Scoppia a Sofia lo scandalo dei passaporti bulgari ottenuti in cambio di tangenti. Al centro dell’indagine il direttore e i funzionari dell’Agenzia nazionale per i bulgari all’estero
Migliaia di passaporti bulgari ottenuti grazie a mazzette da migliaia di euro, chieste e ricevute dai funzionari dell'Agenzia nazionale per i bulgari all'estero (DABCh). Questo lo scenario portato alla luce la settimana scorsa dalla magistratura bulgara, con un'indagine che ha portato a decine di fermi e all'imputazione di quattro persone, tra cui il direttore dell'agenzia Petar Haralampiev.
Dall'ingresso di Sofia nell'Unione europea nel 2007, il passaporto bulgaro è diventato un oggetto del desiderio, vista la possibilità che garantisce di poter viaggiare e lavorare all'interno dell'Ue, ma anche in molti paesi extra-europei. Attualmente, il documento permette di entrare in ben 169 nazioni a livello planetario senza bisogno di chiedere alcun visto.
Ufficialmente, la politica “generosa” delle autorità bulgare in fatto di passaporti è diretta soprattutto alle numerose comunità etniche bulgare che storicamente popolano paesi come Ucraina, Moldavia e Serbia. Un caso particolare è rappresentato dalla Macedonia, la cui popolazione viene storicamente considerata “bulgara” da Sofia.
Per garantire ai bulgari etnici la possibilità di diventare cittadini, con tutti i vantaggi del caso, la Bulgaria prevede quindi una strada privilegiata per chi possa dimostrare, carte alla mano, di avere “radici bulgare”. Una strategia studiata anche con l'obiettivo di rimpolpare le fila di una popolazione che, negli ultimi anni, ha registrato tassi di decrescita record, passando dai quasi nove milioni del 1989 agli attuali sette.
Secondo le ultime statistiche, nell'anno che va dal giugno 2017 al giugno 2108 quasi 18mila cittadini di Macedonia, Moldova, Ucraina, Serbia ed Albania hanno chiesto il passaporto bulgaro dopo aver dichiarato di avere radici etniche bulgare. Secondo il ministero della Giustizia di Sofia, circa 10mila di queste domande sono state approvate. Se andiamo indietro di un decennio, il numero dei “nuovi bulgari” che hanno ottenuto la cittadinanza grazie alle proprie origini, vere o presunte, tocca le 115mila unità.
Una fabbrica di passaporti
Proprio la “scorciatoia etnica”, è diventata il motore di scandali e corruzione nella DABCh. L'Agenzia per i bulgari all'estero, infatti, è responsabile di vidimare il certificato di “origine bulgara”, documento chiave per poter presentare la domanda di cittadinanza al ministero della Giustizia, che la approva in ultima istanza.
Secondo i procuratori assegnati al caso, la DABCh era diventata una vera e propria “fabbrica di passaporti”. Migliaia di cittadini macedoni, ucraini, serbi e moldavi, anche se privi di qualsiasi legame etnico con la Bulgaria, hanno potuto ottenere l'agognato documento pagando mazzette che vanno dai cinquemila agli ottomila euro.
Per gli inquirenti, il capo dell'Agenzia Petar Haralampiev avrebbe messo in piedi un'organizzazione criminale in piena regola, di cui facevano parte anche Krasimir Tomov, segretario generale della stessa istituzione, e a vari intermediari bulgari e di altre nazionalità. Non si pagava solo per ottenere documenti falsi, ma anche per accelerare le procedure burocratiche: per ogni certificato emesso, Haralampiev avrebbe intascato 1500 euro, mentre il resto delle somme pagate andava agli intermediari di vario titolo e grado.
“Parliamo del più grave caso di corruzione nei piani alti dell'amministrazione, senza analoghi nella storia recente del paese”, ha dichiarato poco dopo gli arresti il vice-capo procuratore Ivan Geshev.
L'inchiesta in Bulgaria ha dato vita ad un'indagine parallela in Serbia, che ha portato all'arresto di quattro persone tra Pirot, Ćuprija e Dimitrovgrad, sempre per la falsificazione di documenti che provano “l’origine bulgara” di chi li richiedeva.
Tra l’altro, la stragrande maggioranza dei “nuovi bulgari”, ha utilizzato l'agognato passaporto non per stabilirsi in Bulgaria, ma per cercare opportunità e lavoro in altri paesi dell'Unione europea. Una situazione che ha portato a ricadute surreali, come quella riportata dal portale EURACTIV : in paesi come Belgio e Francia, gli interpreti convocati dalla polizia locale per coadiuvare indagini che coinvolgono possessori di passaporti emessi a Sofia, constatano sempre più spesso che questi non parlano una sola parola di bulgaro.
Un affare “patriottico”
L'arresto di Haralampiev ha suscitato forti polemiche in Bulgaria: il direttore della DABCh, leader del movimento “BG Patriot” è stato nominato alla carica dalla VMRO, uno dei tre partiti membri dei “Patrioti Uniti”, la coalizione di formazioni nazionaliste oggi al governo insieme al GERB del premier Boyko Borisov.
Al momento della nomina, tra l'altro, Haralampiev è stato al centro di una diatriba scatenata da una foto pubblicata sul suo profilo Facebook. Nell'istantanea, l'uomo indossa infatti una maglietta con la scritta “Wehrmacht” . Haralampiev ha risposto alle accuse di simpatie naziste sostenendo che la t-shirt faceva riferimento ad una band heavy-metal, e non all'esercito della Germania hitleriana.
La procura ha negato che l'inchiesta in corso coinvolga anche la VMRO o il suo leader Krasimir Karakachanov, attualmente ministro della Difesa. In questi anni però le voci sul fatto che la DABCh funzionasse da “salvadanaio” del partito sono state insistenti. In un'intervista al canale Btv , Katia Maneva, ex responsabile della direzione “cittadinanza bulgara” del ministero della Giustizia, ha dichiarato di avere le prove del fatto che “sia la VMRO che Karakachanov si mantengono vendendo il passaporto nazionale”.
La Maneva aveva denunciato abusi già nel 2016, ma la sua denuncia non aveva avuto alcun seguito. Anzi, la funzionaria è stata licenziata nel 2017 per motivi disciplinari. Secondo lo stesso Karakachanov, la Maneva avrebbe condotto una politica “anti-nazionale”, favorendo i candidati alla cittadinanza provenienti dalla Turchia, rispetto a quelli di Moldova e Macedonia, un'accusa che la ex-responsabile del ministero della Giustizia respinge fermamente.
Pur avendo ammesso che la nomina di Haralampiev è stata “un errore”, Karakachanov ha però rigettato le accuse nei suoi confronti, soprattutto sul tema dei bulgari all'estero (e in particolare in Macedonia), storico cavallo di battaglia del partito. “Nella mia vita ho fatto molti errori […] ma da quando sono a capo della VMRO non ho approfittato nemmeno di un centesimo speculando sulla Macedonia. Se qualcuno dimostra il contrario sono pronto a dimettermi, lasciare la politica e a spararmi sulla pubblica piazza”, ha dichiarato teatralmente il ministro della Giustizia.
Le conseguenze
Viste le voci e le denunce che da anni si accumulano sulle pratiche corruttive nella DABCh, molti si chiedono come mai la procura, una struttura che in Bulgaria viene frequentemente accusata di essere politicamente controllata dall'esecutivo, abbia deciso di muoversi solo adesso.
Una delle teorie, in voga nei circoli interni della VMRO, è che il vero obiettivo sia mettere in difficoltà Karakachanov, che come ministro della Difesa supervisiona al momento la modernizzazione dell'esercito, un progetto da tre miliardi di leva (circa 1,5 miliardi di euro) su cui si concentrano molti interessi.
Che le azioni della magistratura siano politicamente motivate o meno, la sensazione è che l'indagine sulla DABCh possa dare una spallata decisiva all'attuale alleanza tra conservatori e nazionalisti, e molti analisti già discutono apertamente la possibilità di una crisi di governo ed elezioni anticipate.
Lo scandalo dei “passaporti in vendita” fa da pessimo viatico alla pubblicazione del prossimo rapporto della Commissione europea su lotta a corruzione e stato di diritto in Bulgaria, prevista nelle settimane a venire. Proprio le preoccupazioni sugli scarsi progressi del paese in questi settori tengono Bulgaria (e Romania) fuori dallo spazio Schengen.
Lunedì 5 novembre la Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo ha reiterato a larga maggioranza l'invito ad ammettere Sofia e Bucarest nello spazio di libero movimento europeo. La decisione, però, deve essere approvata all'unanimità dal Consiglio, dove paesi come Germania e Olanda continuano a mantenere una ferma opposizione.