Termocentrale Maritza - © Zimcerla/Shutterstock

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Vittima di instabilità politica e timori sulle ricadute nell'occupazione, la Bulgaria continua a faticare nel suo percorso di decarbonizzazione del settore energetico, nonostante gli impegni presi a livello comunitario e il sostegno economico Ue

26/09/2024 -  Francesco Martino

La Bulgaria rischia di perdere migliaia di posti di lavoro nel settore minerario, ma anche centinaia di milioni di euro di sussidi Ue, messi a budget dall’Unione per finanziare una transizione giusta verso la produzione di energia rinnovabile.

Riassumendo, era questo il grido di allarme che emergeva da un lungo e approfondito pezzo pubblicato da Politico nel giugno 2023. All’epoca la Bulgaria – che ancora basa buona parte della sua produzione energetica sul carbone - era l’unico paese dell’Ue a non aver presentato un chiaro piano d’azione su come procedere alla transizione.

Nonostante gli allarmi, più di un anno dopo, sono stati registrati alcuni passi avanti, ma la situazione nel settore energetico bulgaro conserva numerosi elementi critici. Vari fattori contribuiscono a rallentare ed ostacolare il processo.

Da una parte la fortissima instabilità politica in cui la Bulgaria si trova a navigare negli ultimi anni: dal 2021 il paese ha affrontato ben sei elezioni politiche, tutte sfociate in parlamenti incapaci di creare maggioranze politiche stabili. Anche l’ultimo tentativo, datato maggio 2024 è fallito, e gli elettori sono stati nuovamente chiamati alle urne il prossimo 26 ottobre.

Al tempo stesso, si registrano forti resistenze e preoccupazioni sulle ricadute occupazionali, con migliaia di lavoratori che temono un futuro di incertezza e disoccupazione, soprattutto nelle aree dove l’estrazione di carbone è un fattore centrale per l’economia locale, come Stara Zagora, Pernik e Kyustendil.

Nel settembre 2023 i minatori avevano inscenato scioperi e proteste contro la bozza di piano operativo per la transizione elaborata dall’esecutivo, sfociate poi in un accordo in sette punti sottoscritto da governo e organizzazioni di categoria.

A fine 2023 – nel quadro del Just Transition Fund – la Commissione ha allocato 1,2 miliardi di euro per supportare le tre regioni menzionate ed aiutarle ad approdare ad un nuovo sistema produttivo senza carbone. Fondi che, secondo il governo di Sofia, dovrebbero essere spesi nei prossimi sei anni per risanare il territorio, riqualificare migliaia di lavoratori, aumentare l’efficienza energetica delle famiglie più vulnerabili e diversificare il panorama economico con la creazione di nuove imprese.

Secondo l’allora primo ministro Nikolay Denkov, le miniere di carbone non verranno comunque chiuse prima del 2038, dopo un processo graduale e controllato.

L’arrivo di nuovi fondi non ha però risolto tutti i problemi: secondo un dettagliato report del Center for the Study of Democracy di Sofia, “la Bulgaria continua a non avere una strategia coerente nel settore energetico, mentre i documenti chiave denotano la mancanza di visione di lungo termine nel processo di decarbonizzazione”.

Nonostante i rinnovati tentativi, il governo di Sofia non è riuscito a rispettare le scadenze concordate, e nel dicembre 2023 la Commissione ha aperto una procedura di infrazione nei confronti della Bulgaria (insieme ad Austria e Polonia) per non aver presentato in tempo il proprio National Energy and Climate Plan (NECP) per il periodo 2021-2030.

Poco dopo la sanzione, Sofia è riuscita ad inviare a Bruxelles una prima bozza del piano, che però è stata giudicata largamente insufficiente nella valutazione pubblicata dalla Commissione nell’aprile 2024. La Commissione ha riscontrato nel documento anche la mancanza di un’adeguata analisi delle vulnerabilità al cambiamento climatico e dei potenziali rischi sulla strada del processo di decarbonizzazione.

Arrivati a settembre 2024, il negoziato tra la Bulgaria e la Commissione UE continua a trascinarsi, e a tutt’oggi non si è arrivati ad una versione finale del documento.

Nel frattempo, con l’ennesima campagna elettorale appena aperta, il destino del settore energetico, delle miniere di carbone e delle centrali termoelettriche da questo alimentate è tornato ad essere – ancora una volta – uno dei temi centrali dello scontro politico.

Ad esempio, uno degli ultimi atti del parlamento prima dello scioglimento in vista delle nuove consultazioni politiche, è stato quello di obbligare il governo a stendere un rapporto sul futuro dello strategico complesso minerario-energetico “Maritsa-Iztok” – in Bulgaria centrale - tradizionale terreno di scontro tra i difensori e gli oppositori della transizione energetica.

 

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