La sicurezza a Srebrenica doveva essere garantita dal contingente olandese dell'UNPROFOR. Non è stato così e nel luglio del 1995 i serbobosniaci hanno conquistato l'enclave massacrando 7500 civili. Ora emergono nuove responsabilità.
E' considerato il più grande massacro di civili compiuto in Europa dal 1945. Ora un gruppo di ricercatori indipendenti olandesi che fanno riferimento al NIOD (Istituto nazionale di documentazione sulla guerra) ha reso noti i risultati di un'indagine commissionata dallo stesso governo olandese, dopo forti pressioni interne ed internazionali, e durata più di cinque anni. I ricercatori hanno denunciato forti responsabilità delle autorità olandesi nella caduta dell'enclave.
Il rapporto commissionato per far luce sul massacro di Srebrenica ha provocato le dimissioni in blocco dello stesso esecutivo, guidato, oggi come allora, dal socialdemocratico Wim Kok. "Mi recherò dalla regina per presentare le dimissioni mie e di tutti i ministri del governo" ha dichiarato il primo ministro olandese all'uscita da una riunione di governo nella quale si discuteva del grave scandalo internazionale causato dai contenuti del rapporto.
Gli estensori del rapporto, pubblicato due settimane fa, ritengono che i soldati olandesi siano stati "collaboratori involontari" nelle operazioni di pulizia etnica ad opera delle milize serbo-bosniache e nella presa dell'enclave sotto "protezione" delle Nazioni Unite. Particolarmente dura la posizione contro il ruolo giocato in quell'occasione dalle Nazioni Unite e dai politici olandesi: "Le considerazioni umanitarie e le ambizioni politiche hanno spinto i Paesi Bassi ad impegnarsi in una missione di pace alla base della quale vi era stata poca riflessione e che era, per le condizioni sul campo, praticamente irrealizzabile". Al governo olandese viene contestato il fatto di aver deciso di impiegare proprie truppe, insufficenti in numero ed in armamento, per difendere effettivamente l'enclave di Srebrenica. E, nel momento dell'attacco dei serbi, il governo olandese per non sacrificare i propri uomini, non impartì mai al proprio generale, Ton Karremans, l'ordine di passare all'azione per difendere i cittadini dell'enclave. I 200 olandesi rimasero quindi inerti spettatori della strage.
Intitolato "Srebrenica, una zona di "sicurezza": ricostruzione, antecedenti, conseguenze ed analisi della caduta di una zona di sicurezza" il rapporto olandese ricostruisce in modo estremamente dettagliato i fatti che hanno portato al massacro di Srebrenica. Non ci si ferma alle responsabilità olandesi. J.C.H. Blom, direttore dell'Istituto, ricorda ad esempio l'assenza di collaborazione delle autorità francesi ."Non abbiamo avuto accesso ai loro archivi e le risposte ad alcune domande che abbiamo posto sono state spesso più brevi delle domande stesse" ha dichiarato quest'ultimo.
Le dimissioni di Wim Kok sono state in parte forzate da una posizione molto dura presa da due dei suoi ministri, il titolare dell'Ambiente Jan Pronk, socialdemocratico come Kok, e quello della Difesa de Grave che hanno avallato immediatamente il verdetto sancito dal rapporto. E certo è pesato anche il fatto che proprio in Olanda, all'Aja, ha sede il Tribunale penale internazionale che cerca di fare chiarezza e giustizia sulle tragedie che hanno sconvolto la ex-Jugoslavia. Ritorna prepotentemente ad accendersi quindi il dibattito pubblico internazionale sul ruolo e sulle responsabilità della stessa Comunità Internazionale in queste vicende.
Poco più di un mese fa un gruppo di donne di Srebrenica aveva fatto causa presso un tribunale di Bruxelles (la legislazione belga prevede che si possano avviare processi per crimini di guerra perpetrati in qualsiasi luogo del pianeta) ai responsabili ONU che non seppero impedire il massacro nella città bosniaca. "Non capiamo perché non debbano rispondere anch'essi di determinate responsabilità" avevano affermato.
Questo tentativo con il tribunale belga viene fatto dopo un altro, fallito, con il Tribunale penale internazionale. Una delegazione di Srebrenica, composta da quattro membri, si era rivolta alla procuratrice del TPI Carla del Ponte il 4 febbraio del 2000. La delegazione riteneva che per la morte di 7.500 civili nella zona protetta di Srebrenica, la responsabilità doveva essere assunta anche dai rappresentanti delle Nazioni Unite. "Ricevuta la richiesta di messa in causa, la signora Del Ponte rispose, per voce del suo vice Graham Built, che Boutros Boutros Ghali, Kofi Annan erano a Srebrenica per una missione di pace e che la causa non sarebbe stata presa seriamente in considerazione" affermano le rappresentanti delle donne di Srebrenica.
Ora le dimissioni del governo olandese non fanno altro che accrescere l'urgenza di approfondire l'analisi delle vicende che in questi anni hanno sconvolto i Balcani e, con onestà intellettuale, valutare anche i gravi errori compiuti in questi anni dalla Comunità Internazionale.