Il ponte ottomano di Konjic, Bosnia Erzegovina (foto G. Vale)

Il ponte ottomano di Konjic, Bosnia Erzegovina (foto G. Vale)

Quello che avviene lungo la Neretva è un pattern che si ripete in tutti i Balcani: dei fiumi spesso incontaminati diventano improvvisamente di interesse per imprenditori a caccia di fondi pubblici facili. Nel suo tratto superiore sono in corso una decina di cantieri per centrali idroelettriche

29/04/2022 -  Giovanni Vale

(I fiumi sono oggi lo strumento migliore per raccontare i Balcani. Risorsa preziosa da salvaguardare, luogo di attenzione particolare da parte degli ambientalisti della regione, luogo di sconfinamento e avvicinamento. Ma anche cartina tornasole per stato di diritto e corruzione. Vai all'introduzione a una serie di reportage - di cui il seguente fa parte - sui fiumi dei Balcani)

Ulrich Eichelmann non ha dubbi: "Bisogna accendere i riflettori sulla Neretva superiore". L’ecologista tedesco, da dieci anni alla guida di River Watch, un’organizzazione non governativa con sede a Vienna ed impegnata nella protezione dei corsi d’acqua, vuole portare lungo la Neretva, ed in particolare lungo il suo tratto più inaccessibile e selvaggio (la Gornja Neretva), il lavoro fatto in Albania attorno al fiume Vjosa. Un tempo minacciata da progetti di dighe e centrali idroelettriche, la Vjosa è recentemente diventata un parco naturale, in seguito alle pressioni degli ambientalisti. In futuro dovrebbe ricevere un livello di protezione ancora più elevato: quello di parco nazionale.

"La Neretva settentrionale potrebbe seguire questo percorso", afferma Eichelmann, che ha scelto proprio questa parte della Bosnia Erzegovina (BiH) per la terza edizione della «Science Week», una settimana di ricerca che coinvolgerà quest’estate più di venti scienziati provenienti da tutto il mondo, organizzata da River Whatch e da altre ONG nell'ambito della campagna Blue Heart. Le prime due edizioni della Science Week si sono appunto tenute lungo la Vjosa in Albania. "Il primo passo per la difesa di un corso d’acqua è la raccolta di informazioni sui diversi aspetti della sua vita", spiega Eichelmann. Dati alla mano, si può poi fare pressione sulle autorità, chiedere maggiore protezione, fino ad arrivare all’ottenimento di uno status giuridico particolare.

Cosa minaccia la Neretva superiore? Dall’altro capo della videochiamata, il fondatore di River Watch sospira. "Ci sono molti progetti di centrali idroelettriche previsti in quest’area", risponde Ulrich Eichelmann. Il tratto in questione va dalle sorgenti del fiume fino alla città di Konjic, un’area a cavallo tra Republika Srpska e Federacija, le due entità della BiH. Dei circa dieci cantieri in programma, il più importante è quello di Ulog dove, per conto del gruppo energetico EFT, un consorzio cinese sta costruendo una diga alta 53 metri. "I lavori sono iniziati nel 2013, poi due frane hanno ucciso due persone e imposto uno stop. Ma nel 2017, il cantiere si è spostato di 100 metri ed è ripartito", racconta Eichelmann sconsolato.

Se la diga di Ulog e le altre centrali dovessero essere costruite, la Gornja Neretva diventerebbe un susseguirsi di barriere, canali e impianti. Cosa andrebbe perso dal punto di vista ambientale? Il paradosso è che nessuno lo sa con certezza. A fine 2020, sei ONG (tra cui River Watch) hanno presentato un reclamo presso la Convenzione di Berna (un trattato internazionale promosso dal Consiglio d’Europa e ratificato anche da Sarajevo) accusando la Bosnia Erzegovina di aver autorizzato i lavori in questo tratto del fiume senza adeguati studi di impatto ambientale. A fine 2021, il Comitato permanente della Convenzione ha accolto il reclamo e chiesto ulteriori informazioni alle autorità bosniache.

Quello che avviene lungo la Neretva è un pattern che si ripete in tutti i Balcani: dei fiumi spesso incontaminati diventano improvvisamente di interesse per imprenditori a caccia di fondi pubblici facili. Uno studio del settembre 2019 , realizzato da WWF, Bankwatch e altre ONG, nota che "tra il 2009 e la fine del 2018, almeno 380 piccole centrali idroelettriche sono state costruite nella regione [ovvero nei Balcani occidentali, ndr.]", portando il loro numero totale da 108 a 488. Ancor più interessante, "nel 2018, il 70% dei fondi per le rinnovabili è stato destinato alle piccole centrali idroelettriche”, nonostante queste ultime abbiano prodotto nello stesso anno solo il 3,6% dell’elettricità complessiva.

Manifesto contro le mini centrali elettriche imbrattato a Mostar (foto G. Vale)

Manifesto contro le mini centrali elettriche imbrattato a Mostar (foto G. Vale)

Neve, rafting e cimiteri

A metà dicembre, la sorgente della Neretva è seppellita dalla neve. Al telefono con Boban, un guardapesca di Kalinovik, insisto per organizzare un’escursione con la jeep, ma vengo rapidamente riportato alla realtà. "Non c’è modo di arrivarci, la strada non è percorribile", mi spiega pazientemente Boban. Non vedremo dunque il cartello blu che indica «Izvor Neretve» (appunto, sorgente della Neretva), situato alla fonte di uno dei ruscelli che danno vita al grande corso d’acqua balcanico. Il viaggio è rimandato alla bella stagione. Il fiume, invece, avvia comunque il suo cammino, lambendo il fianco meridionale della Zelengora e procedendo verso nord-ovest per 38 km, fino ad Ulog.

In questo paesino abbarbicato sulle colline attorno alla Neretva, vivevano negli anni Sessanta 5mila persone. Oggi sono rimasti in dodici. C’è ancora la moschea, la chiesa ortodossa e quella cattolica, ma le rispettive comunità sono scomparse. In un reportage pubblicato a fine 2021 , il portale bosniaco Klix si chiede se questo non sia il destino che attende tutto il paese, colpito da una pesante emigrazione. "Ulog fa pensare a quei villaggi italiani in cui le autorità locali vendono le case ad un euro allo scopo di rivitalizzare le aree rurali", scrive Klix, ma la differenza è che "mentre le autorità italiane stanno lavorando per rianimare località come questa, Ulog tra qualche anno sarà completamente dimenticata".

Ma le cose non devono per forza andare in questo modo. Klix immagina come Ulog potrebbe diventare una destinazione di viaggio, immersa com’è nella natura, e lo stesso Ulrich Eichelmann di River Watch sostiene che "la creazione di un parco nazionale darebbe una visione a tutta l’area, mentre ora la gente se ne va per mancanza di futuro". Gli elementi per costruire un’offerta culturale e turistica non mancano. La Neretva settentrionale è già stata scoperta dagli amanti del rafting, in particolare nel tratto tra Glavatičevo e Džajići, 20 km a nord-ovest di Ulog in linea d’aria. Ogni anno migliaia di persone scelgono questo canyon per pagaiare lungo il fiume, adatto, nei mesi estivi, anche ai principianti.

Ci sono poi i sentieri di trekking e di mountain bike. Seguendo l’affluente Rakitnica verso nord, attraverso una delle gole più profonde d’Europa, si arriva ad esempio al villaggio di Lukomir, sull’altipiano della Bjelašnica. Situato a 1500 metri d’altezza, a 50 km a sud di Sarajevo, questo paesino è spesso descritto come il più alto insediamento permanente della Bosnia Erzegovina (gli abitanti fissi sono una ventina), nonché un museo etnologico a cielo aperto, avendo attraversato quasi intatto gli ultimi burrascosi secoli di storia del paese. Attorno a Lukomir, inoltre, così come in altri luoghi lungo la Neretva, si trova una delle eredità più emblematiche della Bosnia medievale: gli stećci.

"Si tratta di pietre tombali che ritroviamo nella valle della Neretva così come in altre località dei Balcani", afferma Emir Filipović, professore di Storia medievale all’Università di Sarajevo. Gli stećci sono iscritti al patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco come un sito condiviso tra Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia e Montenegro, per un totale di quasi 30 cimiteri. "Fu un fenomeno culturale: queste pietre indicavano uno status symbol più che un segno d’appartenenza religiosa. Indipendentemente dalla propria professione di fede, infatti, chi poteva permetterselo lasciava dietro a sé un monumento funebre di questo tipo", prosegue Filipović.

Oggi queste necropoli sono particolarmente numerose in Erzegovina e lungo la Neretva. Questo perché – spiega lo storico – si tratta di un’area che fu economicamente florida nel Medioevo, poiché situata lungo le rotte commerciali che collegavano la Bosnia alla Repubblica di Ragusa. "Tra il XIV e il XV secolo, i commerci fioriscono, in particolare grazie alle miniere d’argento della Bosnia", aggiunge Filipović. Il fiume fungeva allora da via di comunicazione primaria e portava ricchezza. Anche oggi la Neretva ha un ruolo economico di primo piano, ma è legato soprattutto ad un unico settore: quello della produzione di energia elettrica.

«L’energia idroelettrica non è rinnovabile»

L’arrivo a Konjic, una cittadina di 26mila abitanti, è marcato dalla Stara Ćuprija, un ponte ottomano realizzato a fine Seicento e distrutto dai nazisti nel 1945 (è tornato alla sua forma originale soltanto nel 2009). D’estate, le sue belle sei arcate si rispecchiano nell’acqua trasparente di una placida Neretva, ma quando arriviamo in città, in pieno inverno, il fiume è gonfio di pioggia e la corrente è torbida. Oltre la Stara Ćuprija, la Neretva non sarà più quel fiume immacolato che abbiamo visto finora. La mano dell’uomo interviene in modo deciso e quattro grandi centrali idroelettriche, tutte di epoca jugoslava, ci separano dal mare Adriatico. La prima è situata subito dopo Konjic ed è quella che crea il lago artificiale di Jablanica.

Il ponte vecchio di Konjic (foto G. Vale)

Il ponte vecchio di Konjic (foto G. Vale)

In un’epoca in cui si parla di energie rinnovabili, di transizione energetica e, ultimamente, anche di indipendenza dal gas russo, esprimersi contro l’idroelettrico può sembrare assurdo. In fin dei conti, l’idroelettrico è considerato una fonte di energia rinnovabile o «verde» e permette all’Europa di produrre elettricità in loco, senza doverla importare. Ma nella pratica la situazione è più complicata. Spezzettata dalle dighe e prosciugata dalle centrali costruite sui suoi affluenti (sulla Neretvica, lunga 30 km, sono previste 15 piccole centrali idroelettriche), la Neretva ha meno volume che in passato. Lo lamentano, ad esempio, i contadini del delta che d’estate devono combattere il risalire dell’acqua marina.

Ma c’è anche la questione della flora e della fauna, con il caso emblematico della trota marmorata (glavatica in bosniaco), che pare abbia dato il suo nome al paesino di Glavatičevo sulla Neretva. "A Glavatičevo quella trota non la si pesca più", lamenta Sanel Riđanović, professore di Ecologia all’università “Džemal Bijedi” di Mostar. "In passato, gli sloveni sono venuti qui a recuperare alcuni esemplari della trota per ripopolare l’Isonzo, ma a breve toccherà a noi andare in Slovenia, perché dalle nostre parti questo pesce sta scomparendo", prosegue Riđanović, che aggiunge "per ogni estinzione che avviene oggi, il responsabile in ultima istanza è l’uomo".

Le considerazioni del WWF sono senza appello: le dighe trattengono sedimenti che proteggerebbero i letti dei fiumi e i delta, emettono metano e CO2 dai loro bacini idrici o ancora bloccano le rotte migratorie dei pesci, causando una grande perdita in termini di biodiversità. Inoltre, nonostante la presenza di quasi 20mila centrali idroelettriche nell’Unione europea, si prevede di costruirne altre 6mila circa e di queste un terzo in aree protette, con un impatto ancora più forte sull’ambiente. Contro l’idroelettrico, infine, va citata anche la poca resilienza al cambiamento climatico: questa fonte di energia dipende dalla continua disponibilità di acqua, ma con l’aumentare dei periodi siccità, l’energia prodotta in questo modo diminuisce.

Ecco che le associazioni per la difesa dell’ambiente insistono perché la transizione energetica premi il fotovoltaico o l’eolico, piuttosto che l’idroelettrico. "Il danno che produce è troppo grande", riassume Ulrich Eichelmann di River Watch, che chiosa "è per questo che stiamo facendo lobby in Europa affinché l’idroelettrico non sia più considerato rinnovabile". Il cambio di passo, però, è per il momento lento. Da un lato, la Banca europea per la costruzione e lo sviluppo (BERD) ha irrigidito le condizioni di finanziamento per le mini centrali idroelettriche, ma dall’altro i progetti che sono già stati approvati rischiano di essere portati a termine e le banche commerciali continuano a sostenere questi cantieri.

La parola “fine” può arrivare solo con l’istituzione di un’area protetta, un parco nazionale, come si spera di poter fare lungo la Gornja Neretva. Dalle sorgenti a Konjic, il fiume sarebbe allora in grado di scorrere liberamente e l’area che lo circonda potrebbe scegliere un modello di sviluppo diverso, più in sintonia con l’ambiente. Certo, questa trasformazione non potrà essere attuata senza risolvere anche la questione energetica: in Bosnia, il 60% dell’elettricità prodotta arriva dal carbone e l’idroelettrico è in seconda posizione con quasi il 38%, perlopiù dovuto alle grandi centrali sulla Neretva e sulla Drina. Solare e eolico sono praticamente a zero. Che sia ora di cambiare le cose? Molti bosniaci rispondono di sì.