Una tradizione, quella della lotta, che in Bulgaria ha radici profonde, ma che negli ultimi vent'anni è divenuta suo malgrado sinonimo di criminalità organizzata. Ora le gesta di Kotoōshū, ovvero "l'arpa che viene dall'Europa", sembra poterle ridare lustro sportivo
Il 28 luglio scorso, con una cerimonia tenuta nella sala d'onore della presidenza, il capo dello Stato Georgi Parvanov ha assegnato al ventiseienne Kaloyan Mahlyanov la più alta onorificenza civile bulgara, l'ordine "Stara planina", per i suoi "eccezionali meriti nello sviluppo delle relazioni bilaterali tra Bulgaria e Giappone".
Mahlyanov, che poco dopo ha dichiarato di "essere estremamente orgoglioso", e "di voler continuare a far crescere i rapporti tra i due paesi" non è però né un diplomatico né un investitore internazionale. E' un rikishi, un lottatore professionale di sumo, la tradizionale lotta giapponese, seguitissima nel paese del Sol levante, fin quasi alla venerazione.
Mahlyanov (meglio noto col nome d'arte di "Kotoōshū", letteralmente "l'arpa che viene dall'Europa") è riuscito ad affermarsi in pochi anni come uno degli atleti più promettenti del sumo professionistico, battendo record su record: è stato infatti il lottatore a raggiungere più in fretta il rango di ozeki (campione) secondo in ordine di importanza solo a quello dei campionissimi, gli yokozuna. Kotoōshū, poi, nel maggio del 2008 è diventato il primo europeo a vincere la Coppa dell'Imperatore, uno dei trofei più ambiti del circuito.
Il giovane lottatore bulgaro è oggi un beniamino del pubblico giapponese che, per la sua bellezza, l'ha ribattezzato "il Beckham del sumo", anche se uno sguardo occidentale con tutta probabilità avrebbe qualche fatica a definire avvenente un lottatore di 152 chili per 203 centimetri di altezza.
E' senz'altro esagerato dire che le imprese di Kotoōshū abbiano fatto appassionare i bulgari alla danza, insieme pachidermica e felina, del sumo, anche se i quotidiani riportano regolarmente i suoi risultati sportivi. Le vittorie di Mahlyanov hanno però ridato lustro sportivo ad una tradizione, quella della lotta, che in Bulgaria ha radici fortissime e profonde, ma che negli ultimi vent'anni è divenuta suo malgrado sinonimo di criminalità organizzata e prevaricazione, tanto da far diventare la parola "boretz", "lottatore", sinonimo di "mafioso e "criminale violento".
Ma procediamo con ordine. E' difficile dire a quando risalgano le prime competizioni di lotta sportiva in territorio bulgaro, ma probabilmente erano già popolari al tempo dei traci. L'attuale federazione bulgara di lotta, in cerca di "padri nobili", ricorda la figura di Massimino il Trace (piuttosto maltrattata dalle fonti classiche, a dire il vero), nato da qualche parte lungo il basso corso del Danubio, in Tracia o in Mesia.
Massimino è stato il primo soldato semplice a divenire imperatore di Roma (siamo nel travagliato III secolo dopo Cristo) soprattutto grazie alla sua straordinaria forza fisica, che amava mettere in mostra nella lotta (ma anche trainando un carro a forza delle sole braccia o frantumando massi a mani nude, sempre secondo le fonti, ritenute peraltro poco attendibili dalla maggior parte degli storici).
Di certo la lotta sportiva ha continuato ad essere praticata per tutto il medioevo (risale all'851 la prima testimonianza scritta di un torneo tra lottatori bulgari e bizantini tenuto a Costantinopoli) in forme diverse e con stili diversi, come la "lotta con la cintura", la "lotta con presa" e la "lotta unta" in cui i contendenti si cospargono di olio prima della competizione, versione praticata tutt'oggi in Turchia col nome di "Yağlı güreş".
L'alba del XX secolo, quando lo sport inizia a muovere i primi passi verso il professionismo moderno, regala alla lotta bulgara i primi riconoscimenti a livello internazionale. Il primo campione è il leggendario Nikola Petrov, orfano, emigrante e giardiniere che nel 1900, durante l'esposizione universale di Parigi, sconfigge in finale il gigantesco francese Paul Pons e diventa il primo campione del mondo, per rimanere poi imbattuto fino alla fine della sua lunga carriera.
Nel 1932 viene creata la federazione bulgara di lotta, sotto il nome di "Club dei lottatori amatoriali bulgari". Quattro anni più tardi Dan Kolov, un'altra delle leggende della lotta bulgara, soprannominato "King Kong" e "il leone dei Balcani" diventa campione europeo sbarazzandosi con facilità dell'agguerrita concorrenza.
Il vero salto di qualità avviene però dopo la Seconda guerra mondiale. Le olimpiadi diventano il palcoscenico internazionale su cui le nazioni (e i sistemi politici che si confrontano dalle due parti della cortina di ferro) misurano la propria forza a suon di medaglie, e il nuovo regime comunista non risparmia energie per emergere e ritagliarsi una fetta di gloria sportiva.
Lo sport che regalerà i primi successi (e quelli più numerosi) è naturalmente proprio la lotta, sia nella versione classica (greco-romana) che nello stile libero. Proprio dallo stile libero, alle olimpiadi di Melburne del 1956, arriva la prima medaglia d'oro della storia bulgara, grazie a Nikola Stanchev. A quelle di Tokyo, del 1964, delle dieci medaglie conquistate dalla delegazione bulgara, ben otto (e tutte e tre quelle d'oro) vengono assicurate dalla squadra di lotta. Nel computo totale delle medaglie vinte dalla Bulgaria alle olimpiadi, la lotta è saldamente al primo posto con 67, quasi il doppio di quelle conquistate dal secondo classificato, il sollevamento pesi.
Il crollo del regime, a inizio anni '90, porta a cambiamenti radicali. Tra i primi settori a venire abbandonati dallo stato, attanagliato dalla crisi e dalle convulsioni della transizione alla democrazia e al mercato, c'è proprio lo sport, divenuto all'improvviso l'inutile fiore all'occhiello di un mondo che non esiste più.
Gli sportivi, rimasti letteralmente sulla strada, cercano vie nuove. Nel confuso processo di smantellamento del sistema comunista, nei primissimi anni '90, lo stato perde gradualmente il suo "monopolio sulla violenza". Sul modello di quanto avviene in Unione Sovietica, molti lottatori decidono allora di mettere a frutto le proprie "competenze" in questo settore.
Si organizzano in gruppi che da una parte esercitano il racket violento sulle imprese economiche che muovono i primi passi sul mercato, e dall'altra assicurano protezione ai gruppi oligarchici che si vanno impadronendo di grosse fette della ricchezza del paese. Arriva poi l'affare del secolo: la guerra in Jugoslavia e il successivo embargo, che garantisce immensi guadagni ai gruppi che controllano il contrabbando di merci e carburante sul confine bulgaro-jugoslavo.
La parola "boretz", "lottatore", entra presto, insieme all'espressione "mutra" (brutta faccia) nel colorito vocabolario della transizione bulgara, come sinonimo appunto di "mafioso". A consacrarla come parte integrante del moderno folklore ci pensa "Tigre, tigre", canzone cult e vero classico della chalga: Forza, lottatori/ datemi la grana, Con la grana/ arrivano belle ragazze, Con la grana/ arrivano macchine occidentali.
Secondo l'analista Tihomir Bezlov il periodo d'oro dei "lottatori" finisce nel 1998, con la messa fuori legge dei due gruppi più importanti, "SIK" e "VIS". E' innegabile però che in molti siano riusciti a reinvestire i guadagni illeciti e a riciclarsi in altre attività, continuando a giocare un ruolo centrale in numerosi settori dell'economia. La parola "boretz", comunque, conserva ancora una forte connotazione negativa nella società bulgara.
Le vittorie di Mahlyanov nel sumo, sport in cui la caratura morale dell'atleta viene considerata di importanza cruciale, potrebbero costituire oggi un primo passo per restituire alla tradizione della lotta la sua dimensione prettamente sportiva, e lasciarsi alle spalle due decenni in cui lo sport è stato associato direttamente al mondo della malavita.
La strada aperta dal campione bulgaro sembra essere fruttuosa. La federazione bulgara di sumo, nata nel 1995, raccoglie oggi non pochi successi a livello europeo. A partire da questa primavera poi, il sumo giapponese vede all'opera un nuovo promettente lottatore bulgaro, il 22enne Daniel Ivanov. Niente esclude che altri potrebbero seguire presto le orme di Kotoōshū.