Una malattia che da alcuni decenni veniva considerata domata, almeno nel vecchio continente, ha ripreso invece a manifestarsi con sempre maggiore frequenza. Nostro reportage tra le strutture sanitarie bulgare che si confrontano con questa malattia
Uno spettro silenzioso si aggira per le strade d'Europa, la tubercolosi. La malattia, che da alcuni decenni veniva considerata domata, almeno nel vecchio continente, ha ripreso invece a manifestarsi con sempre maggiore frequenza. Questo fenomeno, che nei paesi dell'ex Unione Sovietica è diventato una vera emergenza, non risparmia nemmeno gli altri paesi dell' Europa orientale, Bulgaria compresa.
Nel 1990, ad esempio, nella città di Sofia, si registravano 10,7 casi di tubercolosi su 100mila abitanti. Nel 2003 erano diventati 30,8. Nel 2005 siamo arrivati a 37,5 casi. Questo brusco aumento è dovuto soprattutto al peggioramento delle condizioni di vita di alcune fasce della popolazione. La tubercolosi, infatti, è una malattia legata alla povertà, ad una alimentazione di scarso valore nutritivo ed alla mancanza di igiene.
"Lo stato immunologico di alcune fascie della popolazione è peggiorato" ci dice la dottoressa Todora Petrova, direttrice del dipensario cittadino di Sofia per le malattie respiratorie e la tubercolosi, " e assistiamo al ritorno, anche se ancora sporadico, di forme più gravi della malattia, come la meningite. Alcuni pazienti sviluppano una forma resistente della malattia, e non rispondono alle cure farmacologiche".
Se la tubercolosi è una malattia che colpisce soprattutto i poveri, non significa però che i ricchi possano dormire sonni tranquilli: la tubercolosi si trasmette per via aerea, anche con un semplice colpo di tosse, e negli ultimi anni sono aumentati i casi anche tra le persone di medio e alto ceto economico.
La cura è rimasta la stessa da alcuni decenni, ospedalizzazione del malato per impedire ulteriori contagi, un coctail di antibiotici e una buona alimentazione. Chi ha avuto la malattia viene poi monitorato dai dispensari per parecchi anni, per evitare recidive. "Molti pazienti, però, semplicemente scomapaiono nel nulla", racconta Valentina Toscheva, infermiera del dispensario da vent'anni, "soprattutto quelli della cosiddetta "fascia a rischio", composta da alcolisti, tossicodipendenti e persone senza fissa dimora."
Un'altro problema è dato dalla "tubercolosi invisibile" ovvero dal numero, imprecisato, di persone che contraggono la malattia e che non vengono mai a contatto con le strutture sanitarie. Questi casi, secondo il dottor Velichko Dimitrov, direttore del dispensario zonale, che si occupa dei malati della regione intorno a Sofia "sono tanti, almeno quanti quelli che riusciamo a diagonsticare e a curare".
Due leva al giorno!
Il dottor Dimitrov è a capo del dispensario zonale di Sofia da quindici anni. Volto gioviale ed aperto, non smette di fumare sigarette "Haskovo" nonostante i cartelli impolverati che invitano a prendersi cura dei propri polmoni. "Il ritorno della tubercolosi è un fenomeno mondiale, ma basta pensare che l'80% dei bulgari non mangia in modo corretto e soddisfacente, oppure è sottoposto a vari tipi di stress, per capire come mai da noi il problema cresce così in fretta".
Nel dispensario ci sono 35 letti riservati ai malati di tubercolosi, sempre tutti pieni. L'anno scorso qui sono stati ricoverati circa 570 pazienti. "Le richieste, però, sono così forti che talvolta siamo costretti a mandare a casa persone non ancora del tutto guarite per far posto ai casi più gravi", ci dice allargando le braccia il dottor Dimitrov.
I problemi più gravi, denuncia il dottore, sono però la mancanza di una vera politica di intervento e di fondi adeguati a combattere la malattia. Le strutture del dispensario aspettano di essere rimodernate da almeno quindici anni. "Lo stato ci dà 420 leva per ogni malato, e con questi soldi devo pagare le ottanta persone che lavorano nel centro, più le spese. Ogni malato ha a disposizione circa due leva al giorno per mangiare, due leva! Con questa cifra possiamo permetterci riso e patate, ma non è questa l'alimentazione che serve ai malati per rimettersi in salute".
Gli specialisti della lotta alla tubercolosi si lamentano del fatto che, con la riforma del 2001, la profilassi della malattia nei bambini e nei giovani in Bulgaria sia stata affidata ai medici di famiglia. In molti ritengono che, vista la specificità delle procedure legate alla verifica del contatto con la malattia e all'eventuale vaccinazione, queste debbano essere svolte dal personale dei dispensari. "Vista la situazione", sostiene il dottor Dimitrov, " temo che tra qualche anno il 50 percento dei casi di tubercolosi saranno riscontrati nei giovani sotto i 20 anni".
Una gita a Iskretz
Il villaggio di Iskretz, piccolo centro sulle falde dei Balcani occidentali, a circa 60 chilometri da Sofia, in Bulgaria è da quasi un secolo sinonimo di cura della tubercolosi. Vista la sua invidiabile posizione geografica, lo tzar Ferdinando I lo scelse per realizzare un sanatorio per la cura della malattia che, all'epoca, era il principale problema sanitario europeo. A pieno regime il sanatorio poteva ospitare fino a 600 malati, e dava lavoro a 3-400 persone.
Oggi il sanatorio ha assunto la denominazione di "ospedale specializzato", ma dei sei padiglioni del complesso, immerso nella pace e nel verde dei Balcani, soltanto uno è ancora funzionante. "Oggi abbiamo 50 letti per tubercolotici e 50 per altri malati con problemi respirtatori" ci dice il dottor Gavrilov, uno dei medici che lavora nel sanatorio, "e anche se ufficialmente dovremmo occuparci solo della convalescenza, spesso i pazienti che arrivano qui sono ancora malati e contagiosi".
Facciamo una breve passeggiata nel sanatorio. I malati dormono in grandi stanzoni grigi, isolati dagli altri degenti. Tutto sa di vecchio e di bisogno di lavori di ristrutturazione. "Non c'è molto da fare qui, si aspetta, si gioca a carte" ci dice Ivan, un paziente cronico malato dal 1997. "Se c'è la televisione è perché l'abbiamo portata noi", continua, "ma è vecchia, e riusciamo a malapena a vedere due canali, magari potessimo guardare il campionato italiano!". Tutti si lamentano del cibo. Andiamo a controllare in cucina. Una cuoca corpulenta e simpatica ci mostra il menù che bolle in alcuni pentoloni: zuppa di verdura, fagiolini e frittata. "La settimana scorsa però avevamo solo patate, e per una settimana abbiamo cucinato solo quelle".
Ancora una volta il problema principale sembra essere la mancanza di fondi. Molti degli appartamenti che una volta ospitavano il personale sono stati affittati a terzi, ma questo non basta. "Questo inverno ci siamo riscaldati grazie alla generosità di una famiglia italiana" dice Ljudmila Todorova, direttrice amministrativa del sanatorio, "e abbiamo potuto tenere accesi i riscaldamenti per almeno otto ore al giorno. Siamo grati ai nostri donatori, ma lo stato non sembra prendere sul serio questo problema. Se non si agisce in fretta, però, il prezzo da pagare sarà molto, molto più alto".