Babbo Natale è stato cancellato per decreto dagli asili di Sarajevo. La degenerazione delle divisioni identitarie nella Bosnia post conflitto, i ricordi di una bambina bosniaca "prima della pioggia"

22/12/2008 -  Azra Nuhefendić

Quest'anno Babbo Natale non porterà i suoi regali ai bambini di Sarajevo. Così ha deciso la direttrice dei 25 asili nido della città, Arzia Mahmutović. La signora Mahmutović ha dato corso alla decisione presa dai vertici del partito musulmano SDA, di cui è membro.

Dopo aver introdotto nei nidi le lezioni di religione musulmana (invano le proteste e le petizioni dei genitori, che non volevano che i bambini si dividessero già da piccoli), le autorità di Sarajevo, dove il partito SDA ha la maggioranza, hanno deciso che "Babbo Natale non appartiene alla tradizione dei bosgnacchi (bosniaco musulmani)".

Già negli anni precedenti avevano preso misure per ridurre o almeno ostacolare la celebrazione del Capodanno. Non è proibito farlo, ma si trovano scuse o si ostacolano i festeggiamenti nei locali pubblici. Si sta realizzando così quello che l'ex presidente bosniaco Alija Izetbegović prometteva nel 1996. Il presidente domandava ai media "di non imporre vari Babbi Natali e altri simboli strani al nostro popolo... Noi certamente non insisteremo su censure o divieti, ma prenderemo misure perché il nostro popolo, con disprezzo, respinga i valori sospetti".

I valori sospetti, i simboli strani! Sono una delle più belle memorie che conservo dalla mia infanzia.

Era un venerdì. Sono sicura perché, da piccole, mamma ci lavava ogni venerdì sera. Prima della cena la stanza si riscaldava con la stufa sovraccaricata di legna. La stufa si gonfiava, diventava rossa, sbuffava, protestava. Pareva che da un momento all'altro avrebbe buttato fuori tutto.

Noi, sei sorelle, spogliate, aspettavamo il nostro turno. Corpicini nudi o semi nudi, color rosa, brillavano rispecchiando il rosso della stufa. Scherzavamo stizzendo quelle più piccole; si lamentavano, in anticipo, perché il sapone gli sarebbe entrato negli occhi, mentre quelle già lavate si vestivano senza fretta, e qualcuna canticchiava. Tutto era avvolto nel vapore, aria calda e profumo di pulito. Fuori nevicava e il vento, arrabbiato, assediava la casa; cercava le crepe nei muri per poter entrare. Noi ci sentivamo al sicuro, ci piaceva stare insieme, accudite, e protette. Tutto assomigliava a un'esagerata scena idillica.

Inaspettato, dal di fuori, all'improvviso si sentì il suono cristallino di un campanello, come quello delle troike russe. Poi, qualcuno bussò alla porta. In un attimo la scena bucolica si trasformò in panico. Prese dallo spavento cercavamo di coprirci, ci spingevamo, volevamo nasconderci una dietro l'altra.

In quella confusione Jasna, la sorella più grandicella, si appiccicò alla stufa. Sulla sua pelle apparve una sottile linea di scottatura. Lei si lamentava, e noi ridevamo, solo perché la parte ustionata era sul suo sedere.

Alla porta c'era Babbo Natale.

Molto più tardi abbiamo capito che la nostra vicina, la Finka, si era travestita da San Nicola (Babbo Natale), e che l'altra vicina, la Zeina, pure lei mascherata, portava il sacco con i regali.

Il ricordo di quella sera è tra i più cari che ho della mia infanzia. C'era tutto in quella scena: stare insieme, felici, puliti, protetti, con gli amici che ci portavano i regali.

Dopo San Nicola sparì, e i regali ce li portava Babbo Natale che era diventato "un ufficiale dello Stato", perché l'Associazione Socialista (Socijalistićki Savez) e i sindacati si erano impossessati di questa festa.

Più cresceva il benessere comune del Paese, più si festeggiava. Oltre alle feste ufficiali celebravamo pure quelle religiose, a modo nostro. Non erano proibite. Non ci partecipavano i membri del partito comunista, si presupponeva che fossero atei. Ma pure tanti di loro trovavano il modo o la scusa per farlo. Se non si festeggiava a casa propria, lo si faceva dai vicini, non comunisti, dalla nonna vecchia o dalla zia che diceva "meglio che spariscano gli uomini che le tradizioni". Anche quelli duri, come mio papà, si congratulavano almeno con una stretta di mano con la "compagna" o il "compagno" per il Bajram, il Natale, o il Santo della famiglia. A quelli che proprio non ce la facevano ad essere presenti si mandava un ricco vassoio pieno di dolci e altre pietanze. Si mangiava e beveva senza badare alla convinzione ideologica o alla fede.

Talvolta si esagerava con i festeggiamenti, specialmente in dicembre. Capitava, come quest'anno, che la festa musulmana, il Bajram, cadesse proprio negli stessi giorni di una festa cristiana. Allora si partiva con San Nicola, o con il Bajram, si procedeva con le feste dei Santi dei serbi ortodossi, perché ogni famiglia serbo-ortodossa ha il proprio Santo; alla vigilia di Natale tutti in cattedrale, per finire poi la notte in una discoteca e arrivare al Capodanno, la festa nazionale; poi il 7 gennaio il Natale degli ortodossi, il 13 gennaio il Capodanno ortodosso... Infine una fila di Santi ortodossi e finivamo, o sfinivamo, nella seconda metà di gennaio.

Tutti diventavamo tondi, sovraccarichi, come la stufa della mia infanzia. Si faticava a rinunciare ai dolci, a una baklava, a una hurmašica o a un cucchiaio di žito, (il tipico dolce per la slava, fatto di grano e nocciole) o a quegli slavski kolaći, dolcetti mignon, ma che mangiati in gran quantità diventavano un peso sullo stomaco e qualche etto in più sulle cosce.

Dopo uno o due mesi di festeggiamenti continui, e di mangiate esagerate, facevamo promesse a noi stessi e agli altri che mai più, ma era tutto inutile perché l'anno successivo si ricominciava da capo.

In tutto questo, per la maggior parte di noi, la religione c'entrava poco. La nostra devozione fu quella di stare insieme, di divertirci, di volersi bene, il rispetto per gli altri e diversi. Non ci sentivamo né oppressi né stupidi, ancora meno ingannati. Anzi, stando insieme prendevamo gli uni dagli altri le usanze, le regole, le tradizioni, aggiustavamo, cambiavamo, per produrre quello che la scrittrice norvegese Tone Bringa ("Being Muslim in Bosnian way") descriveva come l'identità bosniaca: "Né serba, né croata, né musulmana, ma tutto questo insieme".

La guerra ci ha spogliato di tanto, ad alcuni di tutto, ma quello che non potevano rubarci era la memoria.

Profughi in Italia, privi di quello che era la nostra vita precedente, abbiamo tirato fuori una delle poche cose preziose che erano rimaste intatte: quel ricordo di quando Babbo Natale, cioè la vicina Finka, ci aveva portato i regali.

La festa l'abbiamo preparata per i bambini con i regali che ci avevano donato altri. Ci divertiva mascherarci da Babbo Natale, ridevamo, e gioivamo per la felicità dei bambini.

Noi soli, in un appartamento che non era il nostro, in un Paese strano, ci sentivamo come una volta, felici. Quel giorno, la miseria che ci era capitata non dominava le nostre anime.