Al processo in corso all'Aja uno degli imputati rompe il silenzio, ammette il proprio ruolo nel crimine e ne ricostruisce le modalità
Mercoledì 14 maggio è iniziato presso il Tribunale Internazionale dell'Aja il processo nei confronti di quattro ufficiali serbo-bosniaci accusati di aver pianificato e diretto il massacro di migliaia di Bosniaco Musulmani a Srebrenica nel luglio del 1995. Si tratta del secondo processo per i fatti di Srebrenica. L'ufficiale in comando dei quattro accusati, il generale Radislav Krstic, è già stato condannato per genocidio nel giugno del 2000.
Una settimana prima dell'avvio di questo secondo processo, tuttavia, uno degli imputati ha modificato la propria posizione. Nel corso di una confessione fiume, il 6 maggio, l'ufficiale di sicurezza delle forze serbo bosniache Momir Nikolic ha non solo ammesso la propria responsabilità ma ha anche accettato di testimoniare contro gli altri imputati, Vidoje Blagojevic, Dragan Jokic e Dragan Obrenovic.
Pubblichiamo l'articolo del settimanale bosniaco "Dani" del 9 maggio 2003 titolato "Operazione di morte a Srebrenica", che ricostruisce la confessione di Nikolic. La selezione e la traduzione dell'articolo sono a cura di Notizie Est
Di: Emir Suljagic ("Dani" Sarajevo, 9 maggio 2003)
Traduzione: Notizie Est
E' sempre stato solo un opportunista. Nella Jugoslavia socialista è stato docente ONO e DSZ presso la scuola superiore di Bratunac, un posto riservato solo ai membri più fedeli del partito. All'inizio del mese di gennaio 1992 è diventato membro del Comitato di crisi del SDS a Bratunac per poi essere promosso alla fine di quell'anno a ufficiale addetto alla sicurezza nella Brigata di Bratunac dell'Esercito della Republika Srpska (VRS). Dopo la caduta di Srebrenica, nel luglio 1995, è diventato un assassino. Momir Nikolic è stato tutto questo per un solo e unico motivo: perché così richiedeva la situazione.
Nel pomeriggio di martedì 6 maggio, accompagnato da due guardie, indossando un abito verde scuro e con evidente nervosismo, Momir Nikolic è stato portato in una sala di tribunale. Nell'attesa che cominciasse l'interrogatorio è rimasto seduto mordendosi le labbra, guardandosi attorno solo di tanto in tanto. Aveva l'aria di uno il cui desiderio è quello che tutto finisca il più presto possibile. Otto anni fa non sapeva nulla; sei anni fa non si ricordava di niente; un anno dopo essere stato arrestato nella casa di famiglia a Bratunac, Nikolic si è dichiarato colpevole di crimini contro l'umanità e ha accettato di testimoniare contro gli altri incriminati. In cambio, il pubblico ministero ha accettato di ritirare gli altri quattro capi d'accusa nei suoi confronti.
LA PIANIFICAZIONE DELLE UCCISIONI
Ricordiamo: era accusato di genocidio a Srebrenica insieme al comandante della Brigata di Bratunac, Vidoj Blagojevic, al capo del comando della Brigata di Zvornik, Dragan Obrenovic, e al capo ingegnere di tale brigata, Dragan Jokic.
La sua ammissione di colpa probabilmente è la maggiore svolta nei sette anni di indagini condotte su Srebrenica dalla pubblica accusa dell'Aia. La sua dichiarazione di colpevolezza è particolarmente importante perché è Nikolic di Bratunac, perché conosceva la maggior parte delle proprie vittime, così come conosce anche quelli che sono sopravvissuti. In città era stimato, così come dopo la guerra era temuto.
Nikolic ha passato tutte le fasi: da quella di partecipante a uno dei più grandi crimini di massa nell'ultima metà dello scorso secolo, fino a quella di revisionista negli anni dopo la guerra e a quella di pentito un anno dopo nella prigione ONU di Scheveningen. Solo sette anni fa, rispondendo alle domande di Elizabeth Neufer, giornalista del "Boston Globe", affermava di non sapere nulla dei massacri a Srebrenica. "Mi chiede di commentare qualcosa di cui non so assolutamente nulla", aveva detto.
Particolare altrettanto importante: accettando l'accusa, Nikolic per la prima volta ha illustrato i dettagli della pianificazione e dell'esecuzione di questo omicidio di massa. Una dichiarazione di colpevolezza che fa gelare il sangue nelle vene, in parte anche per l'arido linguaggio burocratico con il quale è scritta; porta alla luce chi, quando, come, dove e in quale modo ha ucciso le diecimila persone. Perché? - una domanda alla quale non c'è ancora risposta.
"La mattina del 12 luglio 1995 mi sono incontrato con (...) il tenenete colonnello Vujadin Popovic, capo della sicurezza del Corpo d'armata della Drina, e con il tenente colonnello Kosoric, capo dei servizi informativi del Corpo d'armata della Drina. In tale occasione il tenente colonnello Popovic mi ha detto che tutte le donne e i bambini musulmani che si trovavano a Potocari dovevano essere portati via in direzione del territorio sotto controllo musulmano nei pressi di Kladanj e che gli uomini abili al combattimento che si trovavano nella massa dei civili musulmani dovevano essere separati, incarcerati temporaneamente a Bratunac e successivamente uccisi".
Ricordiamo, Srebrenica è caduta la sera dell'11 luglio. Tra la decisione di uccidere tutti gli uomini e la caduta dell'enclave era passata solo una notte. Nei sette giorni successivi bisognava preparare tutto, organizzare gli autobus, i camion, gli alloggi, il carburante, trovare i luoghi in cui effettuare le uccisioni... Era una grande operazione. E Nikolic ancora una volta ha dato tutto se stesso.
"Il tenente colonnello Kosoric ha aggiornato tali informazioni e abbiamo discusso dei luoghi adatti per rinchiudere gli uomini musulmani prima di ucciderli", ha raccontato. Nikolic racconta di avere "indicato alcuni luoghi concreti" nel corso di tale colloquio: una vecchia scuola elementare e media, e un hangar. "I tenenti colonnelli Popovic e Kosoric hanno parlato con me dei luoghi in cui sarebbero stati uccisi gli uomini temporaneamente rinchiusi". Poi hanno "discusso nei dettagli" di due luoghi possibili, la fabbrica di mattoni della città e la miniera Sase.
Secondo le sue ammissioni, Nikolic nel corso della stessa giornata ha "coordinato e supervisionato il trasporto delle donne e dei bambini verso Kladanj, nonché la separazione degli uomini abili al combattimento". Il massacro ha coinvolto molte più persone di quanto sembrava in un primo momento, o di quanto chiunque avesse voluto.
Alla deportazione ha partecipato direttamente anche la polizia speciale della Republika Srpska (RS) e il suo capo, Dusko Jevic, ha passato tutta quella giornata con Nikolic a Potocari. Oltre a loro, in tale grande impresa dovevano essere coinvolte tutte le unità che avevano partecipato al precedente attacco contro la città. Oltre alla polizia speciale, al fianco di Nikolic c'erano anche "la polizia militare del Corpo d'armata della Drina sotto il comando del maggiore Petrovic, il 'lupo della Drina', truppe della 10a sezione diversionista, truppe della polizia militare del 65o reggimento di difesa, il 2o e 3o battaglione di fanteria della Brigata di Bratunac e la polizia civile con pastori tedeschi".
IL TRASPORTO E IL MASSACRO
Uno dei particolari che indica con quale attenzione sia stato messo a punto l'intero piano è, tra gli altri, il fatto che nei primi convogli di civili che hanno lasciato Potocari il 12 luglio vi erano anche alcuni uomini. "E' stato fatto così appositamente per i soldati olandesi e le telecamere della televisione serba, ma quegli uomini sono stati successivamente separati presso i punti di controllo, prima che potessero arrivare a Kladanj".
Dopo questo trucco propagandistico, la deportazione ha potuto continuare. Ma, con l'andarsene delle telecamere, sono stati tolti tutti i freni ai soldati serbi. Nikolic ha ammesso come subito dopo, infatti, i soldati serbi abbiano "malmenato e aggredito fisicamente" i civili. "Io ero personalmente a conoscenza di questi atti, ma non ho fatto nulla per fermarli, né per impedire alle forze sotto la mia supervisione di compierli".
Il Nikolic di quei giorni me lo ricordo come un uomo lontano, quasi irriconoscibile. Arrivava alla base ONU a Potocari su una Zastava con le sospensioni sfondate, in compagnia del cognato Petar Uscumlic, traduttore degli osservatori militari. Ma quel giorno traduceva solo per Nikolic. Petar, in una conversazione svoltasi a Potocari alcuni giorni dopo, ha rassicurato Hasan Nuhanovic di non avere visto i suoi genitori nello stadio di Bratunac. Nikolic allora sapeva benissimo quale era stato il loro destino.
Il 12 luglio sera faceva già arrivare il primo rapporto al suo comandante, Blagojevic. "Ho raccontato anche dell'operazione di trasporto delle donne e dei bambini (...) così come dell'operazione di separazione, reclusione e uccisione degli uomini abili al combattimento. Mi era chiaro che il colonnello Blagojevic era completamente a conoscenza dell'operazione di trasporto e uccisione e che si attendeva che io proseguissi".
Il 13 luglio mattina, presso il comando della Brigata di Bratunac, si è tenuto un incontro tra Ratko Mladic e Vujadin Popovic, Dragomir Vasic e Radislav Krstic. Nikolic dice di non avere partecipato a tale riunione, ma quindici minuti dopo che era terminata, aveva ricevuto da Blagojevic l'ordine di continuare il lavoro del giorno precedente. E ha eseguito quanto gli era stato ordinato.
Quel giorno, comunque, Nikolic si era incontrato con Mladic a Konjevic Polje. Lungo tutta la strada tra Bratunac e Konjevic Polje vi erano prigionieri. Mladic era arrivato sul posto circa all'una del pomeriggio. "E' uscito dalla vettura e ci siamo incontrati a metà strada. Gli ho fatto rapporto spiegandogli che non c'erano problemi. Si è guardato attorno e ha visto i prigionieri". Alla domanda di un prigioniero che temeva per il proprio destino, Mladic ha detto di "non preoccuparsi, che li avrebbero portati tutti via di lì".
"Dopo che Mladic se ne è andato, ho portato con la mia automobile a Bratunac uno dei prigionieri, Resid Sinanovic. Sinanovic era un prigioniero importante, perché era nell'elenco dei criminali di guerra e in precedenza era stato capo della polizia a Bratunac". Quando è arrivato in città, racconta, lo ha consegnato al comandante della Polizia militare, Zlatan Celanovic. Di Resid Sinanovic da allora si è persa ogni traccia.
Nikolic è quindi tornato a Konjevic Polje, su un trasportatore olandese rubato, dal quale il suo poliziotto Mile Petrovic invitava la gente a consegnarsi. "Subito dopo avere attraversato Sandic, abbiamo fermato il trasportatore quando ci si sono consegnati sei musulmani". Li hanno portati a Konjevic Polje, dove dovevano unirsi al gruppo più grande di prigionieri che si trovavano già sul posto. "Abbiamo sentito provenire da vicino raffiche d'arma da fuoco. Una decina di minuti dopo è venuto da me Mile Petrovic e mi ha detto: 'Capo, ho appena vendicato mio fratello... li ho uccisi'". Tutti e sei.
L'APPELLO DI MLADIC
A Bratunac continuavano ad arrivare prigionieri. Stava calando l'oscurità, non c'erano mezzi di trasporto e non era possibile portarli a Zvornik, dove dovevano essere uccisi. "Si veniva così a creare una situazione molto instabile. Per risolverla, il colonnello Ljubisa Bear, Miroslav Deronjic, Dragomir Vasic e io ci siamo incontrati nei locali del SDS a Bratunac". Deronjic, che Radovan Karadzic in quei giorni aveva nominato amministratore civile di Srebrenica, era preoccupato più di tutti gli altri per la sicurezza della città.
"Durante l'incontro si è parlato apertamente dell'operazione di uccisione e tutti i partecipanti hanno affermato di avere presentato i loro rapporti ai propri superiori", racconta Nikolic. Alla fine è stato comunque raggiunto un accordo secondo cui i prigionieri sarebbero stati ancora sorvegliati "da truppe della Polizia militare della Brigata di Bratunac, da diverse forze civili del Ministero degli Interni e da volontari armati di Bratunac". Era un crimine in cui dovevano essere coinvolti tutti.
Già il giorno dopo, 14 luglio, la maggior parte dei prigionieri era stata trasportata a Zvornik. Alcuni, però, non hanno mai lasciato Bratunac. "Ho ricevuto un rapporto secondo cui la sera del 13 luglio circa 80-100 musulmani erano stati uccisi nell'hangar presso la scuola Vuk Karadzic. I loro corpi sono stati buttati sul pendio di un colle e poi sotterrati", spiega Nikolic. Anche quelli che sono stati uccisi a Zvornik sono stati uccisi nelle giornate immediatamente successive.
L'operazione è durata fino all'autunno 1995 e i soldati di Nikolic hanno catturato e ucciso i sopravvissuti che per mesi hanno vagato per i boschi. Quando anche questi sono stati uccisi, bisognava nascondere tutte le tracce dei crimini. E ancora una volta è stato compito di Momir Nikolic.
"Nel periodo dal settembre all'ottobre 1995 la Brigata di Bratunac ha riaperto, scavando insieme alle autorità civili, una fossa comune a Glogova e altre fosse comuni contenenti vittime musulmane dell'operazione di massacro, spostando i cadaveri in singole fosse disposte lungo un'ampia area del territorio di Srebrenica", ha spiegato Nikolic nella dichiarazione da lui firmata.
Anche questa volta ne aveva ricevuto l'ordine, afferma, da Vujadin Popovic. A guerra finita le tracce fisiche del crimine erano state distribuite in posti disparati e profondamente sotto il terreno, nel maggio del 1996 erano stati distrutti gli ultimi documenti riferentesi a quel periodo. Il nuovo capo della sicurezza del Corpo d'armata della Drina, Rade Pajic, è giunto a Bratunac accompagnato da due suoi ufficiali; il successore di Nikolic al posto di capo della sicurezza della Brigata di Bratunac, capitano Lazar Ostoji, e lo stesso Nikolic hanno distrutto "i documenti che potevano compromettere me e la Brigata di Bratunac".
Nonostante sembrasse un bersaglio molto evidente, Nikolic è diventato oggetto di indagini dell'Aia solo nel dicembre 1999. Poco prima del primo colloquio con i giudici istruttori, è stato invitato a un incontro presso il comando della Brigata di Zvornik. "Lì mi sono incontrato con il generale Andric, con Dragan Jokic, Lazar Ostojic, Dragan Jeftic e il generale Miletic... il generale Miletic si è appellato al nostro patriottismo... e il generale Andric ha detto che dovevamo dire il meno possibile". Subito dopo tale incontro, Nikolic è stato visitato da agenti dell'OBS, che lo hanno avvertito "di non dire nulla della loro partecipazione a questa vicenda".
Nikolic questa volta non ha obbedito agli ordini. Trovatosi di fronte alla possibilità di venire condannato all'ergastolo, oppure preso da rimorsi di coscienza, ha ammesso sia i crimini sia il ruolo che egli vi ha avuto. E così come dopo l'uccisione di 10.000 persone nulla è stato uguale a prima, anche dopo tutto questo non lo sarà. Ora anche gli assassini sanno che li hanno assassinati.