Un commento di Andrea Rossini, autore del documentario "Europa, Srebrenica", sulle dimissioni del governo olandese a seguito della pubblicazione del rapporto su Srebrenica
Era un segreto di Pulcinella: dopo anni di assordanti denunce da parte delle associazioni di donne, schiaccianti ricostruzioni di media indipendenti, mezze verità ufficiali, anche una commissione olandese evidenzia infine le responsabilità dei caschi blu di quel Paese nella caduta di Srebrenica. E, sette anni dopo, Wim Kok, premier di centro sinistra (coalizione liberal-laburista) che ha portato i Paesi Bassi alla (quasi) piena occupazione, è costretto alle dimissioni. Lui era infatti il premier anche in quei giorni del luglio '95, quando Ratko Mladic, dopo aver brindato con Ton Karremans, comandante olandese responsabile della difesa della piccola enclave a ridosso della Drina, irruppe in città.
Noi in Italia ricordiamo soprattutto una cosa di quei giorni: una prima pagina del Manifesto con la foto di una donna impiccata ad un albero. Era una delle migliaia di sfollate che erano state stipate su autobus e cacciate da Srebrenica. Separati da loro, nella fila organizzata da Serbi e Olandesi ("collaboratori involontari", li definisce il rapporto), gli uomini furono uccisi in massa. Quanti i morti? Settemila, novemila, diecimila? Invece che alla Croce Rossa meglio domandare alle tante comunità di donne che in Federacja (la parte 'Croato-Musulmana' della Bosnia) vivono ancora nei tanti centri collettivi (Tehnograd, Doborovci, Gaj, ...) o in case altrui, come a Vozuca (Zavidovici), a Sarajevo e in mille altri luoghi. Comunità surreali, queste comunità di donne, con cui in questi anni tanti comitati locali e associazioni italiane hanno cercato di allacciare dei contatti, di stabilire delle relazioni di vicinanza, di comunità, nel più grande imbarazzo e difficoltà.
Quali progetti fare, come riuscire a parlare con loro? Strette tra la naturale pulsione al radicamento in un territorio nuovo e una ostinata volontà di ritorno (il dogma della comunità internazionale), queste comunità di donne ancora oggi sopravvivono di misere pensioni pagate dal governo. I grandi giochi della politica internazionale non si curano delle loro vicende. Loro quei giochi li hanno sempre subiti, e non sembra che questa ultima notizia possa rappresentare una inversione di tendenza. Wim Kok si dimette. Dopo sette anni. Perché? Tra un mese (15 maggio) in Olanda ci sono le elezioni. Il rapporto del NIOD (Istituto Nazionale di Documentazione sulla Guerra), avallato da due ministri in carica, secondo i maligni viene pubblicato in questi giorni con un tempismo sospetto. Una ondata di letame sul governo in carica, che tenta il 'beau geste' (le dimissioni) in un difficile tentativo di recuperare dignità. Forse sette anni fa il gesto sarebbe stato più apprezzato. In ogni caso, le prospettive internazionali di Kok (si parlava di lui come di un possibile successore di Prodi) sono tramontate. L'Olanda ospita più di una istanza giuridica internazionale (la Corte Internazionale di Giustizia, il Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia) e questa vicenda solleva un certo imbarazzo...
I vertici politici e militari dell'epoca sono accusati di aver tentato di occultare la vicenda, di aver inviato dei caschi blu per puri motivi di prestigio, in modo irresponsabile, di aver provocato una illusione di protezione nei confronti dei profughi provenienti da villaggi e cittadine vicini, e di aver infine ordinato ai caschi blu di assistere alla caduta della città senza intervenire. Ma cosa rappresenta Srebrenica?
Srebrenica rappresenta il momento culminante nella umiliazione e distruzione dell'ONU compiute in questo decennio. Mai come in quel luogo le 'truppe internazionali di pace' hanno dimostrato di essere conniventi, impotenti, inutili, agli ordini dei propri governi. L'ONU è morta a Sarajevo, hanno scritto Riva e Dizdarevic. E a Srebrenica è stata sepolta. Da lì in poi non si parla più di ONU, ma di Nato. E Srebrenica rappresenta il simbolo della pulizia etnica. La pulizia etnica che ha vinto. Ci raccontano spesso che in Bosnia non ha vinto nessuno, e che questo determina la assurda situazione di instabilità attuale in quel Paese. Non è vero. Hanno vinto loro. I nazionalisti. E questa vittoria determina anche il clima politico e culturale in cui siamo costretti a vivere noi, nel resto dell'Europa. Perché vittorie e sconfitte nella storia non sono mai prive di conseguenze. Ed eccoci in Italia a confronto quotidiano con il razzismo, la xenofobia, la sindrome da invasione, le prediche sulla impossibilità di vivere insieme e sulla necessità di mantenere un equilibrio tra popolazioni autoctone e allogene. In Bosnia Erzegovina intanto una instabilità ormai stabile serve a protrarre la occupazione militare (e questo rapporto ci informa ufficialmente che là in quegli anni hanno combattuto contro le popolazioni civili non soltanto Serbi, Croati e Musulmani, ma anche gli eserciti occidentali).
Non so quanto alle donne di Srebrenica possa interessare delle dimissioni di Kok. Dev'essere consolante dopo sette anni e settemila (e più) morti che una commissione ufficiale ti dia ragione. Ma dopo le dimissioni devono venire le riparazioni. Non la carità. Dopo deve venire un processo di verità che faccia emergere le responsabilità di tutte le parti in causa, non solo quelle di Milosevic. Questo potrebbe aiutare le donne - e noi - a vivere nell'Europa di oggi. E a controbattere alle vittorie dei nazionalisti.