Sarajevo invia al mondo un ambizioso messaggio di pace in occasione del centenario dell'attentato a Francesco Ferdinando. La realtà del paese appare però lontana dalle dichiarazioni altisonanti che arrivano dalla capitale bosniaca
La fotografia del professor Kukić con la testa fasciata e la camicia sporca di sangue fa impressione. Il docente dell'Università di Mostar, noto per le sue posizioni a difesa dei diritti umani e nel 2011 candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina, è stato attaccato da uno sconosciuto lunedì scorso nel suo ufficio. “E' lei il professor Kukić?”, avrebbe chiesto l'aggressore prima di estrarre una mazza con la quale ha ripetutamente colpito l'accademico.
Il motivo dell'attacco è stato spiegato dallo stesso Kukić nella giornata di ieri, in un'intervista al portale online BIRN . Kukić aveva preso posizione contro la calorosa accoglienza organizzata dalle autorità locali per ricevere il criminale di guerra Dario Kordić, rientrato a casa dopo aver scontato i due terzi della pena a 25 anni comminatagli dal Tribunale Penale dell'Aja per l'ex Jugoslavia. Kordić è stato ricevuto come un eroe dai rappresentanti dell'Unione Democratica Croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH) al ritorno nel suo villaggio di Busovača, presso Mostar. Stesso copione si era svolto nei giorni scorsi a Zagabria, dove Kordić era stato accolto in aeroporto dai sostenitori e in suo onore il vescovo Valentin Pozaić aveva celebrato una messa.
I giudici dell'Aja hanno ritenuto Kordić responsabile di aver ordinato il massacro di Ahmići, nel 1993. Nella strage erano morti più di cento civili bosniaco musulmani, comprese donne, bambini e anziani. Il quotidiano sarajevese Oslobodjenje ha notato in un commento pubblicato ieri che, nei 17 anni scontati in prigione, Kordić non ha espresso sentimenti di pentimento.
“Questo è il prezzo che ho dovuto pagare”, ha dichiarato Kukić, ricordando le critiche da lui espresse nel giorno precedente l'aggressione in un'intervista per Al Jazeera . "Spero che l'aggressore venga individuato, sono convinto che è stato pagato per commettere questo attacco. Si tratta di puro e semplice fascismo".
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In questi giorni la capitale della Bosnia Erzegovina sta ricordando il centenario dell'attentato a Francesco Ferdinando e alla moglie Sofia con un fitto programma di convegni, mostre e manifestazioni organizzate dalla Fondazione Sarajevo cuore d'Europa . Il volto emaciato di Gavrilo Princip, l'attentatore, campeggia in una gigantografia nel luogo dove avvenne l'omicidio, cento anni fa. Dall'altra parte dell'edificio, oggi sede del Museo di Sarajevo , c'è l'immagine della vittima, l'erede al trono asburgico. Diverse installazioni ripercorrono il tragitto della vettura imperiale, da Ilidža alla Vijećnica e poi indietro verso il Latinski Most. Un vero capolavoro di inefficienza della “security”, visto con gli occhi di oggi. Gli attentatori sono lungo tutto il tragitto, sull'attuale Obala Kulina Bana. Prima Nedeljko Čabrinović lancia una bomba, che rimbalza, poi il corteo prosegue pervicacemente fino all'incontro fatale con Princip.
Con gli occhi di oggi si valutano anche le figure di allora. E ci si divide. Princip: eroe o terrorista? E Francesco Ferdinando, occupante o legittimo erede al trono di uno stato multinazionale? Il Collegium Artisticum, a Skenderija, nel centro della capitale bosniaca, ospita in questi giorni le opere di grafici e designer di 37 paesi nella mostra "Sarajevo 1914-2014". In una delle installazioni più riuscite, Gavrilo Princip ha una sua pagina Facebook. A destra la timeline che tutti conosciamo, poi ci sono alcune foto e una breve descrizione che l'attentatore dà di sé. Il capolavoro è il pulsante con il pollice alzato o verso, "Mi piace", che il visitatore può virtualmente cliccare in calce al manifesto.
Il nostro atteggiamento nei confronti della storia, e dei suoi personaggi, è sempre più simile a una pagina Facebook. La irriducibile complessità della figura di Princip, bosniaco, serbo, panslavista, terrorista, idealista, è ridotta a questo. Lui e Francesco Ferdinando sono ormai finiti insieme nel tritacarne dell'etno-politica bosniaca. Ricordare un evento di 100 anni fa produce nuove divisioni, raffreddando un clima di dialogo che sembrava affermarsi timidamente a livello regionale, in particolare dopo la recente visita del premier serbo Vučić a Sarajevo. I serbi non verranno nella capitale bosniaca per il 28 giugno, ma terranno manifestazioni parallele e contrarie a Belgrado e nella Cinecittà voluta dal regista Emir Kusturica in Bosnia Erzegovina, la cosiddetta Andrićgrad, a Višegrad.
Cuore d'Europa
Sarajevo, e la Fondazione “Sarajevo cuore d'Europa”, cercano di inviare al mondo un semplice e importante messaggio di pace: dopo 100 anni di guerre, vogliamo 100 anni di pace.
Però le immagini del professor Kukić nel letto di ospedale a Mostar, le polemiche su manifestazioni e contromanifestazioni, lo stallo di un paese il cui sviluppo è bloccato dalla fine della guerra, portano molti a interrogarsi su quale titolo abbia la Bosnia Erzegovina oggi per inviare questo messaggio.
Se Sarajevo è il cuore dell'Europa, questo cuore sta ancora sanguinando.