"Kremikovtzi", mastodontica acciaieria già gloria dell'industria socialista bulgara, dopo anni di gestione fallimentare e privatizzazioni selvagge rischia di chiudere i battenti. Migliaia i lavoratori a rischio, solo un investitore serio potrebbe cambiare quella che sembra una fine annunciata
Foto F. Martino
L'acciaieria bulgara "Kremikovtzi" potrebbe chiudere entro la fine di novembre, ovvero potrebbe cessare la sua attività entro 25 giorni, nel caso non si trovi alcun investitore interessato a salvarla. Finora nessuno ha dichiarato in forma scritta di avere qualche interesse nella fabbrica. I debiti di Kremikovtzi si sono gonfiati fino a raggiungere i 2,4 miliardi di leva (1,2 miliardi di euro), mentre 400 creditori sono in attesa di ricevere i propri pagamenti. Inoltre, le vecchie fornaci necessitano di grandi ristrutturazioni per rispettare gli standard stabiliti dalle direttive europee sull'inquinamento. Circa 8mila lavoratori e personale operativo nel più grande impianto metallurgico del paese stanno ancora aspettando il loro salario del mese di agosto. A fine ottobre, migliaia di lavoratori hanno manifestato di fronte al parlamento, bloccando il traffico nel centro di Sofia e minacciando forme di "disobbedienza civile" se il governo non riuscirà a salvare l'acciaieria in difficoltà. Se i lavoratori non riceveranno i loro salari, il 10 novembre scenderanno in piazza per protestare. Per Kremikovtzi vengono richieste forniture garantite da parte della Compagnia Elettrica Nazionale, dal fornitore di gas naturale "Bulgargas" e dalle ferrovie dello stato "BDZ". Tra le richieste dei lavoratori anche quella di 20 milioni di euro di credito da parte dello stato per coprire le forniture iniziali di materie prime e per trovare un nuovo finanziatore disposto a riavviare l'impianto. L'acciaieria, a causa di un serio taglio nella fornitura di carbone, aveva dovuto chiudere due delle sue fornaci, cosa mai accaduta prima. I sindacati e alcuni analisti affermano che l'unica soluzione per evitare la chiusura di Kremikovtzi sia la sua nazionalizzazione da parte del governo.
La saga del mastodontico impianto voluto dal regime comunista alle porte di Sofia, dura da 45 anni, e sta procedendo verso una fine più volte annunciata. Quello che fu l'orgoglio dell'industria socialista bulgara è rimasto vittima dell'avidità di loschi uomini d'affari in seguito alla caduta del comunismo che da anni si stava indebolendo. Che tipo di storia è quella dell'agonia dell'acciaieria che venne privatizzata nel 1999 al prezzo simbolico di un dollaro americano, con grandi promesse di investimenti mai divenute realtà?
La "trappola del ragno"
Kremikovtzi è divenuta presto il uno dei simboli del capitalismo predatorio in Bulgaria. Un caso così evidente e significativo da essere riportato anche dal giornalista investigativo britannico Misha Glenny nel suo ultimo libro "McMafia, Crimine senza frontiere" (2008). Glenny cita le rivelazioni di Boyko Borisov, attuale sindaco di Sofia ed ex segretario generale del ministero degli Interni, che ha svelato i dettagli della cosiddetta "trappola del ragno"escogitata da Iliya Pavlov, ex lottatore e discusso businessman, assassinato nel 2003. Pavlov aveva legami di collaborazione ed amicizia con uno dei leader di "Podkrepa", l'organizzazione sindacale più influente dopo la caduta del regime comunista. Nel 1990 Pavlov e il suo sodale del sindacato entrarono nell'ufficio del direttore di Kremikovtzi per comunicargli brevemente le nuove regole del gioco: "o sei con noi, oppure sei finito". Da quel momento Kremikovtzi ha smesso di acquistare dalle compagnie russe che fornivano materie prime a prezzi calmierati dallo stato, per cominciare a rifornirsi da una compagnia dello stesso Pavlov a prezzi internazionali di mercato. Allo stesso tempo, Kremikovtzi vendeva i suoi prodotti finiti ad un'altra compagnia dell'impero economico di Pavlov a prezzi stracciati, che poi li ri-immetteva sul mercato realizzando grossi margini di profitto. A riempire gli enormi buchi di bilancio, per molti anni, sono state le casse dello stato.
"Rottamare!"
A causa della pessima gestione degli impianti, nel 1999 lo stato ha venduto il 71% di Kremikovtzi alla "Daru Metals Holding", compagnia bulgara che in seguito avrebbe cambiato il proprio nome in "Finmetals", al prezzo simbolico di un dollaro. In cambio, la "Daru Metals" promise di pagare i debiti accumulati e di investire nella modernizzazione degli impianti. Purtroppo, però, anche questa mossa si dimostrava tutt'altro che azzeccata. I nuovi proprietari di Kremikovtzi, Valentin e Kiril Zahariev, non riuscirono a risolvere i numerosi problemi dell'impianto, nonostante la decisione dello stato di intervenire, prendendosi carico dei debiti dell'impianto verso la "Bulgargas". La situazione finanziaria di Kremikovtzi è andata sempre peggiorando. Nel 2004 lo stato ha quindi ripreso il controllo dell'acciaieria, per rivendere il 100% di Kremikovtzi alla "Global Steel Holding Limited" dell'imprenditore indiano Pramod Mittal, fratello del più famoso magnate dell'acciaio Lakshmi Mittal, proprietario della "Arcelor Mittal". Il prezzo della transazione è rimasto sconosciuto, ma si parla di una cifra intorno ai 100-200 milioni di euro. La situazione di Kremikovtzi però non migliora: azioni dell'azienda sono state messe sul mercato dei titoli, ma del denaro ottenuto con la vendita si perde presto ogni traccia. Al momento lo stato possiede ancora il 25% dell'acciaieria, ed è di fatto il principale creditore di Kremikovtzi, che ha dichiarato il fallimento e che viene oggi gestita da un consiglio commissariato. La produzione di Kremikovtzi, un impianto mai stato veramente redditizio, è oggi tecnologicamente arretrata e fuori mercato, e la grande maggioranza dei contribuenti non è più disposta a tenere in vita artificialmente l'acciaieria. Molti media locali titolano senza falsi pudori: "Rottamare!". Ma il governo è davvero pronto a mettere la parola fine a quella che è stata una gloria dell'industria socialista di stato?