Miljenko Jergovic

Il noto scrittore Miljenko Jergovic interviene, nella sua rubrica del settimanale sarajevese DANI, a commentare la rinata euforia legata al ritorno dei Bijelo Dugme, storica rock band di Goran Bregovic

29/06/2005 -  Anonymous User

Di Miljenko Jergovic, DANI, 24 giugno 2005 (tit. orig. Bijelo dugme)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak

La canzone Lipe cvatu la sentii per la prima volta poco prima della mezza notte, il 29 dicembre del 1984, sul secondo programma di Radio Zagabria. La temperatura era di meno dieci, la bora strappava le rocce dalla terra perché intorno non c'era nemmeno un albero, ed io in testa portavo il passamontagna e l'elmetto, in mano una radio giapponese a transistor gialla, e così facevo la guardia in "un luogo isolato", nei pressi della vetta del monte Dinara, là sul versante croato. Alcuni minuti prima avevano dato notizia che nella sua casa da campeggio, da qualche parte in America, era morto Sam Peckinpah. Il suono delle cornamuse valacche funse da requiem per il grande regista. Non riconobbi chi stesse suonando e cantando, perché prima di allora non avevo mai sentito il nuovo cantante di Bregovic, ma oggi so che Dinara, a dieci gradi sotto zero, era il luogo ideale per un'anteprima musicale. Il monte dal quale tutto ha preso inizio, e che ha dato il nome ad una mentalità ed uno spirito particolari, in realtà è ancora più crudele delle sue numerose metafore.

Lipe è l'unica canzone per la quale so esattamente il giorno e l'ora in cui l'ho sentita per la prima volta. Per le altre canzoni, per me più importanti, a fatica potrei determinare l'anno, o la stagione. Con Lipe so di chi è stata annunciata la morte, so come ero vestito, cosa pensavo e come mi sentivo. Ricordo i nomi delle persone che si scaldavano accanto alla stufa, nella capanna ad un centinaio di metri di distanza. Mi ricordo anche l'uomo che, dieci minuti dopo, mi avrebbe sostituito in quel luogo gelido, per continuare, con il proiettile in canna, a difendere qualcosa che in realtà non c'era. A lui affidai la radiolina giapponese gialla. Si chiamava Nedjo Stojanovic, era nato a Zivinica.

Dicono che l'intensità di una cosa vissuta determini i nostri futuri ricordi, sicché ciò che non abbiamo vissuto profondamente, probabilmente lo dimenticheremo. Benché, probabilmente, mi avrebbe fatto più piacere se la colonna sonora della mia esperienza vissuta fosse stata diversa, così che potessi tenere a mente un'altra canzone, nel fatto che si tratti proprio di Bregovic c'è una verità più profonda. Il suo turbo folk, che i benevoli critici di Zagabria chiamavano rock pastorale, è il più intenso folclore delle nostre vite precedenti. Fra l'altro, il primo successo della musica popolare (hit narodnjacki) di Bregovic, Tako ti je mala moja kad ljubi Bosanac (E' così piccola mia quando ti bacia un Bosniaco), autorizzò il comune stereotipo jugoslavo sui Bosniaci.

Avevo nove anni quando sentii quella canzone. Non mi era piaciuta, perché sembrava provinciale (seljacki), a differenza delle canzoni belgradesi e di Zagabria che avevano un suono urbano, ma più del suono mi aveva colpito il testo. Dal punto di vista dei miei amici estivi dalmati ero un vero bosniaco, e i Bijelo dugme determinavano il modo d'essere bosniaco. Non volevo in nessun modo essere così, e onestamente, non potevo nemmeno essere così, perché non avevo avuto occasione di crescere come un violento, leggermente imbecille, bevitore e puttaniere. Ero troppo giovane per capire la canzone in modo diverso rispetto a come veniva presentata pubblicamente, come l'inno di un'identità. Quella identità non poteva essere la mia, sicché rispetto ad essa provavo un'intensa vergogna culturale e privata. Tale vergogna, in realtà, è la stessa che negli anni futuri la maggior parte dell'equipe urbana proverà rispetto alla musica popolare novokompovana (di nuova composizione, ndt.).

Venti anni dopo, a Zagabria, all'inizio ero confuso, e poi mi incazzavo parecchio, per il fatto che il bosniaco della canzone di Bregovic, in realtà, fosse rimasto in generale l'unico bosniaco possibile ed accettabile. Era il tempo in cui in Croazia non si ascoltava pubblicamente la musica dell'est, non si facevano vedere i film serbi, nemmeno facevano vedere le repliche della Top lista nadrealista (top list dei surrealisti, ndt.). I Zabranjeno pusenje di Sulo erano un underground piccante. L'unico evento folcloristico, inviolabile, protetto dalle offese e dalle contestazioni, era Goran Bregovic, insieme col bosniaco della sua canzone. I suoi narodnjaci erano un'accettabile misura di provincialismo e di folk. Forse anche perché non venivano vissuti come un prodotto d'importazione, né come qualcosa che appartenesse a Sarajevo o a Belgrado. Tako ti je mala moja kad ljubi Bosanac è una canzone di Zagabria, perché non canta di un uomo vivo ma di uno stereotipo. Potrebbe essere anche viennese, berlinese, lisbonese o parigina, se anche là i Bosniaci fossero un fatto importante, e stupido.

La fase popolare (narodnjacka) di Goran Bregovic terminò con l'inizio della guerra. Ciò che si mise a fare dopo era etnico. Ed etnico non c'entra proprio niente con popolare (narodnjaci). I narodnjaci in realtà si suonano in trattoria, mentre etnico appare come qualcosa che in un tempo lontano veniva suonato in trattoria, ma di quel tempo nessuno ha ricordo. Quando smise di suonare canzoni popolari (narodnjake), Bregovic smise espressamente di rivolgersi al suo pubblico locale. E' diventato una star in Italia o in Francia, ma pure nei Balcani è un ospite benvisto. A Zagabria i suoi concerti da solista sono un vero simposio imbellettato e intellettuale. Se Arthur Rubinstein si alzasse dalla tomba e visitasse Lisinski, probabilmente troverebbe lo stesso pubblico.

Il ritrovarsi dei Bijelo dugme, come quei tornei antebellici per le ossa del principe Lazar, è stato una sorta di ritorno alle origini. Sebbene ciò debba riferirsi soltanto al suo pubblico, anche Goran Bregovic ha pagato il suo prezzo. E' pericoloso il ritorno ai narodnjaci, il ritorno ad un mondo che lui stesso ha creato, attribuendogli regole ed intenzione culturologica. E' pericoloso ritornare in modo così spettacolare ai tempi di prima della guerra, perché nessuno di noi è più così ingenuo e puro come lo era allora. Bregovic nel frattempo è diventato più mondano, e il suo pubblico, specialmente quello sarajevese, si è fatto più locale. Se non ci fosse stata la guerra, e se fossero rimaste le vecchie misure, a causa della sua definizione di bosniaco, alcuni non ammetterebbero più di essere bosniaci, e a causa della sua definizione di sarajevese, alcuni sarajevesi non sentirebbero Sarajevo dentro di sé. Se non ci fosse stata la guerra, Bregovic, con orgoglio dei barbieri e dei tassisti, sarebbe stato il più grande bosniaco e il più grande sarajevese. In tale caso forse anch'io avrei dimenticato quando e come per la prima volta ho ascoltato: Lipe cvatu, sve je isto ko i lani...