Luci ed ombre della presenza internazionale a Mostar. Una città che a sei anni dalla fine della guerra resta ancora profondamente divisa.
La storia di Mostar è più o meno nota. Nel periodo tra il 1992 e il 1994 il capoluogo erzegovese è sopravvissuto a due guerre terribili, una in cui si sono scontrati i serbi di Bosnia contro croato-bosniaci e musulmano-bosniaci alleati tra loro, e una seconda avvenuta tra questi ultimi. La parte di città che ha maggiormente sofferto è stata Mostar est, quella parte storica abitata maggiormente dai musulmani e bombardata dai croati - che nel novembre del '93 hanno distrutto anche il famoso Ponte Vecchio. Nel 1994 comincia il periodo dell'EUAM, Amministrazione Europea di Mostar - a cui capo viene messo il tedesco Hans Koschnik. La comunità internazionale è tuttora presente a Mostar, con la differenza che ora l'amministrazione internazionale della città viene gestita dall'Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina (OHR). La città è ancora divisa e difatti sussistono diverse amministrazioni - una internazionale, una musulmana, un'altra croata ed una "comune" che in realtà funziona solo sulla carta.
In una situazione così caotica la città ha tentato di riprendersi, ricostruire e far riconciliare le popolazioni vissute lì da sempre. Si deve dire che dal 1994 la ricostruzione ha dato buoni frutti, ma essa ha avuto un picco soltanto nel periodo dell'amministrazione Koschnik tra il 1994 e il 1996. Andata via l'Unione Europea, i progetti realizzati da realtà internazionali sono stati molto pochi.
La difficile sopravvivenza
Per capire quali sono problemi incontrati dalle organizzazioni locali che svolgono attività umanitarie, dobbiamo fare un lavoro di riflessione approfondita. Innanzitutto va detto che negli ultimi sei anni sono nate tante organizzazioni di questo tipo, ma che molte sono anche già sparite. Una situazione, questa, legata alla fine dei finanziamenti, all'inizio di problemi amministrativi, a risse tra membri e a casi di vere e proprie truffe venute alla luce.
La scelta su quale ONG locale usare come esempio, non è stata semplice. Soprattutto se si conosce bene il background delle organizzazioni locali più conosciute, che hanno sempre avuto un determinato numero di dipendenti bravi e poveri, e due o tre dirigenti che in una notte si sono costruiti case a tre piani o che di colpo sono diventati proprietari di auto nuove fiammanti...
Per questo motivo abbiamo scelto "LINK" associazione di cittadini che opera dal 2000, ma che rappresenta il seguito di un progetto avviato dalla organizzazione italiana COSPE (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) di Firenze. Anche perché Amela Becirevic e Meliha Bektas, due tra le persone che gestiscono l'associazione, hanno una lunga esperienza nell'ambiente delle organizzazioni umanitarie e delle agenzie internazionali che hanno operato in questa città e conoscono bene le problematiche che questo lavoro comporta.
"La situazione a Mostar è oramai ben diversa rispetto al periodo '94-'96 - ci dice Amela Becirevic - allora la città era letteralmente divisa, non c'era ancora la possibilità di circolare liberamente. Eppure la divisione di Mostar si sente ancora, è nella testa della gente. Una persona locale che opera nell'ambiente umanitario oggi continua a pensare per categorie... 'Vado dai miei, aiuto i miei', cioè tende a far ottenere finanziamenti a coloro che fan parte della sua nazionalità. Ciò significa che c'è ancora chi non riesce a non essere di parte".
"Noi di Link - ma prima ancora il COSPE - per erogare un credito abbiamo sempre scelto programmi di qualità, al di là della struttura etnica della realtà che proponeva il progetto. Cosi ci è successo che nel primo round di progetti finanziati, più del 70% erano stati presentati da croati" aggiunge Amela. "Loro erano risultati più interessati, ma anche più preparati in progetti di micro-credito". "Esistono poi alcuni progetti dove il cosiddetto 'target del progetto' ci chiede di rispettare rigorosamente la composizione nazionale della popolazione", sottolinea l'intervistata. Rispetto a questo va però ricordato che nel 1994 il Sindaco europeo Koschnik si era trovato a dover rispettare la stessa regola. E l'unica cosa che egli poteva fare, visto che la parte musulmana della città era rasa al suolo mentre quella croata era praticamente intatta, era di consigliare le ONG che lavoravano al di fuori dei progetti UE di operare nella parte più distrutta della città.
Autorità locali: il muro dell'appartenenza etnica
"In un primo periodo è stato molto difficile lavorare con la parte ovest della città in mano ai nazionalisti croati, ma dopo i cambiamenti politici avvenuti a Zagabria con la morte di Tudjman anche a Mostar la situazione è leggermente migliorata" dice Amela "anche se rimangono indelebili alcuni ricordi. Nel 1996 erano di norma atteggiamenti duri, domande di rappresentanti delle autorità locali tipo 'tu che ci fai in questa parte della città, che sei musulmana' se non l'impossibilità di mettersi in contatto con alcuni politici o amministratori".
Alcune volte è veramente impossibile trovare un linguaggio comune, anche quando si scrivono le lettere ufficiali. La lingua che prima era unica, ora si è triplicata. Su questo punto a Mostar si è sempre insistito molto, soprattutto dagli amministratori croati. E così tutti i documenti, le lettere, le domande vanno scritte in due versioni - una croata e una bosniaca - oltre alla lingua inglese per i contatti con le realtà straniere. "Questo continua a succedere" aggiunge Amela Becirevic "anche se noi abbiamo deciso di fare a modo nostro, cioè utilizziamo un linguaggio misto, quindi comune, cercando di usare parole in uso in tutte due le parti della città. Insomma, una lingua che è un compromesso". La situazione risulta quindi alquanto ridicola. Tantissime pagine scritte invano, solo per una decina di parole leggermente diverse, oppure inventate per approfondire le distanze.
Rispetto alla divisione, la comunità internazionale è sempre stata molto cauta anche nelle assunzioni del personale locale. "Utilizzano una specie di par condicio, per cui assumono un croato, un musulmano ed ogni tanto un serbo. E questo non è giusto" rispondono a Link "perché la nazionalità non dovrebbe essere il criterio principale di scelta di un dipendente. Per noi, come dicevano i cinesi, non conta se il gatto è bianco o nero, l'importante è che acchiappi i topi".
Ma la comunicazione è ardua anche perché non c'è volontà di collaborazione. "Alcune volte è molto dura riuscire a mettersi in contatto o almeno avere una risposta da qualche politico". Fax e fax spediti, telefonate su telefonate che rimangono senza interlocutore. E così anche nella pratica. A Mostar, per via di questa dualità, ogni lettera va mandata a due indirizzi. Se il sindaco è croato e il vicesindaco musulmano, devi contattare entrambi altrimenti rischi di non concludere nulla. E così se un assessore è musulmano e il vice assessore croato, o se il presidente appartiene ad una nazionalità e il suo braccio destro è dell'altra. Nell'amministrazione della città tutto è diviso: due conti correnti, fax e telefoni separati, segretarie separate...
Internazionali: poca flessibilità e preparazione
Oltre al rapporto con le autorità locali, c'è da considerare poi il contatto con i tantissimi stranieri venuti a lavorare in Bosnia Erzegovina.
'Riguardo alle ONG straniere c'è un problema, legato alla poca flessibilità nella realizzazione dei progetti. Sono poco disponibili a cambiare ed adattare il progetto alla situazione sul terreno, spesso conosciuta molto poco prima di arrivare a lavorarci. Poi, non danno se stessi nella realizzazione del progetto. Sembra siano qui solo per far il lavoro e andare via. Non fanno nessuno sforzo per lasciare una traccia valida dopo il loro passaggio. Link rappresenta un'eccezione perché COSPE e le persone che ci hanno lavorato hanno lasciato dietro di sé un bene prezioso". Innanzitutto l'idea di formare un'associazione di cittadini, poi una parte di sostegno economico - come l'affitto della struttura pagato per due anni - i computer ed un capitale iniziale da utilizzare per i crediti da erogare.
E' un rapporto duro, quello con gli internazionali dicono le due rappresentanti di Link. 'Non si parla di vera e propria schiavitù, ma a volte sei costretto a seguire uno straniero, che per gioco del destino è il tuo capo, in tutto. Servirlo durante il lavoro, portarlo dal dentista, comprargli un panino. Tutto questo viene considerato parte del tuo lavoro e il capo lo giustifica dicendo 'Io in Africa facevo così'. I locali reagiscono rispondendo che innanzitutto non siamo in Africa ma in Europa, e anche se fossimo in Africa perché si dovrebbe subire un trattamento del genere?. Inoltre molti stranieri arrivati qui a lavorare hanno buone raccomandazioni e giuste conoscenze" concludono sull'argomento le intervistate 'e il più delle volte non sono competenti e preparati. Link ha avuto la fortuna di lavorare con persone che conoscevano bene il proprio lavoro, ma è un'eccezione'.
Sono poche poi le organizzazioni internazionali che pagano i contributi ai dipendenti locali assunti. Questo non rispetto delle regole in vigore viene giustificata con il fatto che i contributi sono altissimi, il 78% dello stipendio netto. Mentre ai locali non è dato sapere a quanto ammonta il peso economico dell'organizzazione sul progetto realizzato. Queste sono voci sempre gestite dagli operatori stranieri, "ma una cosa la cogliamo, che la gran parte dei finanziamenti di un progetto della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina riguarda proprio le spese per il mantenimento degli operatori stranieri, dall'ufficio alla casa, dalle macchine agli stipendi. La sensazione è che in molti casi questa voce di spesa sia più alta di ciò che viene lasciato sul terreno".
A questo quadro si aggiunge la mancanza di coordinamento tra enti internazionali che operano in Bosnia Erzegovina. Così vengono realizzati doppioni di progetto, oppure i progetti vengono copiati e realizzati altrove ma dove non hanno senso, oppure letteralmente "rubati".
Per poter andare avanti, in Bosnia Erzegovina esistono ancora tanti ostacoli da rimuovere. Ad esempio se si deve acquistare, investire o importare qualcosa i problemi sono molteplici. La divisione della Republika Srpska e della Federazione ti obbliga a sottostare a due procedure doganali diverse, che ti richiedono una quantità spropositata di documenti. Le banche sono più numerose degli uffici di cambio valute, e danno poche garanzie ma tassi d'interesse altissimi (a volte più dell'11%). E' difficile comprendere a fondo e spiegare il motivo di molti progetti andati a monte, tante risorse economiche disperse... e i problemi continuano ad essere tanti, probabilmente tanti quanti i motivi per i quali la missione umanitaria, decentralizzata o no, non ha avuto risultati migliori. Tanti perché, a cui dare delle risposte precise spesso è impossibile.