La ArcelorMittal, leader mondiale dell'acciaio, ha consegnato a Londra il simbolo delle prossime Olimpiadi, la gigantesca torre Orbit. In Bosnia, però, l'azienda nega il diritto a ricordare il campo di concentramento di Omarska, in funzionamento nel 1992 in una miniera ora di sua proprietà
Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel Balkan Insight's Balkan Transitional Justice, programma regionale del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN).
Mentre la ArcelorMittal, il gigante mondiale dell'acciaio, investe 19,2 milioni di sterline nella costruzione di un monumento per celebrare i giochi olimpici di Londra, emerge l'inquietante storia del rifiuto dell'azienda di consentire il ricordo di un ex campo di concentramento in Bosnia, in una fabbrica di sua proprietà.
La ArcelorMittal non solo si rifiuta di elargire anche una minima parte del denaro che sta spendendo a Londra per commemorare la sofferenza dei bosniaci nel noto campo di Omarska, ma di recente ha anche cominciato a negare alle vittime l'accesso al sito.
Omarska, una miniera di ferro poco distante da Prijedor, nel nord-est della Bosnia, venne utilizzata dai serbo-bosniaci per detenere e torturare più di 5.000 bosniaci, nell'estate del 1992.
Le immagini dei detenuti emaciati, trasmesse al mondo intero da un gruppo di giornalisti inglesi, hanno scioccato il pubblico internazionale, portando alla memoria quanto avvenuto nei campi di concentramento nazisti.
Le prove delle torture e delle uccisioni dei detenuti di Omarska, raccolte da una commissione delle Nazioni Unite, hanno portato alla creazione della prima Corte internazionale contro i crimini di guerra, dopo quelle di Norimberga e Tokyo: il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia (TPI).
Nel 2004 la Mittal ha acquisito la proprietà del sito del campo di concentramento, insieme ad un complesso di altre miniere e strutture situate nei dintorni di Prijedor (in alcune delle quali si trovavano le fosse comuni nelle quali le autorità serbe gettavano i corpi dei detenuti di Omarska).
L'acquisto della ricca miniera è stata conseguenza logica dell'acquisto precedente di grandi acciaierie nella Bosnia centrale. Gli strazianti trascorsi del sito non hanno avuto molta importanza per l'azienda: la promessa di guadagni considerevoli ha completamente messo in secondo piano il valore simbolico del luogo.
Ciò nonostante la Mittal, preoccupata di un'eventuale pubblicità negativa, è giunta ad un accordo con i sopravvissuti del campo, in base al quale alcune delle costruzioni nel complesso di Omarska sarebbero rimaste intatte ed accessibili alle vittime ed alle loro famiglie.
Nel 2005, all'accordo è seguita la promessa di costruire un memoriale a Omarska, finanziato dalla stessa Mittal.
Tuttavia la Mittal, oggi ArcelorMittal, ha in seguito rinnegato il suo impegno a finanziare la costruzione del memoriale. In linea con le opinioni di Marko Pavic, sindaco serbo di Prijedor, che tutt'ora afferma che Omarska sia stato nulla di più che un “centro di transito e di interrogatorio”, la Mittal ha sospeso il progetto del Memoriale di Omarska.
Nel febbraio del 2006, la Mittal ha rilasciato un comunicato nel quale si affermava che la sospensione del progetto del Memoriale di Omarska era solo temporanea. Tuttavia l'azienda non solo è venuta meno all'impegno assunto per la costruzione del memoriale, ma nelle ultime settimane è andata oltre, negando alle vittime l'accesso al sito, appellandosi all'esistenza di “problemi di sicurezza”.
La nuova politica è stata applicata di recente, quando una delegazione di ex detenuti, pacifisti serbi e ricercatori della Goldsmiths University di Londra hanno cercato di visitare il sito.
Una lettera datata 12 aprile, firmata dal direttore della miniera, li ha invitati ad attendere fino al 6 agosto, giorno che corrisponde alla chiusura del campo di Omarska. Questo sarebbe stato l'unico giorno dell'anno in cui le visite sarebbero state permesse.
Eyal Weizman, direttore del Goldsmiths Centre for Research Architecture, è rimasto scioccato dal diniego della ArcelorMittal.
“Ritengo sia del tutto inaccettabile che luoghi come il campo di Omarska siano privatizzati, e che vittime e studenti non possano farvi visita”, ha dichiarato Weizman, con al suo fianco ex internati del campo. Questi ultimi se ne stavano in silenzio e impotenti, a seguito dell'ennesimo diniego di accesso al luogo del loro calvario.
I memoriali contribuiscono al riconoscimento della sofferenza delle vittime da parte della comunità, e come tali rappresentano uno degli elementi chiave nell'affrontare l'eredità lasciata dalle massicce violazioni dei diritti umani.
In senso profondo appartengono ai superstiti, come alle vittime di ogni tortura, tanto quanto, in questa circostanza, al portafoglio di investimenti di un magnate dell'acciaio.
Il dibattito sul recente passato della Bosnia Erzegovina rimane difficile, e questioni quali le cause del conflitto, la natura dei crimini e addirittura i numeri delle vittime costituiscono oggetto di contestazione.
Le vittime lottano affinché si presti attenzione alle loro voci più che a quelle dei leader politici, i quali spesso tendono al totale negazionismo o alla manipolazione del passato, al fine di ottenere vantaggi di natura politica. Una dimostrazione di questo atteggiamento è stata la reazione della Republika Srpska in occasione del ventesimo anniversario dell'assedio di Sarajevo, che ha contestato addirittura si sia trattato di un vero e proprio assedio.
Come se il riconoscimento di un passato problematico non fosse già abbastanza difficile per la fragile società bosniaca, adesso un'azienda privata nega alla gente il diritto di ricordare le vittime dei più dolorosi e noti crimini commessi durante il conflitto.
Questo è uno sviluppo preoccupante e allarmante, soprattutto se proviene da un'azienda il cui acciaio "Orbit" si erge sopra Londra, teoricamente come portatore di un messaggio di responsabilità aziendale.
Ad un certo punto Mittal dovrà riconoscere che tutto l'acciaio del mondo non basta per oscurare la realtà della dignità delle vittime, né la riprovevole condotta della sua azienda in quelle comunità che, dopotutto, alimentano i suoi guadagni e rendono possibile la costruzione dell' “Orbit” a Londra.
Refik Hodžić è un giornalista, regista ed attivista bosniaco, attualmente direttore delle comunicazioni presso l'International Center for Transitional Justice.