Gala Bell è un'artista multidisciplinare, nata a Zagabria, vissuta inizialmente in Bosnia e trasferitasi a Londra, dove tutt'ora vive e lavora. La sua arte va dalla tradizione classica, con materiali convenzionali, come olio e tela, alla sovversione della tradizione con statue di zucchero e dipinti fritti
Gala Bell vive e lavora a Londra. I critici definiscono la sua arte come multidisciplinare perché indaga i processi artistici tradizionali attraverso la trasformazione di materiali non tradizionali. In varie occasioni, parlando delle sue opere, è stata sottolineata la dimensione del gioco in un intreccio tra laboratorio, cucina e atelier, come anche il ricorso alle pratiche condivise dei “metodi dell’artigianato digitale”.
Parla di sé come se fosse un personaggio di uno spettacolo minimalista. L’anno scorso, a Venezia, durante una visita alla Biennale, alla classica domanda bosniaca: “Ma tu, ragazza, da dove vieni?”, mi ha risposto con poche parole. È nata a Zagabria, i primi tre anni della vita li ha trascorsi in Bosnia, per poi trasferirsi a Londra, dove ha studiato e dove ora lavora come libera artista.
Abbiamo subito deciso di parlare il naški [la nostra lingua, termine spesso utilizzato da chi viene dall’ex Jugoslavia per indicare il serbo-croato], come la prima volta quando, in Toscana, durante una sua visita ad un’amica, avevo visto alcune sue opere ancora in fase di creazione. In quell’occasione avevo avvertito una sorta di energia emanata dai colori dei suoi dipinti e una parvenza d’astrazione. Semplicemente, quei colori diffondevano scintille di gioia, o almeno così mi era sembrato in quel momento. Non le avevo mai chiesto se quella mia sensazione corrispondesse almeno in parte alla verità. Ma anche se le avessi fatto questa domanda e se fosse emerso che la pensava diversamente da me, non sarei rimasto per nulla sconcertato. Quando un’opera d’arte viene osservata da altre persone non appartiene più solo al suo autore.
La parvenza di cui sopra è evidente, almeno per me: in base al punto di osservazione, ma anche lasciandosi guidare da quello sguardo che credo tutti abbiamo indipendentemente dalla nostra posizione rispetto ad un’opera d’arte, uno stesso quadro può suscitare in noi la sensazione di essere di fronte ad esempio ad una cascata o ad un vortice di foglie portate dal vento – le foglie così colorate esistono solo nei sogni. Oppure può sembrarci di trovarsi in un mondo messo sottosopra abitato da animali dai colori surreali – dalle mucche alle lucertole, dai pesci alle gru cenerine. Osservando quelle opere di Gala Bell non potevo che riflettere sul potere dell’astrazione che allude al concreto e al figurativo.
Di primo acchito, pare che Gala Bell sia propensa a realizzare opere di qualsiasi formato. Ma solo di primo acchito poiché – ed è una prassi che accomuna i pittori contemporanei a quelli del passato – la scelta del formato è frutto di un’attenta analisi e di una sintesi tra l’idea e la sua incarnazione. È disposta ad utilizzare tutte le tecniche, ma sembra prediligere l’olio perché offre infinite possibilità di mescolare i colori (ed è un materiale duraturo, come anche lo zucchero in cui l’artista ha riconosciuto una nuova sfida).
L’arte di Gala Bell è evoluta abbracciando installazioni e dipinti mobili in una sintesi di colori e luci. Un’evoluzione in cui alcuni critici d’arte londinesi hanno riconosciuto certe sfumature malinconiche . In un’intervista Bell ha affermato che la sua arte è una risposta all’artificiosità del mondo o, per citare le sue parole, “una reazione alla sostanza e alla situazione”.
“Il mio atteggiamento verso l’arte è sperimentale ed esplorativo. I principali temi del mio lavoro riguardano la luce, l’alchimia, la trasformazione e il colore come una ricetta o materiale capace di incarnare quelle idee. La mia pittura sempre comporta una metamorfosi dalla figurazione all’astrazione, testando i pigmenti per capire come uno può illuminare e l’altro gettare ombra, in un equilibrio tra brillare, avanzare e retrocedere”, ha spiegato Bell in un'intervista , precisando: “Sono un’artista dedita alla pittura e alla scultura. Il mio lavoro oscilla tra tecniche tradizionali e quelle non convenzionali, e attualmente cerco di estenderlo per abbracciare anche le pratiche sociali”.
Sono contento di imbattermi in saggi dei critici d’arte che nella scrittura non vedono un obbligo, bensì una vocazione e fonte di piacere, che poi si trasmette anche al lettore. Parafrasando le riflessioni di alcuni critici londinesi sull’arte di Gala Bell, sintetizzo le loro osservazioni più importanti. La sua prassi multidisciplinare coltiva due correnti: la prima rispetta la tradizione classica e barocca, l’altra invece cerca di sovvertire quella tradizione. Utilizzando i metodi e i materiali non convenzionali, di solito quelli che si trovano in cucina, Bell trasforma il suo atelier in un laboratorio, creando statue di zucchero e quadri fritti.
Ce lo spiega meglio la stessa artista. “Le mie installazioni, come le scultura di zucchero e dipinti fritti, si focalizzano sulla luminosità, la trasparenza e il passaggio della luce, in particolare in associazione con liquidi, gel e materiali semitrasparenti. Mi interessa il modo in cui categorizziamo, classifichiamo e concepiamo il mondo attraverso i valori: un sistema da noi creato che pone alcuni materiali al di sopra degli altri per via della loro rarità, la difficoltà di estrazione, il tempo e il lavoro, la bellezza o la narrazione. Il lavoro di installazione che utilizza il cibo esplora questi temi in relazione alle differenze di gusto e di classe, sfumando i confini tra le gerarchie”.
Prima ho accennato ad alcuni aspetti sociali del lavoro di Gala Bell. In questo contesto, non posso non menzionare il suo impegno nell’organizzare i workshop creativi per giovani a cui collaborano anche alcuni dei suoi colleghi. La sua opera Imago Mundi affronta i temi quali unione, confini, migrazioni, inclusione, comunità.
“L’arte è attivismo”, sostiene Gala Bell . “Le mappe rappresentano un luogo, tracciano la complessa storia delle migrazioni, del commercio e dei mutamenti della terra e dei territori. Le nuove generazioni innescano cambiamenti che continuamente modificano la nostra lettura della mappa del mondo. La prima fotografia della Terra scattata dallo spazio [al di là dei confini del sistema solare] risale al 1990. Prima di allora le mappe venivano disegnate da artisti, talvolta intrecciando idee spirituali e cartografia empirica”.
L’artista sottolinea che le prime immagini del mondo furono create a Babilonia, incise su una tavoletta di argilla. “Abbiamo ‘Imago Mundi’, la prima immagine del mondo del IX secolo a.C. Lavorando con un gruppo di giovani in una casa di comunità, siamo riusciti a portare a termine un progetto impegnativo, elaborando una nostra interpretazione della mappa del mondo.
Si tratta di un grande murales composto da 1035 piastrelle di ceramica dipinte a mano dai bambini ospitati dalla comunità locale Hogarth Center e da un’organizzazione di beneficienza denominata West London Welcome che assiste gli individui che hanno subito violazioni dei diritti umani o che potrebbero essere costretti a lasciare le loro case. ‘Imago Mundi’ è un momento di celebrazione della comunione di persone; è stato creato da un collettivo i cui membri hanno condiviso momenti positivi e hanno avuto l’opportunità di segnare il proprio territorio e cambiare qualcosa…”.
Gala Bell critica le istituzioni che dovrebbero sostenere vari progetti artistici, ma non sembrano disposte a rinunciare allo snobismo. Ad ogni modo, l’artista preferisce parlare dei suoi colleghi. Francis Alys è uno dei suoi artisti preferiti la cui produzione abbraccia diversi aspetti socio-politici difficili da affrontare. Alys è abile nel condensare il suo lavoro in un’unica azione o idea “la cui esposizione è ottimistica, emozionante e genuinamente stimolante. Lavora molto con i bambini, focalizzandosi sul gioco, e questo conferisce al suo lavoro una nobile dimensione di ottimismo, sincerità e innocenza. […] È altruista”.
Shimabuku è un altro artista che piace a Gala Bell poiché crea installazioni strazianti e comiche al contempo, intrise di una tristezza giapponese che Bell trova meravigliosa. Le piace in particolare l’opera di Shimabuku intitolata Do snow monkeys remember snow mountains? Gala Bell parla anche dell’influenza che il manifesto Creare pericolosamente di Camus ha esercitato sulla sua opera, senza dimenticare “il vischioso” di Sartre.
L’artista viaggia molto, accetta gli inviti a esporre le sue opere all’estero, dove peraltro trascorre lunghi periodi di lavoro.
E lì?
Solo una volta, una decina di anni fa. A Visoko, in una vecchia fabbrica di scarpe, aveva esposto alcune opere, nell’ambito di una mostra collettiva: le vecchie banconote jugoslave disposte su cubi di legno. Con una penna aveva oscurato intere banconote, lasciando visibili solo i volti rappresentati e gli ultimi due zeri. L’unica banconota più recente era quella del tallero sloveno, anch’essa ormai tra gli oggetti di antiquariato della Storia.
Accetterebbe l’invito di una galleria della regione?
Certo.
Non volevo rovinare il nostro incontro affrontando un tema che ci avrebbe solo rattristati, quello dello sviluppo di un particolare vizio negli staterelli della regione, ossia della tendenza a lasciar cadere – intenzionalmente? – nell’oblio gli artisti nati lì che attualmente vivono e lavorano altrove.
Perché turbare la visita di Gala Bell alla Biennale?