Vibra la penna dello scrittore Jergovic sulle pagine del settimanale DANI, dando forma a un meditato commento sul senso del patriottismo in Bosnia Erzegovina, con riferimenti tanto al passato quanto al presente. Nostra traduzione
Di Miljenko Jergovic, Dani, 30 dicembre 2005 (tit. orig. Patriotizam)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Una volta, un uomo, certamente più intelligente di noi, disse che il patriottismo è l'ultimo rifugio di tutte le canaglie. Che fosse così, avrebbero potuto accertarsi, se solo avessero voluto farlo, o se avessero osato, i cittadini di tutti paesi post jugoslavi. Da Triglav fino a Gevgelija, e in modo particolare in Croazia, in Bosnia e in Serbia, non c'è stato assassino, ladro o signore che abbia fatto un buon affare con la privatizzazione e che non fosse un patriota. La maggior parte di questi ha spesso avvertito i membri del proprio popolo della mancanza di patriottismo. Lo facevano pubblicamente, tramite i giornali o la televisione, dalle chiese o dalle moschee, e il peccato di cui avvertivano il popolo di regola, direttamente o indirettamente, riguardava i rapporti ormai buoni e stretti con le altre nazioni e religioni. Colui che sgozzava nel nome della propria religione e nazione veniva visto come un patriota dalla maggior parte del popolo, un de luxe grande croato ed un extra grande serbo, persino anche se questa stessa maggioranza non approvava il suo crimine. Ma colui che era troppo buono con i vicini e che li difendeva con più veemenza di quanto rivolgeva a se stesso, era e rimaneva un debole croato, in nessun modo un serbo, ma anche un bosgnacco di cui dubitare. Così era il patriottismo sud slavo, e non è molto diverso nemmeno oggi. Così è, dunque, con il patriottismo (domoljublje) e il patriottismo (rodoljublje) con la patria (domovina) e la patria (otadzbina), che si chiamasse Croazia o Serbia. E com'è in Bosnia ed Erzegovina? Come per tante altre cose, almeno tre volte più difficile che negli altri nostri paesi.
Una bella parola per la Bosnia in Bosnia significa almeno tre cose diverse. Quando un serbo chiama il suo paese con il suo vero nome, e quando a quel nome aggiunge anche una bella parola, necessariamente lui pensa la Bosnia come la patria di tutti i suoi tre popoli, e perciò, qualche volta, potrebbe sentirsi da solo. Ma lui è consapevole che la Bosnia nello stesso modo appartiene a tutti i bosniaci, e che nessuno ha su di essa un maggiore o minore diritto storico, culturale o vitale. Quando un croato considera la Bosnia come la sua vera patria, lui forse nutre delle riserve riguardo i diritti degli altri verso questo paese. Naturalmente, ciò non si riferisce a tutti i croati, ma sicuramente si riferisce ad alcuni di loro. E alla fine, quando un bosgnacco considera la Bosnia come sua patria, facilmente succede che lui crede che i serbi e i croati verso la Bosnia abbiano un tantino meno diritto, e che tutto ciò che è bosniaco, sia più bosgnacco che serbo o croato.
E' logico che fosse così. Nel 1990 i serbi iniziarono a rinunziare alla Bosnia, così cambiavano anche i nomi delle città per dimenticarla, e ad un certo punto cercarono di cambiare anche la loro lingua, solo per far sì che non fosse bosniaca, o che non fosse la lingua serba al modo dei serbi bosniaci. I croati iniziarono a rinunziare alla Bosnia tre anni dopo, ma il loro rinunciare era un po' diverso, anche se non meno drammatico. Alla fine i bosgnacchi rimasero gli unici a non rinunziare alla Bosnia, perché non avevano niente per cui rinunziarvi. Ma né gli uni né gli altri né gli altri ancora hanno mai pensato di rinunziare al paese. Rinunziavano solo al nome e al contenuto culturale.
Oggi è chiaro che la Bosnia, insieme al suo nome e all'identità, rimarrà là dov'è, così sarebbe da aspettarsi che si creasse una cornice del suo essere bosniaco. Si tratta di qualcosa di necessario per questo paese, forse anche più necessario della sua riforma politica, perché altrimenti potrebbe rimanere in uno stato provvisorio fra i paesi che contano. E la gente non vuole vivere in modo provvisorio, sia per motivi razionali che emotivi. Invece, il problema consiste nel fatto che nel nostro essere bosniaci, nella serie di rinunce e in qualche rivendicazione, da qualche parte si è smarrito il vero senso e la sostanza delle cose.
La Bosnia ed Erzegovina non deve essere imposta a nessuno come una cornice patriottica, e nessuno ha il diritto pronunciare verità finali su quale dovrebbe essere la sostanza del comune essere bosniaci. Nessuno dei suoi popoli ha maggiore diritto su questo paese, e nessuno dei suoi popoli è passato alla definitiva identità bosniaca. E' assurdo portare prove per sapere di chi sono gli antenati che da più tempo sono in Bosnia. Non solo è assurdo, è anche impossibile. Inoltre, a nessuno bisogna prescrivere la misura e il tipo di amore, o il rapporto generale verso il paese in cui vive. Non bisognerebbe dimenticare che proprio quel tipo di prescrizione nel recente passato della Jugoslavia ci è costato tristezza e sfortuna. Dunque, nella prima fase del suo governo, quella che è durata fino alle prime idee slovene sulla separazione, la leadership di Milosevic insistette sul patriottismo jugoslavo e non su quello serbo, e i suoi esperti dei media ogni giorno si occupavano delle valutazioni su come e chi è jugoslavo, mandando al diavolo tutti quelli che in realtà erano in modo insufficiente dei buoni serbi. Non è per niente importante sapere se allora Milosevic era veramente per la Jugoslavia o se era una forma di mimetismo, ma resta il fatto che a molti sloveni e croati e a qualche bosniaco, l'idea della possibilità di quel paese si distoglieva dal pensiero con la monopolizzazione della Jugoslavia e dell'essere jugoslavi. Naturalmente, anche in quella situazione la storia serba era l'unica vera storia jugoslava, e i serbi erano il popolo jugoslavo fondamentale.
La Bosnia ed Erzegovina è un paese che appartiene interamente anche a quelli che la odiano e che la disprezzano, benché vi abitino. Non gli appartiene di meno che a quelli che la considerano una ed unica. Non può e non deve essere diversamente. In un paese dove sono tutti ugualmente giovani e ugualmente vecchi, il popolo fondamentale è composto da tre popoli. E il patriottismo bosniaco, se non fosse da mascalzoni e se fosse bello secondo la misura della bellezza di questo paese, potrebbe essere basato solo sulla vergogna per ciò che è stato fatto nel tuo nome, per quello che hanno fatto i tuoi concittadini, i membri della tua stessa stirpe o i membri della tua religione. I vicini si possono solo rispettare non aspettandosi da loro che si vergognino. Ciò vale per tutti i tre popoli, a prescindere da quanto ciascuno abbia sofferto. Fra l'altro, l'uomo la cui sofferenza è stata profonda e reale si vergognerà prima e più facilmente dei suoi peccati, di colui che non ha mai sofferto. L'uomo che ha assaporato la sofferenza sa che solo la vergogna ci rende persone degne, è la vergogna che ci differenzia dai ladri e dagli assassini, la vergogna ci rende buoni sulla terra, la vergogna ci salva dal peccato della superbia, la vergogna è di coloro i quali hanno avuto rispetto. Solo nella vergogna capiamo quanto sia grande la sofferenza altrui. E ciò, almeno nel caso della Bosnia, è la base del patriottismo e della dignità umana.