L'Osservatorio sui Balcani ha intervistato per telefono Kada Hotic, vice-presidente dell'associazione "Movimento delle madri di Srebrenica e Zepa" che riunisce alcune famiglie e parenti delle vittime del genocidio di Srebrenica.
In seguito alle dimissioni del governo olandese legate a responsabilità, perlomeno indirette, nella caduta dell'enclave di Srebrenica nel luglio del 1995 abbiamo ritenuto opportuno intervistare una rappresentante dei parenti delle vittime del massacro. Emerge una forte insoddisfazione per un'individuazione di "responsabilità morali" che però non porterà nessuno davanti ad un giudice.
Ci può descrivere brevemente le caratteristiche dell'associazione che rappresenta?
La nostra associazione è costituita da persone che provengono non solo da Srebrenica ma da nove altre municipalità situate nella regione di Srebrenica. Con la caduta della zona "protetta" dalle Nazioni Unite molti sono stati uccisi, gli altri si sono rifugiati in prevalenza nel cantone di Sarajevo e di Tuzla. All'indomani della tragedia abbiamo sentito la necessità di organizzarci in associaizone. Abbiamo perso, tra parenti, conoscenti, amici, quasi 10.000 persone.
Fin dal 1997, anno nel quale ci siamo registrati presso il ministero della Giustizia, ci occupiamo attivamente della ricerca di persone scomparse. In realtà quest'attività la portavamo avanti anche prima ma si può dire che in quell'anno sia nato formalmente il "Movimento delle madri delle enclaves di Srebrenica e Zepa".
I membri della vostra associazione attualmente dove vivono? Ve ne è qualcuno che è ritornato a Srebrenica?
I nostri soci abitano in prevalenza nel cantone di Sarajevo, ma poi anche in quello di Tuzla e Doboj-Zenica. Al momento della registrazione dell'associazione potevamo contare su più di 8000 soci. Ora la situazione è cambiata, molti si sono trasferiti all'estero, parecchi sono morti. Per questo non sono in grado di darle attualmente una cifra esatta sui nostri consociati.
Un mese fa un gruppo di donne di Srebrenica ha denunciato alcuni tra i più alti funzionari delle Nazioni Unite di fronte ad un tribunale a Bruxelles accusandoli di avere grossi responsabilità nella caduta di Srebrenica. Ha partecipato all'iniziativa anche la vostra associazione?
Siamo stati tra i promotori dell'iniziativa che ha portato a presentare una denuncia contro le Nazioni Unite per responsabilità nel massacro di Srebrenica. Lo abbiamo fatto in collaborazione con due altre associazioni, una con sede nel cantone di Sarajevo che si chiama "Le madri di Srebrenica" ed una di Tuzla, le "Donne di Srebrenica".
Siete venuti a conoscenza della presentazione di un rapporto da parte del NIOD, nel quale si cerca di dare una dettagliata analisi di ciò che è avvenuto a Srebrenica nell'estate del 1995?
Naturalmente si, abbiamo anche ricevuto copia dell'inchiesta e devo dire che siamo totalmente insoddisfatti di ciò che è stato scritto. Riteniamo sia poco corretto ed ingiusto.
In che senso?
Nel senso che il battaglione olandese non ha mai riconosciuto la propria colpevolezza e quindi le proprie responsabilità rispetto a ciò che è avvenuto a Srebrenica. Addirittura abbiamo la sensazione che spesso, a proprio discapito, si sia addirittura tentato di attenuare i crimini compiuti dai serbi. Affermando ad esempio che Karadzic non si è mai trovato nei pressi di Srebrenica mentre il massacro veniva compiuto, affermando che Milosevic non aveva idea di ciò che stava avvenendo. Sembra che vi abbia partecipato esclusivamente Maldic, nella veste di comandante dei serbo-bosniaci.
Abbiamo saputo dai notiziari televisivi delle dimissioni del governo olandese. Hanno affermato di sentire la responsabilità morale per ciò che è avvenuto. Per noi questo non significa molto, anzi significa quasi niente. Non ha una grande importanza poiché sembrano quasi esclusivamente questioni politiche interne alla stessa Olanda. Tutt'altro significato avrebbe l'individuazione dei responsabili e la loro consegna all'Aja.
Quali le reazioni in Bosnia sulle responsabilità delle Nazioni Unite, colpevoli di non aver saputo fermare il massacro?
Vi sono state reazioni forti, anche ai recenti avvenimenti di cui si parlava prima, soprattutto tra i familiari ed i conoscenti delle vittime di Srebrenica. Tra quelli che hanno vissuto la tragedia sulla loro pelle. Abbiamo anche organizzato manifestazioni di fronte all'ambasciata olandese a Sarajevo e siamo riusciti ad ottenere un incontro con lo stesso ambasciatore olandese al quale abbiamo dichiarato la nostra insoddisfazione rispetto al rapporto da poco pubblicato. Ci si aspettava infatti un rapporto più equo e giusto. Ci si aspettava ne potesse uscire la verità e che i responsabili venissero chiamati a chiarire la propria posizione davanti ad un tribunale.
L'opinione pubblica bosniaca ha invece reagito in modo molto tiepido. Lo stesso governo bosniaco, che dovrebbe prestare molta attenzione alla questione, non ha avuto quasi nessuna reazione.
Siete dunque critici rispetto al limitarsi all'individuazione di una generica "responsabilità morale" della Comunità Internazionale?
Per noi "responsabilità morale" non significa nulla. Se è responsabile ad esempio il generale Ton Karremans, comandante delle truppe olandesi a Srebrenica, è giusto venga processato. Se, al posto suo sono responsabili le persone dalle quali lui riceveva gli ordini è giusto che siano questi ad essere portati di fronte ad un giudice. Lo stesso vale per i più alti funzionari delle Nazioni Unite di allora o per esempio per il generale francese Philip Morillion, per un periodo a capo della missione UNPROFOR. E, se vi sono, occorre considerare eventuali responsabilità dello stesso Boutros Boutros Ghali o di Kofi Annan. Senza l'individuazione chiara di responsabilità dirette ed indirette non ci sarà mai giustizia.
State continuando nella vostra attività di raccolta di documenti e dati sui dispersi?
Si, stiamo continuando con tenacia alla raccolta di questi dati, ne possediamo già molti.
Quale sostegno ricevete in questo dalle autorità bosniache?
Per quanto riguarda la raccolta di dati, informazioni e documenti sui dispersi riceviamo un aiuto consistente dall' ICMP (International Commission on Missing Persons). Quest'ultimo ci fornisce i finanziamenti che ci permettono di tener aperto il nostro ufficio. Dal governo riceviamo solo piccoli aiuti sotto forma di pensioni di invalidità, che permettono alle famiglie più disagiate di sopravvivere, nulla più.