quella jugoslava. La recensione
Mirko Kovač, romanziere, saggista, nato nel 1938 al confine tra la Bosnia Erzegovina e il Montenegro – è rivendicato da entrambe le piccole letterature regionali – va inscritto tuttavia, se ha ancora senso dirlo, nella letteratura jugoslava. Belgrado, la capitale, è il luogo della sua formazione – sono gli anni Sessanta e Settanta – e la città è in quegli anni un centro culturale e politico mondiale. Il paese attraversa il suo periodo storico migliore, tra riforme interne di struttura – scuola, sanità, diritto familiare – e la proposta politica internazionale dei «non allineati».
Kovač appartiene da subito al cerchio ristretto che si forma attorno al genio di Danilo Kiš, al gruppo della intellighenzia critica che caratterizza la letteratura jugoslava più aperta e libera del dopoguerra. E che sarà anche l’unica fragile opposizione al dilagare dei nazionalismi e delle pulizie e guerre etniche degli anni Novanta. Il libro con cui Kovač riscuote successo in Italia, La vita di Malvina Trifković (Anabasi 1994) – vicenda narrativa accattivante, libro a struttura epistolare ben congegnato – è in realtà il suo romanzo d’esordio (1970). Per dire l’importanza e la promessa di quel gruppo di scrittori, e anche il loro destino tragico, coerente con la fine cruenta della Federazione socialista: Kiš muore presto a Parigi nel 1989, in esilio volontario; Kovač, picchiato e minacciato di morte dagli uomini di Šešelj, fugge da Belgrado e si rifugia a Rovigno; Filip David rimane ma perde il lavoro; Matvejević si ritira in Italia; Vešović e Sidran sono chiusi in Sarajevo assediata…
Premessa necessaria questa per parlare de La città nello specchio, il nuovo libro di Kovač (Zandonai editore, traduzione di Silvio Ferrari), opera dell’ultima produzione dello scrittore di Rovigno (in lingua originale tre anni fa). È il romanzo della saga dei Kovač, della famiglia dello scrittore, e l’incipit non potrebbe essere diverso: «Il nonno diventò proprietario di una quarantina di dulum (ettari) di terra fertile lungo il corso del fiume Trebišnjica e sul versante montenegrino acquistò parecchi ettari di terreno boschivo e da pascolo». Un romanzo familiare che inizia con una elencazione proprietaria è un classico nelle letterature occidentali, ma è novità nei Balcani post-socialisti. Ecco di nuovo: la terra, la casa, il bestiame che segnano le cadenze, lo scopo, la buona o la cattiva sorte, di una cooperazione familiare.
Non mancano precedenti. Un piccolo capolavoro della letteratura europea in toto e della penisola balcanica in particolare è Il ruolo della mia famiglia nella rivoluzione mondiale di Bora Ćosić, esilarante storia di una famiglia piccolo borghese che fa il percorso inverso: dal liberismo al socialismo. Anche Abdulah Sidran, nel ritiro di Gorazde, sta portando a termine in questi mesi il «romanzo dei Sidran»: in scena è la famiglia operaia di origine – due zii morti nella resistenza, il padre incarcerato a Goli Otok – : motore e vincolo delle loro storie non è la proprietà ma la nascita e la fine della Jugoslavia. La Storia si direbbe.
Pulsioni diverse e cronache diverse. Ma tutte hanno al fondo spinte e bisogni identitari. Collassato il paese dove si è nati e ci si è formati, stravolte le ragioni della convivenza, le categorie e i sistemi, messe a registro piccole fini del mondo, cosa rimane se non percorrere a rovescio la storia di sé dentro la storia dei padri e degli avi? La città nello specchio di Kovač infine, più che un romanzo familiare è un «libro di famiglia», poderoso quaderno annotato, attraversato dal tempo magico del bambino e del ragazzo che narrano, più che da un tempo circolare di stagioni, e men che meno da un tempo storico. Le fasi storico-politiche della Jugoslavia appaiono e scompaiono insignificanti all’orizzonte dei fatti.
Il libro, che accumula fatti, si tiene al di qua della fiction e del romanzo, si attesta su una ricerca di senso. Lì nell’entroterra di Trebinje da dove, come un miraggio nello specchio, appare nei giorni di libeccio splendente sul mare Dubrovnik, la città magica.