Migliaia di donne sono state torturate e stuprate durante la guerra in Bosnia Erzegovina. Un'indagine sulle condizioni di queste invisibili vittime e dei figli nati dalle violenze, con interviste alla regista del film "Grbavica", e alla direttrice dell'associazione "Donne vittime della guerra". Nostro servizio
Questo articolo viene pubblicato oggi contemporaneamente da Osservatorio sui Balcani e Diario
"Mamma, cos'ho di mio padre? Gli assomiglio?" "No, assomigli a me." "Ma cos'ho di lui?" La mamma fuma nervosamente la sigaretta: "I capelli, sì i capelli".
Esma vive sola con la figlia a Sarajevo. La ragazzina sa che il padre era uno "sehid", un martire nella guerra bosniaca. Ma un giorno deve portare a scuola un certificato, che attesti l'identità del genitore, e il suo mondo comincia a sgretolarsi. La tensione cresce intorno alla reticenza della mamma. che cerca di aggirare la burocrazia scolastica. Finché la ragazza esplode: "Insomma hai idea di chi sia mio padre? Non lo sai, non sai chi ti ha scopato... Dove è morto? Dove è morto? Tu menti! E' tutta la vita che menti!" Nel parapiglia che segue però è la madre che urla la sua rabbia: "...Vuoi la verità? Mi hanno stuprato, ti ho concepita in campo di concentramento! Sei figlia di un cetnico, sei carne di un cetnico!"
Non solo fiction
"Grbavica", durissimo film bosniaco Orso d'oro al festival di Berlino 2006, riporta al centro del dibattito pubblico nei Balcani la questione degli stupri etnici. Nel far riemergere questo rimosso con la violenza delle immagini e dei dialoghi tra Esma e la figlia Sara, "Grbavica" rompe un silenzio durato anni, segnato dalla incapacità di raccontare sia da parte delle vittime che dei media. Una coltre di riserbo (imbarazzo?) ha infatti impedito qualsiasi dibattito sul problema, tanto che oggi è molto difficile ricostruirne le conseguenze, capire quante siano le vittime e in particolare i bambini (oggi ragazzi) nati dalle violenze.
L'autrice del film, Jasmila Zbanic, è una giovane regista di Sarajevo: "La situazione descritta nel film è ovviamente fiction, non è reale. Nella realtà la situazione è molto peggio, e dubito che qualcuno avrebbe altrimenti resistito nel vedere un film del genere, che racconti in quali condizioni vivono le vittime, che cosa hanno vissuto e stanno vivendo. Queste donne semplicemente non sono riconosciute dalla società in cui vivono sotto nessun punto di vista, né politicamente, né economicamente. Non ricevono alcun aiuto, vivono con 30 marchi al mese di pensione in quanto madri sole e questo è tutto".
Adolescente durante la guerra, la Zbanic ha condiviso gli incubi delle donne della sua generazione: "Nel 1992 abitavo a Grbavica un quartiere di Sarajevo, ndr. Sapevamo degli stupri di massa, avevamo il terrore di subire questa violenza da parte dell'esercito serbo, che avrebbe potuto entrare in città in ogni momento, una paura terrificante. Per le donne, durante la guerra, questa è stata l'esperienza più dura. Dopo la guerra ho continuato a leggere sull'argomento: le testimonianze, i traumi, le relazioni dei terapeuti. Dopo aver partorito mia figlia, nel 2000, ho provato il desiderio di raccontare, dopo tanti anni, questa vicenda".
Sulla base del lavoro di documentazione svolto nella fase preparatoria del film, Jasmila Zbanic spiega anche perché sia così difficile, a distanza di anni, fare una stima precisa di quanti furono i bambini nati dagli stupri: "La maggior parte delle donne violentate ha abortito, se gli è stato possibile farlo. Ma molte venivano tenute nei campi di concentramento fino al mese del parto. Liberate dai campi, nella maggior parte dei casi sono state accolte in paesi terzi dove spesso hanno deciso di non riconoscere il bambino. Per cui nessuno sa quale sia il numero di questi bambini, allora nessuno era in grado di tenere il conto..."
Crimini contro l'umanità
Nel corso della guerra in Bosnia Erzegovina, lo stupro è stato utilizzato come strumento specifico di terrore all'interno delle campagne di pulizia etnica. L'analisi del ricorso sistematico alla violenza sessuale tuttavia, secondo diverse organizzazioni di vittime, porta a ridefinire l'intero conflitto come una guerra che, prima ancora che contro i gruppi etnici, è stata contro le donne.
Il Tribunale Internazionale dell'Aja per la ex Jugoslavia ha perseguito specificamente i reati di stupro e riduzione in schiavitù sessuale in quanto crimini contro l'umanità. Questo orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza internazionale, trovando riconoscimento anche all'interno dello Statuto di Roma della nuova Corte Penale Internazionale.
Il primo verdetto espresso in questo senso da parte dei giudici dell'Aja è del 22 febbraio 2001. In giudizio c'erano i fatti di Foca, una delle cittadine bosniache il cui nome ricorre più spesso in questa particolare geografia dell'orrore. Il sistema organizzato in quell'area dalle forze serbo bosniache prevedeva una serie di centri di detenzione "de facto" nella cittadina e nei dintorni. A Foca c'era l'edificio cosiddetto "Partizan", una sorta di palestra trasformata in luogo di detenzione per le donne bosniaco musulmane ridotte in schiavitù. Zoran Vukovic, Radomir Kovac e Dragoljub Kunarac furono i primi ad essere condannati dall'Aja per quei fatti, rispettivamente a 12, 20 e 28 anni di carcere. I tre, accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, furono giudicati colpevoli di stupro nei confronti di donne e ragazze, alcune di età tra i 12 e i 15 anni. Molte delle vittime dei campi di concentramento di Foca erano state fatte scomparire.
Secondo Amnesty International, quel verdetto ha rappresentato un evento di importanza fondamentale sotto il profilo della difesa dei diritti umani delle donne, riconoscendo lo stupro e la riduzione in schiavitù sessuale come crimini contro l'umanità per i quali i perpetratori devono specificamente rispondere, e contrastando la teoria secondo cui la tortura delle donne rappresenti un fattore "intrinseco" alle guerre. Il verdetto per i fatti di Foca, peraltro, ha riconosciuto che la violenza sessuale subita dalle donne lì fatte prigioniere faceva parte di un piano sistematico e su larga scala di attacco contro la popolazione civile.
Rompere il silenzio
Nonostante la guerra in Bosnia Erzegovina sia ufficialmente terminata nel novembre del '95, con la firma dei trattati di Dayton, per quante hanno dovuto attraversare questa ordalia è difficile, anche dieci anni dopo, poter parlare di "pace". Il numero di processi sin qui celebrati è infatti irrisorio di fronte alla scala dei crimini commessi, numerosi sono i criminali ancora in circolazione e molti sono i problemi, di ordine psicologico e pratico, che le donne devono affrontare. Nel marzo 2003, a Sarajevo, un gruppo di loro ha fondato l'associazione "Zena Zrtva Rata" (Donne vittime della guerra), con lo scopo di riunire tutte le donne vittime di stupri e torture: "Abbiamo deciso di fondare l'associazione quando ci siamo rese conto che molti dei crimini che avevamo subito sarebbero rimasti impuniti, e che i responsabili sarebbero rimasti in libertà", ci dice Bakira Hasecic, la presidente del gruppo. "Grbavica siamo noi. E' la nostra realtà. Sebbene quel film rappresenti una percentuale infinitesimale di quello che abbiamo subito. Ma grazie al cinema abbiamo potuto raggiungere e influenzare le persone che non sapevano e alle quali la nostra voce non arriva".
Tra i sostenitori dell'associazione, che si dichiara multietnica, multinazionale e apartitica, ci sono anche le province italiane di Milano e Udine. Gli obiettivi del gruppo di donne vanno dalla raccolta delle testimonianze alla tutela sanitaria e alla risoluzione dei problemi abitativi per tutte quelle che non possono o non vogliono tornare nel luogo dove vivevano prima della guerra, dove hanno subito lo stupro. L'associazione collabora anche con il Tribunale internazionale dell'Aja e con i tribunali locali, partecipando alle ricerche delle fosse dove potrebbero essere scomparse molte delle vittime di stupro. L'obiettivo principale delle "Donne vittime della guerra", tuttavia, è quello di restituire dignità alle vittime, in particolare attraverso la lotta per la verità: "Sappiamo che vi sono ancora molte parole non dette, racconti da far venire alla luce, e che molti criminali di guerra resteranno in libertà se non rompiamo il silenzio", racconta sempre Bakira Hasecic.
Il lavoro dell'associazione ha anche permesso, dopo molti anni, di poter stabilire alcuni dati relativi alle violenze sessuali avvenute durante la guerra: "Nell'associazione siamo in 1.300 donne - dice Bakira. Le testimonianze che abbiamo raccolto in questi anni però sono molte di più, 3.260 per l'esattezza. Ognuna di queste testimonianze racconta di gruppi di donne stuprate o maltrattate, in un numero che varia da cinque a 70, a seconda degli episodi e dei periodi di tempo presi in considerazione dalla vittima. In base ai dati di cui disponiamo, il numero di donne vittime di stupro durante la guerra è da valutare intorno alle 25.000".
Negli anni passati circolavano dati ancora più inquietanti, con stime che arrivavano fino a 50.000 persone. La maggior parte di coloro che si sono occupati di questo fenomeno, tuttavia, concorda nel ritenere che l'esatto numero delle donne stuprate durante la guerra in Bosnia Erzegovina non verrà mai conosciuto, anche perché molte delle vittime furono poi assassinate.
Le "Donne vittime della guerra" hanno anche cercato di rispondere alla domanda su quanti possano essere i bambini nati da queste violenze. Bakira concorda con la valutazione della Zbanic, secondo cui la maggior parte delle donne che hanno potuto abortire lo ha fatto: "Nelle testimonianze che abbiamo raccolto noi, sono solo 11 le donne che hanno dichiarato di aver partorito dopo la violenza subita. Dalle stesse testimonianze emerge inoltre che centinaia e centinaia di donne hanno abortito, anche a rischio della propria vita, perché non volevano mettere al mondo un bambino concepito in questo modo".
Dritto negli occhi
Bakira ci saluta frettolosamente. E' il 5 ottobre, assieme alle donne della sua associazione sta manifestando di fronte al palazzo delle Nazioni Unite a Nedzarici, Sarajevo. L'edificio ospita il distaccamento del Tribunale dell'Aja in Bosnia Erzegovina. Il Tribunale internazionale sta trasferendo in misura sempre maggiore i processi dall'Aja alle Corti locali, come parte della strategia di completamento del proprio mandato. Molti casi sono finiti davanti alla Camera per i Crimini di Guerra di Sarajevo, costituita nel 2005 per giudicare i crimini più gravi commessi durante il conflitto bosniaco.
Uno dei casi trasferiti interessa da vicino queste donne. Si tratta del processo a Milan Lukic, uno dei capi delle forze paramilitari serbo bosniache note come "Aquile bianche" o "Vendicatori". Secondo le donne, è lui uno dei principali responsabili degli stupri etnici commessi contro le bosniaco musulmane di Visegrad, tra il 1992 e il 1994. Tra i capi di imputazione, però, non c'è il crimine di stupro. Lukic deve rispondere genericamente di crimini di guerra, e le donne sono infuriate.
"E' lui che mi ha violentata, il 24 aprile del 1992 - spiegherà poi Bakira. Eravamo in 52 a manifestare, tutte stuprate da Lukic. Perché il Tribunale di Sarajevo ha lasciato cadere i capi di imputazione per il reato di stupro? Noi vogliamo che tutte le nostre testimonianze, regolarmente registrate, vengano utilizzate. Aspetto solo il momento in cui potrò guardarlo dritto negli occhi, per chiedergli conto di quello che ha fatto, e che fine hanno fatto le ragazzine di 12 anni che ha violentato e ucciso. Dove sono i resti. Credetemi, non lo odio, ho compassione per lui... Ma aspetto solo il momento in cui potrò guardarlo dritto negli occhi. Noi continuiamo la nostra lotta a testa alta, andiamo avanti con orgoglio e coraggio. Perché si sappia la verità e mai più al mondo possa succedere una cosa del genere".
In Bosnia Erzegovina il confronto tra vittime e carnefici non è finito con la firma dei trattati di Dayton. Continua anche così, ora, ottobre 2006. Ma non tutte le vittime naturalmente reagiscono allo stesso modo. A volte le donne preferiscono non intervenire in tribunale. E' quanto è accaduto ad esempio il 27 settembre scorso, sempre davanti alla Camera per i Crimini di Guerra della Corte di Sarajevo. Era in corso il processo a Gojko Jankovic, uno dei guardiani dei campi di detenzione istituiti presso la scuola superiore di Foca e la palestra "Partizan" nella stessa città. Due delle vittime, le testimoni 105 e 186, hanno rifiutato di comparire in tribunale, presentando invece delle memorie scritte. Le testimonianze sono state lette dalla procura al termine dell'accusa. Entrambe le testimoni affermano di essere state violentate da Jankovic. All'epoca dei fatti, una delle due aveva 12 anni. Jankovic, già capo di una formazione paramilitare, è accusato di crimini commessi a Foca nel '92 e '93, incluso lo stupro di donne e bambine e la deportazione e assassinio della popolazione civile non serba. Il processo continuerà il 18 ottobre, con i testimoni della difesa, ex soldati di Jankovic. L'avvocato, Milan Trbojevic, ha chiesto alla procura la garanzia che questi ultimi non verranno arrestati per quanto diranno nella testimonianza. La procura ha accettato. Questi uomini, le donne li possono incontrare per strada tutti i giorni.
"Il problema principale per quelle che scelgono di testimoniare è la protezione e tutela dopo che hanno lasciato il tribunale", ricorda Bakira. "Io personalmente non voglio nascondermi o cambiare identità. Voglio che l'opinione pubblica sappia. Ma serve un serio programma di tutela delle donne vittime di stupro. Molti criminali passeggiano liberamente, un gran numero di loro sono assunti regolarmente nelle fila della polizia. Noi abbiamo psicologi, psichiatri, medici, infermiere. La porta è aperta notte e giorno. Le donne possono venire a chiedere aiuto, medicine, consigli, terapia psicologica. Sono stati organizzati molti gruppi di discussione sulla tortura e sullo stupro. Ma le donne non ne possono più, dicono 'ci raccontate sempre la stessa storia. Vogliamo vederli in tribunale'. Prima vogliono giustizia. Perché riescono a fare molti passi avanti nel confronto con se stesse, quando gli viene riconosciuta giustizia attraverso i processi".
Il trasferimento dei processi alle Corti locali sta riversando sulla società bosniaca i problemi irrisolti di un percorso di riconciliazione mai avviato. La lotta prosegue a tutti i livelli possibili: "Una delle nostre iniziative di maggior successo è stata la campagna di riconoscimento legale delle donne stuprate come vittime civili della guerra. Siamo riuscite da poco a ottenerlo a livello di legislazione nelle due entità (Federazione e Repubblica serba), e ora continuiamo a lottare perché questo riconoscimento avvenga anche a livello centrale".
Il film "Grbavica" ha avuto un'importanza fondamentale in questa lotta. Durante le proiezioni, nel quadro dell'iniziativa "Campagna per la dignità delle sopravvissute", sono state raccolte 50.000 firme per il progetto di legge. Dieci anni dopo, significa che le violenze non sono riuscite a ridurre tutto al silenzio. C'è un sorriso nella scena finale del film, nonostante quello che è successo la storia è ancora aperta.