Secondo i programmi, già nel 2019 non vi sarebbero più dovute essere mine in Bosnia Erzegovina. Non è così, ve ne sarebbero ancora più di 79.000. Dalla fine della guerra ad oggi le vittime sono state 728
Martedì 30 giugno gli esperti della missione militare europea (Eufor) in Bosnia Erzegovina si sono uniti alle squadre della protezione civile dell'entità Federazione BiH per un’operazione di sminamento su una delle cime del monte Treskavica . Il team combinato è riuscito - grazie all'esperienza di alcuni escursionisti e di esperti di esplosivi - a mettere in sicurezza due mine che erano state individuate e rendevano l’area inaccessibile.
La Bosnia Erzegovina è uno dei paesi più contaminati dalle mine antiuomo in Europa. Dalla fine della guerra nel 1995, quando è iniziato il processo di sminamento, le vittime di ordigni inesplosi sono state ben 728 di cui 55 sminatori e 673 civili. Le ultime vittime sono state registrate il 25 agosto 2019. Erano Savo Kalajdžić e Slaviša Pljuco, due sminatori che hanno perso la vita nei pressi della città di Kupres, nel sud-ovest della Bosnia, in servizio in uno dei campi minati che ancora affliggono il paese .
Se durante la guerra la maggior parte delle vittime erano soldati ora, a venticinque anni dalla fine del conflitto, quattro vittime su cinque sono civili. Inoltre molti sfollati non sono stati in grado di tornare nelle terre d'origine a causa della contaminazione da mine antiuomo.
La contaminazione da mine oltre ad avere un impatto sulla sicurezza delle persone rende difficile anche lo sviluppo socioeconomico delle comunità rurali che dipendono economicamente dall'accesso alla terra e alle sue risorse. Del totale delle aree sospettate come pericolose per la presenza di ordigni inesplosi, il 63% riguarda foreste e il 27% potenziali terreni agricoli. Il maggior numero di incidenti infatti avviene in autunno e in primavera, durante i lavori agricoli, l’allevamento o la caccia e durante le attività di raccolta di legna da ardere, metalli, erbe.
Lontani dagli obiettivi prefissati
Secondo un rapporto stilato nel 2019 dal Bosnia Herzegovina Mine Action Center la presunta superficie minata in Bosnia Erzegovina è di 965 km2, pari all'1,97 % del territorio totale del paese. Si stima la presenza di 79.000 mine sul terreno .
Nonostante la Bosnia Erzegovina sia parte contraente di diverse convenzioni e trattati internazionali al riguardo, i costi delle operazioni di sminamento e la mancanza di finanziamenti hanno reso difficile in questi anni portare a termine gli obiettivi prefissati. La data di scadenza per risolvere definitivamente il problema delle mine era prevista per il dicembre 2019 secondo quanto fissato dalla Strategia di azione antimine della Bosnia Erzegovina 2009-2019. Successivamente, nel marzo del 2018, a fronte del basso grado di attuazione, il paese ha presentato una domanda di proroga del termine al 2025 ai sensi dell'articolo 5 della Convenzione internazionale per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione – nota anche come il Trattato di Ottawa . Molti rappresentanti delle Ong locali hanno dichiarato che anche questo termine rischia di essere troppo ambizioso e, data la mancanza di risorse finanziarie, alcuni esperti stimano che potrebbero essere necessari altri decenni per ripulire il paese da tutte le mine e gli ordigni inesplosi.
Nel quadro di tale strategia, è stata inoltre realizzata un'applicazione mobile – sul modello dell’app Minefield info in Croazia - che segnala le aree sospette di mine e che sarà presto disponibile per tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina garantendo così una maggior sicurezza dei cittadini.
Vittime senza assistenza
Alcune di queste esplosioni provocano la morte delle vittime, in altri casi invece, chi sopravvive si trova spesso a dover convivere con menomazioni, amputazioni, lesioni agli arti e tutti gli effetti fisici e psicologici del trauma.
La ferita è duplice, oltre ai danni fisici e psicologici queste persone spesso perdono il loro posto di lavoro e le istituzioni non garantiscono una pensione dignitosa. Le vittime di ordigni esplosivi infatti continuano ad essere uno dei gruppi più gravemente discriminati e socialmente esclusi della Bosnia Erzegovina, con ulteriori divari tra le diverse parti del paese.
Per quanto riguarda l’assistenza e la protezione delle persone con disabilità, come spesso accade, l’impegno sulla carta, non trova corrispondenza nella realtà. Ad oltre dieci anni dalla ratifica della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità sono ancora enormi le difficoltà legate principalmente alla realizzazione del diritto all'assistenza sanitaria e alla riabilitazione medica e psicologica.
Inoltre, nel paese vi è ancora un'aura di stigmatizzazione intorno agli uomini, e ancora di più alle donne, che hanno perso gli arti a causa delle esplosioni. Questa devastante eredità di guerra continua a privare le persone del loro fondamentale senso di sicurezza. Ancora oggi, sul monte Trebević tanto amato dai sarajevesi, soprattutto d’inverno quando l’aria della città è particolarmente inquinata, sono numerose le zone segnalate per la presenza di mine e una semplice passeggiata può risultare letale. Lo sminamento non solo significherà maggior sicurezza per i cittadini ma avrà anche un forte impatto sull'economia e sullo sviluppo turistico del paese.
La realtà delle silenziose vittime del dopoguerra rimane in gran parte taciuta. Ciononostante sono diverse le ong presenti in Bosnia Erzegovina che nonostante l’importante calo di aiuti internazionali continuano a lavorare in supporto alle vittime e alle attività di sminamento. Fermare questo stillicidio richiederà ancora un lungo sforzo, tuttavia nuovi progetti significativi come ‘Mine Free Sarajevo 2020 ’ danno speranza e lanciano un messaggio non solo al paese balcanico ma anche ad altri luoghi afflitti dal problema della violenza degli ordigni inesplosi.
Reportage
In "Morte di uno sminatore" a firma di Andrea Rossini e vincitore del Premio giornalistico Enzo Baldoni, abbiamo raccontato alcuni anni fa gli appalti per lo sminamento, i subappalti, il lavoro a cottimo sui campi minati in Bosnia Erzegovina