Il paese ha di recente adottato un lungamente atteso documento sulla strategia di politica estera, che però non fa che evidenziare le divisioni interne
(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 9 aprile 2018)
La recente adozione da parte della Bosnia Erzegovina di una nuova strategia di politica estera potrebbe sembrare, di primo acchito, un notevole successo. Ma il documento, approvato lo scorso mese dalla Presidenza tripartita, dimostra quanto siano profonde le divisioni in seno alla Bosnia Erzegovina relativamente alle relazioni con l'Unione europea, la Nato ed i paesi vicini Serbia e Croazia.
La politica estera bosniaca ha a lungo riflettuto le divergenze tra i tre membri (bosgnacco, croato-bosniaco e serbo-bosniaco) della Presidenza e tra i vari partiti politici del paese. La strategia di politica estera recentemente approvata, che definisce le linee guida per la Presidenza tra il 2018 e il 2023, non fa nulla per invertire la tendenza.
Un documento che si dilunga su questioni generali mentre entra poco su questioni specifiche e che sa molto di “tre strategie sotto lo stesso tetto”, la versione in salsa politica estera del sistema molto criticato delle “due scuole sotto lo stesso tetto”, un sistema scolastico diviso sul piano etnico che caratterizza la Bosnia Erzegovina del dopoguerra e nel quale i bambini croato-bosniaci e bosgnacchi frequentano classi diverse nello stesso edificio.
A seguire tre esempi sul perché questo documento non farà altro che acuire le tensioni etno-politiche all'interno del paese.
I legami con la Russia
La strategia della Presidenza invita allo sposare la politica estera e di sicurezza dell'Ue, partecipando alle “misure restrittive” nei confronti di “paesi terzi ed entità” e implementando “una cooperazione tra i vari dipartimenti e una valutazione comune dei rischi”. Si riafferma il desiderio della Bosnia Erzegovina di entrare a far parte dell'Ue.
Ciononostante il paese non ha seguito la chiamata all'azione di Bruxelles nei confronti del soggetto che più di altri viene considerato come un rischio per la sicurezza dell'Ue: la Russia.
Diversamente dall'Ue non ha avviato sanzioni contro persone fisiche ed aziende russe a seguito dell'annessione della Crimea, nel 2014, da parte della Federazione russa.
E non ha nemmeno – come sottolineato recentemente dal Centro per gli studi sulla sicurezza di Sarajevo – sostenuto alcuna delle decine di dichiarazioni fatte dall'Ue sulle azioni di Mosca in Ucraina o contro la sua presunta offensiva cibernetica nei confronti di potenze occidentali.
Le ragioni del silenzio sono evidenti. Non verranno mai decise sanzioni perché i serbo-bosniaci – che come altri serbi della regione hanno forti legami culturali con la Russia – boicotterebbero ogni tentativo in quella direzione. Tutti i partiti politici della Republika Srpska – entità serba della Bosnia – lo hanno sottolineato spesso e in modo chiaro.
Consapevole di questo la Russia ha sostenuto con forza il leader della Republika Srpska, Milorad Dodik, vedendolo come principale baluardo contro l'adesione della Bosnia alle strutture euro-atlantiche.
Non a caso il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato Dodik almeno 6 volte dal 2014, e Dodik ha recentemente annunciato che l'ennesimo incontro avverrà in maggio di quest'anno.
Un Centro culturale e religioso russo-serbo, la cui costruzione inizierà quest'estate a Banja Luka, rafforzerà ulteriormente i legami di Mosca con la Republika Srpska e la sua influenza sulla Bosnia Erzegovina.
L'adesione alla Nato
Nella nuova strategia sulla politica estera si cita anche un'eventuale adesione alla Nato come “prioritaria” affermando che su quest'ultima vi sarebbe “ampio consenso politico”.
Ma in realtà, questo consenso, non esiste.
Nonostante il governo federale a Sarajevo abbia più volte espresso il proprio interesse nell'avviare un piano di adesione alla Nato, l'assemblea della Republika Srpska ha approvato, lo scorso ottobre, una risoluzione non vincolante nella quale ci si oppone all'adesione alla Nato.
Nella risoluzione approvata si afferma che la Republika Srpska si impegna a coordinare il suo status futuro con la Serbia, dove l'opposizione all'adesione alla Nato rimane forte. L'alleanza atlantica bombardò il paese nel 1999 per porre fine alla campagna militare del presidente jugoslavo Slobodan Milošević in Kosovo.
Milorad Dodik ha dichiarato che farà il possibile per bloccare qualsiasi sforzo che spinge la Bosnia verso la Nato. Ed insiste sulla neutralità militare della Bosnia, nonostante una legge approvata nel 2005 identifichi l'adesione all'alleanza atlantica come una priorità del paese.
Le relazioni con Serbia e Croazia
Altro esempio della schizofrenia bosniaca relativamente agli affari esteri riguarda le relazioni con i vicini, Serbia e Croazia, con i quali la Bosnia Erzegovina condivide un passato turbolento e questioni confinarie ad oggi irrisolte.
Bosgnacchi, serbo-bosniaci e croato-bosniaci hanno opinioni differenti in merito a come dirimere le questioni di confine.
L'esempio più recente è la demarcazione del confine tra Bosnia e Serbia in tre aree contese lungo il fiume Drina. I serbo-bosniaci condividono l'idea della Serbia di procedere attraverso lo scambio di territori mentre i politici bosgnacchi sono contrari, chiedendo più tempo per andare più a fondo nella questione.
Da un'altra parte del paese Bosnia e Croazia sono bloccate da più di dieci anni sulla disputa della penisola di Pelješac dove Zagabria intende costruire un ponte sopra uno stretto corridoio di mare della Bosnia Erzegovina. Il ponte collegherebbe Ragusa (Dubrovnik) al resto della Croazia, dando al paese continuità territoriale bypassando il territorio bosniaco.
I politici croato-bosniaci appoggiano pienamente la costruzione del ponte ma quelli bosgnacchi s'oppongono in modo deciso. Affermano che l'altezza del ponte progettato sarebbe troppo bassa ed impedirebbe alle grandi navi di attraccare al porto bosniaco di Neum. Per risolvere la questione alcuni politici bosniaci vogliono portarla davanti ad un arbitrato internazionale.
Dati questi presupposti è improbabile che il parlamento federale bosniaco ratifichi questa strategia. E la campagna elettorale già tesa in vista delle politiche del prossimo ottobre non aiuterà certo.
Ma anche se, per miracolo, il parlamento ratificherà questo documento, cambierà ben poco per la politica estera del paese.