E' morto ieri Momčilo Krajišnik, criminale di guerra condannato dal Tribunale dell'Aja per persecuzione, deportazione e trasferimento forzato dei non serbi dalla Republika Srpska durante il conflitto. Se ne è andato nel giorno della controversa “Giornata dell’unità serba, della libertà e della bandiera nazionale”
(Pubblicato originariamente su EastJournal il 15 settembre 2020)
Momčilo Krajišnik è morto oggi (ieri per chi legge, ndr) a 75 anni per complicazioni da COVID-19 a Banja Luka, capoluogo dell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, dopo due settimane passate attaccate ad un ventilatore, proprio nel giorno in cui Serbia e Republika Srpska festeggiavano per la prima volta la nuova “Giornata dell’unità serba, della libertà e della bandiera nazionale”.
Il ruolo politico durante la guerra e nei negoziati di pace
Nato in un villaggio presso Sarajevo al termine della Seconda guerra mondiale, insieme a Radovan Karadžić e Biljana Plavšić (anch’essi poi condannati all’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità), Krajišnik è stato uno dei principali leader politici serbo-bosniaci durante la guerra in Bosnia del 1992-95. Co-fondatore con Karadžić del Partito Democratico Serbo (SDS), Krajišnik è stato presidente dell’assemblea parlamentare della Republika Srpska dal 1991 al 1996 e brevemente membro della sua presidenza; ha anche guidato il team negoziale dei serbi bosniaci ai colloqui di pace di Dayton, guadagnandosi il nomignolo di “Mister No” per la sua intransigenza.
Come ricorda nelle sue memorie il capo negoziatore statunitense Richard Holbrooke: “Come hanno notato tutti quelli che lo hanno incontrato, Krajišnik aveva un solo sopracciglio lungo e straordinariamente spazzolato, che gli attraversava la fronte, creando quella che sembrava una nuvola scura permanente sugli occhi infossati. Sebbene Krajišnik non fosse stato incriminato dal Tribunale per i crimini di guerra – e potesse quindi partecipare a Dayton – era difficile distinguere le sue opinioni da quelle del suo caro amico Radovan Karadžić. Milošević aveva detto spesso che Krajišnik era “più difficile” di Karadžić, ma avevamo poche basi su cui esprimere un giudizio indipendente. […] Lui e Izetbegović si conoscevano bene, da lunghi incontri nell’Assemblea bosniaca prima della guerra. Krajišnik possedeva una fattoria di cinque ettari ai margini di Sarajevo, in un’area che sarebbe tornata ai musulmani in qualsiasi accordo finale, e spesso scherzavamo amaramente sul fatto che l’intera guerra riguardava in realtà i cinque ettari della fattoria di Krajišnik.”
Il processo e la condanna all’Aja
Al termine della guerra, nel 1996, Krajišnik fu eletto membro serbo della nuova presidenza tripartita bosniaca, per essere al termine del suo mandato nel 2000 arrestato dalle forze speciali francesi a Pale e inviato al tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra in ex Jugoslavia (ICTY) per essere processato. Nella sentenza di primo grado nel settembre 2006, Krajišnik è stato condannato a 27 anni di carcere per il suo coinvolgimento in crimini contro l’umanità.
Secondo quando osservato dal giudice Alphons Orie “il ruolo di Krajišnik nella commissione dei crimini è stato cruciale … Le sue posizioni all’interno della leadership serbo-bosniaca gli hanno dato l’autorità per facilitare i gruppi militari, di polizia e paramilitari nella realizzazione dell’obiettivo dell’impresa criminale congiunta”. Krajišnik, osservava Orie, “ha accettato che un alto prezzo di sofferenza, morte e distruzione fosse necessario per ottenere la dominazione serba”. In appello, nel marzo 2009 la pena gli è stata ridotta a 20 anni di carcere per la sua responsabilità nella persecuzione, deportazione e trasferimento forzato dei non serbi dalla Republika Srpska durante il conflitto. Le associazioni delle vittime hanno lamentato che il tribunale dell’Aja non lo abbia riconosciuto responsabile anche per genocidio .
Il ritorno da eroe tra i serbo-bosniaci
Nel settembre 2013, quando è stato rilasciato dopo aver scontato due terzi della pena tra Olanda e Regno Unito, Krajišnik ha avuto un ritorno da eroe in Republika Srpska. Un elicottero pagato dal governo serbo-bosniaco lo ha portato da Banja Luka alla sua roccaforte di Pale, dove duemila persone lo hanno accolto festanti, con caroselli di auto e canzoni nazionaliste serbe, festeggiando colui che consideravano essersi sacrificato per il popolo serbo. Krajišnik ha affermato ai giornalisti: “È come un sogno. Non avete idea di quanto sia bello questo paese”, rivelando anche di essere rimasto sorpreso dall’accoglienza ricevuta, poiché “dopotutto, sono un criminale di guerra”.
Negli anni successivi le autorità della Republika Srpska hanno elevato Krajišnik a un ruolo pubblico, nominandolo primo direttore dell’Associazione dei creatori della Republika Srpska (Asocijacija Stvaraoci Republike Srpske), finanziata direttamente dal governo dell’entità bosniaca, nonostante i malumori dei veterani. Nel 2016 Krajišnik ha pubblicato il libro “Come nacque la Republika Srpska”, in cui descriveva il periodo in prigione come un “lungo viaggio di lavoro”.
La morte nel giorno della festa dell’unità dei serbi
Krajišnik, il cui sogno nazionalista di unità di tutti i serbi provocò immense devastazioni durante il conflitto, è morto proprio nel giorno in cui la Serbia e la Republika Srpska celebrano per la prima volta una festa comune, la “Giornata dell’unità serba, della libertà e della bandiera nazionale”, come da recenti accordi tra il leader serbobosniaco Milorad Dodik e il presidente serbo Aleksandar Vučić.
In tutti i comuni della Serbia e della Republika Srpska, le piazze e le strade centrali erano proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) decorate con le bandiere nazionali e statali della Repubblica di Serbia, così come i principali palazzi e ponti di Belgrado. La data del 15 settembre era stata scelta in memoria dello sfondamento del fronte di Salonicco nel 1918, al termine della prima guerra mondiale. La morte di Krajišnik rovina così un po’ la nuova festa di Vučić e Dodik – o forse regala loro l’ennesimo martire utile per rafforzare il loro dominio politico basato sull’ideologia nazionalista.