Nidžara Ahmetašević

Nidžara Ahmetašević

Nidžara Ahmetašević è una giornalista ma anche attivista da anni impegnata nel fornire assistenza ai rifugiati e ai migranti in Bosnia Erzegovina e in altri paesi della regione, e nel denunciare le violenze su di loro perpetrate. Nell'intervista racconta di alcuni fatti accaduti di recente

22/05/2020 -  Ivana Perić

(Originariamente pubblicato dal portale H-Alter il 17 maggio 2020)

Partiamo da una recente notizia. Qualche settimana fa nel campo di accoglienza di Ušivak a Hadžići, nei pressi di Sarajevo, è morto Ahmed Mahmoud Omar , 53 anni, curdo proveniente dal Kurdistan (Iraq), padre di quattro figli, anche loro attualmente in Bosnia Erzegovina. Cosa si sa della morte di Omar?

Ancora troppo poco. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), che gestisce il campo, non ha fornito alcun chiarimento sull’accaduto (questa non è una novità, perché loro raramente parlano di quanto accade nel campo, soprattutto se si tratta di eventi negativi). Il capo della missione OIM nei Balcani occidentali si è fatto sentire con un post pubblicato sul suo profilo Facebook , ma non ho capito se si trattasse di un comunicato ufficiale dell’OIM o di una sua interpretazione personale della vicenda, per cui non posso commentarlo. È stata ufficialmente aperta un’indagine.

La famiglia [di Omar] dice che la colpa è degli addetti alla sicurezza. Lo stesso dicono anche alcune persone che vivono nel campo, ma anche alcuni dipendenti dalla struttura che hanno parlato con gli attivisti di Sarajevo. Da quello che ho capito io, una persona è stata uccisa in un campo finanziato con le donazioni dell’UE; quella persona era un potenziale richiedente asilo, quindi un potenziale richiedente protezione [internazionale]; i suoi diritti, così come i diritti della sua famiglia, sono stati gravemente violati.

Come i media bosniaci hanno parlato – sempre ammesso che lo abbiano fatto – della morte di Omar?

Non ne hanno quasi parlato. Dovete sapere che in Bosnia Erzegovina ormai sono rimasti pochi media indipendenti. Ce ne sono, naturalmente, ma non molti. Alcuni media sono controllati dai partiti politici, altri da chi li finanzia.

Inoltre, devo dire che l’accesso dei giornalisti locali ai campi di accoglienza è limitato, per cui non possono svolgere il loro lavoro in modo indisturbato e libero, ed è l’OIM a rilasciare ai giornalisti le autorizzazioni di accesso. All’ingresso del campo ci sono le guardie di sicurezza private, pagate dall’OIM, che (nonostante la legge lo vieti) chiedono ai giornalisti di esibire un documento di riconoscimento. Non l’accredito, ma la carta d’identità o il passaporto. È una situazione molto strana. Purtroppo, in Bosnia Erzegovina nemmeno le associazioni dei giornalisti sono sufficientemente indipendenti e libere da poter lottare per i diritti dei giornalisti e per la libertà dei media.

Recentemente la polizia bosniaca ha impedito ad un’équipe di giornalisti della Radio televisione Slon di Tuzla di svolgere il loro lavoro: gli agenti si sono impossessati del cellulare di una giornalista e hanno cancellato alcune foto che la giornalista aveva scattato sul campo. A Bihać le forze dell’ordine hanno più volte impedito al giornalista Ajdin Kamber di svolgere il proprio lavoro. L’episodio più recente si è verificato quando Ajdin ha cercato di filmare l’operazione di trasferimento dei migranti – che fino a quel momento vivevano in edifici abbandonati – nel nuovo campo di Lipa. Quali pressioni subiscono i giornalisti e le giornaliste che scrivono di problemi con cui si confrontano i rifugiati e i migranti in Bosnia Erzegovina?

Personalmente ho subito tutta una serie di situazioni spiacevoli durante la mia permanenza nel cantone Una-Sana, comprese le minacce rivoltemi dalla polizia. In Bosnia Erzegovina, e soprattutto nel cantone Una-Sana, sta diventano molto difficile parlare di questo tema. Le autorità locali non sono le uniche ad ostacolarci nello svolgere il nostro lavoro. Lo fanno anche alcune organizzazioni internazionali. A dire il vero, queste ultime non dispongono di una polizia armata, ma hanno le guardie di sicurezza private che ingaggiano nei campi. Le autorità locali e le organizzazioni internazionali stanno creando un’atmosfera molto ostile nei confronti dei media, un’atmosfera che mette seriamente a rischio la libertà di espressione in Bosnia Erzegovina.

In un suo recente articolo ha affermato che Omar è uno degli oltre trenta rifugiati e migranti morti in Bosnia Erzegovina dal 2018, una strage silenziosa e invisibile. Può dirci qualcosa di più su queste persone? Chi erano? Cosa è successo loro?

Credo che ormai il numero dei morti sia molto superiore. Tra le vittime ci sono anche alcuni minorenni, persone che sono morte perché non hanno ricevuto cure adeguate, persone che sono morte per cause violente, persone che sono morte per conseguenze delle violenze subite alle frontiere… ci sono troppi morti.

Spesso la popolazione locale e i volontari (locali e stranieri) aiutano gli amici delle vittime a informare le loro famiglie dell’accaduto, e a volte fanno tutto quello che è necessario per organizzare il trasporto delle salme dei morti nei loro paesi d’origine. Talvolta intervengono anche le organizzazioni internazionali (ne ho sentito parlare, ma non ho mai assistito a una situazione del genere), qualche volta anche le autorità locali. Molti corpi, mai identificati, sono stati sepolti nei cimiteri locali, lungo la rotta [balcanica], sia in Bosnia Erzegovina che in altri paesi della regione.

In Bosnia Erzegovina i campi di accoglienza per rifugiati e migranti sono finanziati con soldi dell’UE e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha grandi responsabilità nella loro gestione. Quali sono gli aspetti problematici dell’operato dell’OIM? Che cosa non funziona nei campi di accoglienza e che ruolo vi gioca l’OIM?

Tutta la responsabilità ricade sull’OIM perché loro ufficialmente gestiscono questi campi, decidono la politica di gestione delle migrazioni in Bosnia Erzegovina e ricevono la maggior parte delle donazioni. I problemi sono tanti, a partire dalle pessime condizioni [di vita nei campi], il cibo spesso scarseggia e non è adatto alle persone con bisogni speciali (bambini, donne incinte, persone affette da diabete, vegetariani, e molte altre categorie), [gli ospiti dei campi] non godono di una protezione adeguata (soprattutto le donne, i bambini e le persone LGBT). Inoltre, c’è poca trasparenza nell’operato dell’OIM, che spesso assume un atteggiamento di superiorità nei confronti di tutte le realtà locali.

Tuttavia, per me il problema più grave è il silenzio dell’OIM sulle violazioni dei diritti umani [di rifugiati e migranti]. Non parlano mai delle violenze ai confini, cioè non le denunciano; non denunciano nemmeno azioni illegali compiute dalle autorità locali, né tanto meno invitano al rispetto dei diritti… Lo stesso vale per l’UNHCR e per tutte le altre agenzie dell’ONU presenti in Bosnia Erzegovina, ma anche per molte altre organizzazioni che in vari modi si occupano di persone in movimento.

Come ha inciso la pandemia sulla situazione di migranti e rifugiati in Bosnia Erzegovina? La situazione si è ulteriormente deteriorata?

La pandemia ha trasformato una situazione molto grave in una situazione catastrofica. Al posto dei campi completamente inadeguati, che assomigliavano ai lager, ora abbiamo veri e propri lager in cui sono rinchiuse oltre 6000 persone. In Bosnia Erzegovina quasi tutte le misure di contenimento del coronavirus sono state revocate, ma queste persone sono ancora rinchiuse nei campi, e i loro tentativi di uscire non di rado suscitano reazioni violente da parte della polizia.

Allo stesso tempo, la polizia – con la scusa di prevenire la diffusione del virus – sta cacciando via i migranti dalle strade, dagli ostelli e appartamenti in cui vivono… Non è chiaro a nessuno quale sia lo scopo di questa operazione. Mi sembra che qualcuno stia maltrattando i poliziotti per soddisfare i propri interessi – è una dimostrazione di forza – , e poi quei poliziotti frustrati maltrattano i più deboli. Le persone i cui diritti fondamentali non interessano a nessuno sono un bersaglio facile.

Gli episodi di violenza contro i migranti non mancano nemmeno in Serbia. Recentemente un membro del movimento [di estrema destra] “Levijatan”, Filip Radovanović, ha pubblicato un video che lo mostra entrare con la sua auto, a tutta velocità, nel cortile del centro per migranti di Obrenovac, dopo aver sfondato la recinzione di filo spinato costruita intorno al centro. Radovanović è stato interrogato dall’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale di Obrenovac, dopodiché il procuratore ha presentato al tribunale la richiesta di custodia cautelare per Radovanović. Il giudice ha respinto la richiesta e Radovanović è stato rilasciato. Tuttavia, qualche giorno più tardi, sull’onda delle pressioni di alcuni attivisti e organizzazioni, il tribunale ha riesaminato il caso, disponendo la custodia cautelare della durata di 30 giorni nei confronti di Radovanović. La scorsa settimana, circa 50 estremisti di destra si sono radunati  davanti al centro di Obrenovac per esprimere il loro sostegno a Radovanović che, stando alle loro parole, ha solo “reagito emotivamente”. Come commenta questa vicenda?

Temo che i gruppi fascisti attivi nella regione siano ben collegati tra loro e che agiscano più o meno indisturbati. Per ora. Molti di questi gruppi sono presenti su Facebook e su altri social network e sono legati tra loro. E continueranno ad essere presenti e ad agire finché gli antifascisti non si uniranno e si organizzeranno meglio tra loro. Semplicemente non possiamo stare zitti e lasciare che vicende come questa passino inosservate. Purtroppo, i paesi in cui viviamo sono molti più vicini a quelle idee retrograde che alle idee che potrebbero portare un grande cambiamento positivo per tutti noi.

Infine, tocchiamo il tema della violenza della polizia croata nei confronti di migranti e rifugiati, un tema di cui H-Alter si occupa ormai da anni. Nelle ultime settimane, gli agenti della polizia croata hanno più volte fermato i migranti lungo il confine [con la Bosnia Erzegovina] e, dopo essersi impossessati dei loro soldi e cellulari, li hanno marchiati con uno spray arancione, come se fossero bestiame, per poi costringerli a tornare in Bosnia Erzegovina a piedi. Diversi gruppi hanno già denunciato questa pratica di “marchiatura” e recentemente ne ha scritto  anche The Guardian. A quali intimidazioni sono sottoposti i migranti da parte della polizia croata?

La violenza sta assumendo nuove forme, diventando sempre più crudele. E le cose non cambieranno finché le cittadine e i cittadini croati non troveranno la forza di alzare la voce e dire basta. Ci sono alcune organizzazioni non governative, alcuni individui che parlano di questo problema, ma questo non è sufficiente. Bisogna parlarne di più, altrimenti a finire sotto i colpi dei manganelli saranno i cittadini croati. È una lezione che abbiamo già dovuto imparare dalla storia. In questo momento, il silenzio della maggior parte della società civile croata è spaventoso tanto quanto la violenza ai confini.