Tutti prosciolti da una Corte della Republika Srpska gli 11 ufficiali incriminati per la morte del prete cattolico di Prijedor, Tomislav Matanovic, e della sua famiglia. L'ex capo della polizia Simo Drljaca sarebbe l'unico deus ex machina delle violenze nella cittadina. Le reazioni dei gruppi di difesa dei diritti umani

25/02/2005 -  Anonymous User

Di Gordana Katana, Banja Luka, per IWPR, 18.02.05. (Tit. or.: "Bosnia: Shock at War Crimes Acquittal")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta

La decisione di una Corte della Repubblica Srpska, RS, di prosciogliere un gruppo di ex ufficiali di polizia, nell'unico procedimento fino ad oggi relativo a crimini di guerra, ha suscitato rabbia ed incredulità.

Il verdetto della Corte Distrettuale di Banja Luka dell'11 febbraio è stato descritto come "scioccante", e politici ed analisti avvertono che potrebbe avere serie implicazioni per il futuro dell'entità serba di Bosnia.

L'Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Paddy Ashdown, aveva già in precedenti occasioni avvertito la RS che il suo continuo fallimento nel cooperare col Tribunale dell'Aja per i crimini di guerra avrebbe potuto portare ad una revisione degli accordi di Dayton, che avevano fatto nascere l'entità statuale.

Il verdetto della Corte della RS, dicono gli osservatori, ha evidenziato l'apparente riluttanza dell'entità serba di Bosnia nell'affrontare il suo passato.

"Questo conferma che il futuro della RS è in serio pericolo se il suo apparato giudiziario continua a funzionare come sta facendo in questo momento," ha detto Branko Todorovic, direttore esecutivo del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della RS, che ha seguito il caso fin dal principio.

"Questo caso ha dimostrato chiaramente che la RS è incapace di garantire l'applicazione della legge sul suo territorio."

Gli ex ufficiali - Ranko Jakovljevic, Miroslav Cadja, Mile Rodic, Drazen Rakovic, Rade Savic, Gojko Kesic, Zoran Banovic, Miroslav Zec, Djordje Jelcic, Zoran Milojica e Slobodan Muzgonja - erano accusati di avere imprigionato illegalmente il prete cattolico Tomislav Matanovic e i suoi genitori Josip e Bozana tra il 14 e il 19 settembre 1995. Il delitto era stato qualificato come crimine di guerra contro civili, secondo il codice penale della RS.

I cadaveri dei tre furono ritrovati in un pozzo di Prijedor nel 2001, ma gli ufficiali non furono mai accusati degli omicidi - anche se fu accertato che essi furono gli ultimi a vedere la famiglia viva.

Un rinvio a giudizio per crimini di guerra fu emesso contro il gruppo alla fine di gennaio 2003, ed il processo iniziò il 17 maggio di quell'anno. Più di 50 testimoni furono chiamati a deporre nel corso del processo.

Nel suo riepilogo dopo il verdetto, la settimana scorsa, il giudice presidente Dusko Bojovic ha detto che le prove presentate al processo non avevano indicato che il gruppo fosse colpevole dei crimini di cui era accusato.

"Le deposizioni dei testimoni confermano che l'ordine di imprigionare la famiglia Matanovic venne da Simo Drljaca, l'allora capo del centro di sicurezza pubblica," ha detto il giudice.

"Non ci sono elementi che indichino che essi potessero aver ragione di credere che l'ordine fosse illegale, perché altri cittadini non serbi erano detenuti a Prijedor nello stesso modo, a causa della situazione caotica che a quel tempo c'era in città."

Drljaca era il sindaco di Prijedor all'epoca ed è stato accusato dal Tribunale di essere responsabile di una serie di crimini di guerra commessi nella zona. Fu ucciso in uno scontro a fuoco con soldati della SFOR nel 1997, durante un fallito tentativo di arrestarlo.

Todorovic ha detto a IWPR che la sua organizzazione non aveva ancora avuto l'opportunità di analizzare le trascrizioni del verdetto e le conclusioni del giudice.

"Comunque, sulla base del nostro continuo monitoraggio del processo, si può dire che apparentemente la polizia e il procuratore hanno commesso una serie di errori investigativi, col risultato che alla Corte mancavano fatti rilevanti che avrebbero potuto portare ad un verdetto di colpevolezza," ha dichiarato Todorovic.

Ha aggiunto che si trattava di un problema serio, da prendere in considerazione per essere sicuri che non si ripetano in futuro assoluzioni in casi simili.

Todorovic ha sottolineato che il caso Matanovic non è il primo esempio dell'incapacità del sistema giudiziario della RS di dimostrare di essere pronto a gestire simili processi, puntualizzando che nessun altro rinvio a giudizio per crimini di guerra, contro Serbi o contro cittadini non serbi, era mai stato emesso nella decade trascorsa da che gli accordi di Dayton posero fine alla guerra in Bosnia.

Questo fallimento - unito al costante rifiuto delle autorità della RS di arrestare gli inquisiti dell'Aja latitanti che si pensa si trovino nell'entità - ha causato una serie di avvertimenti e censure da parte dell'Alto Rappresentante della comunità internazionale Paddy Ashdown.

Diversi funzionari d'alto grado della RS sono stati rimossi dai loro posti, e Ashdown ha suggerito che il piccolo Stato potrebbe perfino cessare di esistere se non migliorerà i suoi risultati e non accrescerà la cooperazione con il Tribunale.

Tomislav Tomljanovic, il croato vice portavoce dell'Assemblea Nazionale della RS, ha parlato a IWPR della sua "incredulità" nel sentire del proscioglimento. "Ci siamo messi in una situazione paradossale con questo verdetto," ha detto.

"Siamo tutti consapevoli del fatto che molti crimini di guerra sono stati commessi nella RS eppure questi poliziotti sono stati prosciolti. Ciò prova solo che il potere giudiziario locale non è pronto per processi sui crimini di guerra."

Muharem Murselovic, ex detenuto dei famigerati campi di prigionia di Omarska e Keraterm a Prijedor, ora deputato per il Partito per la Bosnia Erzegovina Stranka za BiH, ndt nel parlamento della RS, condivide l'opinione di Tomljanovic.

"Sono assolutamente scioccato dal verdetto, perché dopo di questo, nessun caso correlato a questi omicidi di Prijedor può essere provato," ha detto.

"Il fatto è che la famiglia Matanovic fu deliberatamente assassinata. Ora abbiamo una situazione in cui l'intera colpa è stata addossata al defunto Simo Drljaca invece di stabilire le responsabilità individuali per il crimine."

"Non importa quante malvagità abbia commesso Drljaca, è comunque inaccettabile pretendere che sia stato l'unico responsabile di tutti i delitti commessi a Prijedor."

Murselovic - che ha assistito alla riesumazione dei resti della famiglia Matanovic nel villaggio di Trakoscani nel 2001 - ha notato che essi erano stati messi agli arresti domiciliari prima di essere uccisi, e che l'autopsia mostrava che tutti e tre erano ammanettati al momento della morte.

Pur sottolineando di non avere l'intenzione di contestare il verdetto della corte, il deputato ha espresso la sua disapprovazione.

"Io non posso dire se tutto questo è stato fatto deliberatamente oppure no, ma mostra chiaramente che il popolo della RS non è pronto ad affrontare quello che è accaduto durante la guerra," ha aggiunto Murselovic.

L'ufficio del vescovo cattolico di Banja Luka ha rilasciato una dichiarazione pubblica di questo tenore: "Non è possibile accettare il fatto che il caso legato all'omicidio di Matanovic e dei suoi genitori si sia effettivamente chiuso con il proscioglimento degli 11 ufficiali di polizia".

Mentre l'ufficio sottolineava di non ritenere gli 11 prosciolti colpevoli del delitto, esortava le autorità della RS a riprendere le investigazioni sugli omicidi nel tentativo di portarne i responsabili di fronte alla giustizia.

Gli analisti che hanno seguito il caso sono unanimi nel ritenere che la polizia e l'ufficio del procuratore hanno la responsabilità del verdetto, dovuto al modo trascurato in cui entrambi hanno condotto le investigazioni.

Il vice presidente dalla RS Tomljanovic ha concluso: "Temo che il caso Matanovic possa porre un cattivo precedente per future ulteriori investigazioni, nel qual caso la Corte di Stato bosniaca non avrà altra scelta che assumersi essa stessa la responsabilità di svolgere i processi per crimini di guerra."

In risposta alle richieste di IWPR, l'ufficio del procuratore distrettuale di Banja Luka ha dichiarato che dovevano ancora ricevere una spiegazione scritta del verdetto e che perciò non erano nella posizione di rilasciare commenti sul caso.

Ma una fonte vicina al procuratore distrettuale, parlando sotto anonimato, ha espresso sorpresa per il giudizio della Corte.

L'ufficio del procuratore non ha voluto dire se verrà presentato un appello.

Nel frattempo, l'ufficio dell'Alto Rappresentante in Bosnia e il governo di maggioranza nazionalista di Banja Luka si sono entrambi rifiutati di fare commenti sul caso.

*Gordana Katana è corrispondente di Voice Of America a Banja Luka