Anche in Bosnia Erzegovina proteste per le vignette sull'Islam. Ma al fianco dei manifestanti non vi sono i capi religiosi. Il leader della comunità islamica: "astenetevi dalle violenze e dalle proteste. L'Islam è contro la violenza e a favore della coesistenza"
Si sono estese anche a Sarajevo le proteste per le vignette sull'Islam pubblicate in Norvegia, Danimarca e Francia. Questo nonostante nel novembre scorso anche il settimanale Slobodna Bosna avesse pubblicato le stesse vignette senza destare però grande clamore.
Circa 1000 persone mercoledì pomeriggio hanno protestato di fronte alle ambasciate di Francia, Norvegia e Danimarca. I manifestanti hanno chiesto delle scuse pubbliche per la pubblicazione delle vignette e hanno annunciato l'iniziativa di boicottare i prodotti danesi. In segno di protesta, sono state bruciate delle bandiere di carta di Danimarca, Norvegia e Croazia. La Croazia è divenuta un bersaglio della protesta dato che il settimanale croato Nacional aveva riprodotto le vignette incriminate.
Le proteste sono iniziate nella centralissima Ferhadija di fronte all'ambasciata norvegese. Si sono poi spostate verso l'ambasciata francese e a quella danese a Grbavica, che però era stata chiusa. L'organizzatore della protesta, originario di Travnik, è stato ricevuto dall'ambasciatore norvegese che, secondo quanto riferito, ha espresso il proprio rincrescimento per la pubblicazione delle vignette. I dimostranti hanno poi consegnato le medesime richieste ad un addetto consolare dell'ambasciata olandese mentre l'ambasciata danese ha ricevuto le richieste il giorno successivo. L'ambasciatore francese ha sottolineato la necessità di difendere la libertà d'espressione, che comprende anche delle responsabilità ben precise e si è detto fiducioso nelle capacità di mantenere l'ordine da parte delle autorità della Bosnia ed Erzegovina. A parte l'episodio delle bandiere bruciate, da cui gli organizzatori si sono comunque distanziati, la manifestazione si è conclusa senza altri incidenti verso le 14 quando i manifestanti si sono pacificamente dispersi.
Le voci della protesta
La manifestazione ha provocato numerose reazioni in città e la stampa locale ha dato ampia copertura agli episodi. Le azioni dei manifestanti e le reazioni in città sono sintomatiche di alcune profonde discussioni che esistono all'interno della società bosniaca e soprattutto della comunità bosgnacca, in bilico tra l'identità islamica e l'appartenenza europea. La colonna di manifestanti era guidata da un gruppetto di persone con il trazionale look dei "vehabija" cioè barbe lunghe e pantaloni rimboccati alle caviglie. Secondo quanto riportato dalla stampa, la loro provenienza era in gran parte da Zenica e dalla Bosnia Centrale, zone dove più numerose sono sorte le varie scuole coraniche negli anni dopo il conflitto. Ma dietro di loro anche studenti, anziani, giovani ragazze con e senza il foulard tradizionale. La folla lancia il tekbir "Allah è grande" e slogan contro Bush, accusato di un essere un terrorista. Ed è significativa questa presa di posizione contro il presidente degli Stati Uniti: tradizionalmente c'è infatti un senso di gratitudine da parte dei bosgnacchi verso gli americani per la campagna aerea contro le truppe serbe verso la fine del conflitto. Ma quell'intervento era avvenuto sotto l'amministrazione Clinton, mentre nei confronti di Bush prevalgono sentimenti di ostilità e rancore.
Si inneggia anche contro i Vlachi, termine usato con accezione spregiativa per definire i serbi, ma la risposta della massa non è altrettanto sonora. Glas Srpske (la "voce della Srpska") raccoglie però il messaggio e dedica a questo slogan ampia copertura nell'edizione del giovedì.
Le reazioni del mondo politico e religioso
La folla lamenta che i leader spirituali della comunità islamica in Bosnia ed Erzegovina non abbiano partecipato alla protesta. Ma è proprio dal leader della comunità islamica che giunge la doccia fredda sui manifestanti. Reis-ul-Ulema Mustafa Ceric, mentre i giorni precedenti aveva condannato le vignette, allo stesso tempo ha invitato tutti i musulmani in Europa e in Bosnia ed Erzegovina ad astenersi dalle violenze e dalle proteste, sottolineando che l'Islam è contro la violenza e a favore della coesistenza.
Simili reazioni sono giunte dal mondo politico, che ha preso le distanze dalle proteste: il membro bosgnacco della presidenza Sulejman Tihic e principale esponente del SDA ha scelto di non cavalcare la tigre della protesta islamica. Tihic si è incontrato con gli ambasciatori di Danimarca e Norvegia per esprimere la propria disapprovazione nei confronti delle vignette, ma allo stesso tempo ha fatto appello ai cittadini di fede islamica affinchè non partecipassero alle proteste. La Presidenza del consiglio dei ministri ha condannato l'episodio delle bandiere bruciate e espresso il proprio dispiacere che le proteste fossero rivolte anche contro la Croazia, sottolineando che erano stati proprio i leaders croati tra i primi a condannare le vignette blasfeme e la pubblicazione su Nacional. L'ambasciata croata ha deplorato l'episodio della bandiera bruciata.
Anche gli esponenti serbi e croati delle istituzioni comuni hanno dato prova di maturità e non hanno reagito alle potenziali provocazioni, come ha fatto da Banja Luka il ministro degli Esteri Ivanic, che riaffermando il fatto che le proteste non sono necessarie, ha tuttavia ribadito il diritto dei manifestanti di protestare.
La stampa e l'opinione pubblica hanno anch'esse preso le distanze dall'episodio delle proteste, sottolineando infatti il ruolo estremamente positivo giocato dalla Norvegia e dalla Danimarca durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, quando numerosi cittadini bosniaci erano stati accolti come rifugiati in quei paesi. Allo stesso tempo, Oslobodjenje ha espresso il timore che simili proteste possano rendere più complicati i negoziati sugli accordi di Stabilizzazione e Associazione che sono tuttora in corso.
Un equilibrio sempre in bilico
Il mondo politico e religioso in Bosnia ed Erzegovina sembra aver reagito in modo compatto ed aver dato dimostrato maturità nel non dare pubblico sostegno ad una protesta che poteva accomunare Sarajevo a Kabul e Teheran. È chiaro però che la pesante eredità del conflitto in Bosnia ed Erzegovina interagisce con le tensioni presenti a livello internazionale e c'è chi all'interno del paese non perde un'occasione per gettare il sale sulle vecchie ferite che si stanno cicatrizzando. Allo stesso tempo, la crisi economica e l'incertezza politica del paese rendono più agevole l'operato delle associazioni non governative provenienti dai paesi islamici che dalla fine della guerra continuano ad operare nel paese. L'islam bosniaco, tradizionalmente europeo e secolare, inizia a presentare anche caratteri che sono estranei ai balcani e indici di una maggiore influenza da parte di elementi fondamentalisti. A testimonianza di questo è visibile l'incremento dei giovani che frequentano le moschee e scelgono di divenire "vehabija". Senza gettare allarmismi inutili, che ricorderebbero tristemente la propaganda serba e croata del passato conflitto, è innegabile che la situazione di tensione internazionale ha le sue ripercusssioni sulla Bosnia ed Erzegovina e sbilancia i delicati equilibri del paese in bilico tra occidente e oriente.