Sarajevo, la Biblioteca (Foto Mik Pik)

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L'Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina dispone la formazione del governo federale dopo oltre cinque mesi di vuoto. La nomina del nuovo esecutivo avviene però in una confusione di regole che segnala l'esaurimento del sistema di Dayton, senza che un nuovo sistema sia in vista

01/04/2011 -  Andrea Rossini

La crisi che si sta sviluppando in questi giorni in Bosnia Erzegovina è una tra le più gravi che hanno colpito il Paese dalla fine della guerra. Il mondo guarda altrove, e gli esperti di questioni balcaniche concordano sul fatto che non c'è alcun rischio che la crisi degeneri in un conflitto aperto. L'assetto politico-istituzionale uscito da Dayton, tuttavia, si sta sgretolando sotto le picconate interne e internazionali. Il problema è che non c'è nessuna Dayton 2 all'orizzonte, e nessun accordo in vista per una riforma della Costituzione. Sul banco c'è solo una vaga promessa di integrazione europea, e il Paese è (di nuovo) sull'orlo di una crisi di nervi.

Diario della crisi

I fatti sono abbastanza complessi. Proviamo a riassumerli. Da oltre cinque mesi la Bosnia Erzegovina è senza un governo. Per formarlo, bisogna che prima vengano nominati i due governi delle entità, Republika Srpska (RS) e Federazione. Il primo c'è, il secondo non ancora. O meglio, non si capisce. Per formare il governo della Federazione bisogna infatti che vengano formate le due Camere del Parlamento. Ma perché questo avvenga, bisogna che prima siano formate le assemblee dei dieci Cantoni in cui la Federazione è suddivisa, e che queste eleggano propri rappresentanti alla Camera dei Popoli (una delle due Camere federali). In 3 di questi Cantoni questo non è possibile, per l'opposizione dei due maggiori partiti croato bosniaci, HDZ e HDZ 1990. I croato bosniaci protestano perché si sentono sottorappresentati, e anche per questo hanno iniziato un blocco (efficace) delle istituzioni.

Per superare l'ostacolo, i vincitori delle elezioni in Federazione (SDP e SDA) si sono alleati con due partiti croati minori (HSP e NSRZB) e hanno formato ugualmente il governo (17 marzo), nonostante una delle due Camere non sia formata. I due HDZ hanno però fatto ricorso alla Commissione Elettorale, sostenendo che la Costituzione era stata violata. Il ricorso è stato accolto. La presidente della Commissione Elettorale infatti, Irena Hadžiabdić, ha dichiarato (correttamente) che le procedure di elezione del presidente e vicepresidente della Federazione non erano state rispettate, esortando al tempo stesso le tre assemblee cantonali che ancora non lo avevano fatto ad eleggere propri rappresentanti nella Camera dei Popoli.

Deus ex machina

L'Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, Valentin Inzko, deus ex machina del funzionamento di Dayton, ha però congelato la decisione della Commissione Elettorale. Inzko ha stabilito per decreto che il nuovo governo era stato formato, in attesa di una decisione finale da parte della Corte Costituzionale. Con un colpo di scena, però, i croato bosniaci hanno ritirato il ricorso, dichiarando che era ormai inutile dopo l'intervento di Inzko. La Corte Costituzionale non deve più quindi pronunciarsi. Conclusione: il governo c'è. Ma fino a quando? E sopratutto, con che legittimità? L'esecutivo è in carica solo grazie ad un intervento dell'Alto Rappresentante che sospende la decisione della Commissione Elettorale. Alla confusione si mescola la tensione.

Valentin Inzko, in teoria, sarebbe l'ultimo Alto Rappresentante, anche se il Consiglio di Implementazione della Pace (PIC), che decide in materia, non si è ancora espresso chiaramente, neppure nella sua ultima riunione di mercoledì. L'atteggiamento di Inzko è sempre stato molto cauto. Questa volta ha suscitato dure reazioni. Specialmente tra i serbi di Bosnia. Milorad Dodik ha dichiarato (29 marzo) che la mossa dell'Alto Rappresentante, di sospendere la decisione della Commissione Elettorale, sospende la credibilità della comunità internazionale. Il leader dei serbi di Bosnia non è lontano dalle posizioni degli HDZ. Agita periodicamente lo spettro della secessione quanto gli altri quello di una terza entità. Se si facesse una terza entità, del resto, questo avverrebbe a spese della Federazione e non della RS. Insomma, il “grande gioco” riprende.

Quello che sta accadendo però, l'imposizione di un governo per decreto al di fuori delle normali procedure, travalica la (solita) dinamica bosniaca del confronto scontro tra nazionalisti e sostenitori di uno Stato pluralista. Lo segnala la lettera di un gruppo di intellettuali croati, ben lontani dalle posizioni dell'HDZ, che denunciano la marginalizzazione degli interessi dei croati nel Paese. Tra loro ci sono nomi non proprio di secondo piano, come quello di Miljenko Jergović e di Ivan Lovrenović, che mettono in guardia contro la “pericolosa manipolazione” del volere espresso dai cittadini nelle urne. Inoltre la crisi, che attualmente è al livello della Federazione, si ripercuoterà ben presto sul livello statale dove comunque, per formare un governo, l'SDP dovrà trovare un accordo con SNSD (Dodik) e gli HDZ.

Diritti individuali o collettivi?

Da una parte ci sono i diritti dei “popoli”, dall'altra quelli degli individui. La formula di Dayton, che afferma la prevalenza dei primi sui secondi, ha portato alla fine della guerra, ma ha consegnato il Paese ad un eterno dopoguerra. In cui tutto funziona per quote etniche. Sono in molti ad auspicare che questa situazione cambi. Ma il cambiamento deve avvenire in maniera condivisa, introducendo un nuovo sistema di regole. Non è facile, ma non ci sono scorciatoie. Al tempo stesso, il superamento di Dayton è necessario. Se si vuole evitare che, a 16 anni dalla fine della guerra, la realtà bosniaca quotidiana non diventi sempre più surreale. Come dimostra quanto sta avvenendo in questi giorni nel mondo del calcio.

A partire da oggi, primo aprile (non è un pesce), la Federazione Calcio bosniaca sarà sospesa da tutte le competizioni internazionali. FIFA e UEFA avevano infatti richiesto ai bosniaci di cambiare la struttura della loro Federazione, basata su due associazioni (una per entità) e una presidenza tripartita (un serbo, un croato e un bosgnacco). La FIFA aveva richiesto un presidente unico entro il 31 marzo. La Federazione bosniaca si è riunita (martedì 29), ma non è riuscita a cambiare statuto. Nella desolazione dei tifosi, la Bosnia Erzegovina (e i suoi club) sono fuori da tutte le competizioni internazionali. L'unica alternativa è che FIFA e UEFA impongano un proprio amministratore internazionale. Da statuto potrebbero. Una specie di Alto Rappresentante, ma per il calcio. Potrebbe essere una buona notizia per noi italiani. Finora siamo stati esclusi da questo onore, ma forse a questo punto potremmo avere anche noi il nostro Alto Rappresentante in Bosnia. Gattuso?