Seste elezioni parlamentari in tre anni: il 9 giugno la Bulgaria va di nuovo al voto nel tentativo di superare lo stallo politico che attanaglia il paese. Stavolta, il voto è doppio, visto che si rinnovano anche i seggi del parlamento europeo
Altro giro, altra corsa: la Bulgaria va nuovamente alle urne il prossimo 9 giugno, con le elezioni politiche e quelle europee. E se il compito di rinnovare i 17 seggi europei riservati al paese era previsto, quello di eleggere un nuovo parlamento nazionale rappresenta l’ennesimo tentativo fallito della politica bulgara di garantire al paese un governo stabile: si tratta infatti delle seste consultazioni politiche negli ultimi tre anni.
Neanche l’ultimo esecutivo, frutto del difficile e innaturale compromesso tra GERB, il partito guidato da Boyko Borisov che ha dominato la scena politica per almeno un decennio, e “Prodalzhavame Promyanata” (Continuiamo il cambiamento), l’ultimo dei movimenti nati con l’obiettivo esplicito di estromettere definitivamente Borisov – accusato di corruzione e gestione familista del potere – ha retto alla prova del tempo, naufragando dopo appena dieci mesi di vita.
Ecco perché ad inizio aprile il presidente Rumen Radev, dopo una serie di consultazioni che hanno confermato l’impossibilità di sanare le fratture nella maggioranza, ha deciso di chiamare nuovamente al voto gli esausti elettori bulgari, accorpando le due elezioni.
Europee ai margini
Una scelta razionale, forse inevitabile, ma che rischia di schiacciare il dibattito sui temi europei sulle dinamiche della politica nazionale. “Per i politici bulgari, il centro dell’Europa è Sofia”, titola un lungo editoriale del quotidiano Sega, che denuncia la marginalizzazione dei temi europei nella campagna elettorale a tutto vantaggio degli intrighi della politica locale.
Secondo il quotidiano, anche le scelte effettuate dai partiti nel compilare le liste elettorali per le europee rivelano un atteggiamento superficiale: paradossalmente, ma forse neanche troppo, i movimenti a parlare di più di Europa – in termini antagonistici – sono proprio quelli euroscettici come “Vazrazhdane” (Rinascimento), che promettono di “sottrarre il potere ai burocrati di Bruxelles” e restituire spazi di sovranità agli stati membri.
Temi prettamente europei ce ne sono, eccome. Due quelli più importanti: da una parte l’adesione della Bulgaria alla moneta comune, dall’altra il completamento dell’ingresso di Sofia nell’area Schengen.
Sull’euro, la Bulgaria tenta ufficialmente di entrare sin dal suo ingresso nell’Ue, ma vari problemi sia esterni, come la crisi economica del 2008, che interni, come l’attuale alto tasso di inflazione, hanno ritardato il processo. Oggi l’obiettivo formale, senza però alcuna certezza, è avere l’euro entro il 2025.
Su Schengen, dopo tredici anni di attesa – dovuti soprattutto all’opposizione di stati membri come Paesi Bassi e Austria - la Bulgaria è stata finalmente ammessa allo spazio di libera circolazione lo scorso marzo insieme alla vicina Romania per i confini aerei e marittimi, ma non per quelli terrestri. Un passo avanti importante, ma non sufficiente: i problemi restano soprattutto per il trasporto merci, visto che il 97% dei prodotti bulgari vengono trasportati via terra. Sofia e Bucarest vorrebbero una piena adesione entro il 2024, ma al momento non esistono né un accordo né una road-map condivisa per raggiungere l’obiettivo.
Riportare gli elettori alla politica
“La maggioranza silenziosa dell’astensionismo”: così il settimanale Kapital descrive il fenomeno sempre più diffuso di fuga dalle urne. Un fenomeno di lungo corso e dalle radici profonde, ma divenuto sempre più drammatico dall’inizio della profonda crisi politica degli ultimi tre anni. Se nel 2009 il numero degli aventi diritto ad aver votato ha superato i quattro milioni e trecentomila (60,2%), nelle ultime elezioni, quelle dell’aprile 2023, si è fermato sotto i due milioni e settecentomila (40,7%). Il grosso del calo, però, è avvenuto dal 2021, quando il voto non è più riuscito a creare condizioni di stabilità politica.
Secondo il settimanale nessuno, nemmeno i partiti, mostra vero interesse per capire come mai gli elettori non votano e provare a riportarli alle urne. “I politici sono sempre meno interessati alla società”, scrive Kapital. “Riescono a restare al potere appoggiandosi ai nuclei duri dei propri partiti, escludendo così chi non ne fa parte”.
Di certo le campagne elettorali sempre più anemiche e scontate, la mancanza di un vivo dibattito politico, e un’offerta politica che sembra sempre più incapace di appassionare i cittadini non aiutano, anche se gli ultimi sondaggi riportano un possibile ritorno di alcuni elettori al voto, forse nell’estremo tentativo di uscire dalla lunga impasse in cui è precipitato il paese.
Prospettive di voto
Gli stessi sondaggi danno un primo quadro dei possibili sbocchi delle nuove elezioni, con poche differenze sostanziali tra i risultati di politiche ed europee, anche se nelle prossime settimane molto potrebbe ancora cambiare.
Nonostante gli scossoni degli ultimi anni, GERB sembra essere tornata al centro dei giochi: tutti i rilevamenti effettuati finora danno al partito un largo margine su tutti gli avversari. Anche in caso di vittoria, la questione per il partito di Borisov resta quella di spezzare l’isolamento degli ultimi anni e trovare interlocutori politici con cui poter costruire solide alleanze.
“Continuiamo il cambiamento” sembra invece pagare lo scotto dell’alleanza “impura” con GERB, che è stata mal digerita da parte del suo elettorato, e rischia di diventare l’ennesimo effimero progetto politico – questa volta di stampo liberal-riformatore - che promette cambiamenti radicali per poi essere lentamente fagocitato dal sistema.
Nel frattempo, lo spazio a sinistra appare sempre più marginale, col Partito socialista, nei primi decenni post-transizione vero pilastro del sistema di potere, sempre più ridotto a forza residuale, votato soprattutto da anziani nostalgici e marginali, incapace di formulare idee politiche progressiste.
Gli unici a confermare il trend di crescita degli ultimi anni sembrano essere i nazionalisti di “Vazrazhdane”, favoriti dal fatto di essere stati sempre all’opposizione in questi anni turbolenti, ed essere così percepiti come possibile alternativa da parte dell’elettorato più insoddisfatto.
Riflessi di una guerra vicina
Il partito, guidato da Kostadin Kostadinov, insiste sulle questioni sociali, ma anche su un tema che attraversa trasversalmente la società bulgara: la guerra di aggressione russa all’Ucraina. “Vazrazhdane”, insieme ad altri partiti, tra cui quello socialista, strizza l’occhio a Mosca, chiedendo la fine delle ostilità, uno stop agli aiuti militari all’Ucraina e richiamandosi alle storiche forti relazioni tra Bulgaria e Russia.
Una posizione probabilmente minoritaria, ma non trascurabile nella Bulgaria di oggi, e il cui esponente più significativo è proprio il presidente Rumen Radev, per questo spesso etichettato come pro-russo dalla stampa internazionale.
L’invasione russa ha certamente radicalizzato le posizioni: non a caso, uno dei pilastri che ha dato vita e cementato la traballante alleanza di governo è stata proprio la posizione retorica anti-russa e più marcatamente pro-occidentale di GERB e “Continuiamo il cambiamento”.