In Bulgaria il movimento femminista è più vivo che mai, nonostante il governo si sia opposto alla ratifica della Convenzione di Istanbul. Proprio il dibattito sulla Convenzione ha aperto la strada ad una visione intersezionale delle lotte: dai diritti sociali e sindacali, alle questioni LGBT+. Intervista con la sociologa Lea Vajsova
(Pubblicato originariamente su VoxEurop e su Crossbordertalk )
Come si è evoluta la situazione dei diritti delle donne in Bulgaria negli ultimi anni? Ho l’impressione che quello che accade negli Stati Uniti abbia un impatto importante in Bulgaria e su chi la governa.
Sono piuttosto d’accordo sul fatto che i dibattiti e i processi politici americani hanno un impatto su quelli europei e, in particolare, bulgari. Ma con qualche riserva. Il discorso globale non è solo americano, né l'influenza è così unidirezionale. Durante il mandato dell'ex presidente repubblicano Donald Trump, diversi portavoce di organizzazioni conservatrici e/o di identità politiche conservatrici in questo paese, che guardano anche ai repubblicani, hanno certamente acquisito maggiore fiducia in se stessi e, per un breve periodo, sono stati più presenti nel dibattito pubblico. Mi pare essere, questa, una delle caratteristiche generali sulla questione (e anche bulgara quindi): l'assimilazione delle ideologie repubblicane americane e di quelle dell'estrema destra europea. I leader politici si comportano come se le realtà statunitense e quella bulgara fossero la stessa cosa.
Siamo di fronte a un paradosso: i nazionalisti sostengono che c'è un'élite cosmopolita che sta cercando di distruggere lo Stato nazionale mentre, nei fatti, i conservatori prendono e importano alcuni concetti, per esempio dagli Usa, e li impongono nel paese. In un certo senso, si comportano da globalisti. Questo aspetto è analizzato dalla sociologa Mila Mineva .
Ma Trump non è stato l'unico fattore. Va ricordato che la crisi siriana ha generato in Europa un sentimento anti-immigrati e questo, purtroppo, ha legittimato l'estrema destra, che è andata al potere in alcuni paesi europei. Ad esempio, nel 2016 l'estrema destra bulgara ha introdotto la cosiddetta "legge sul burqa", con la quale sperava di creare una polemica pubblica simile a quella francese.
Ma per capire perché le voci conservatrici diventano così potenti da imporre un dibattito in un dato momento, per poi diventare improvvisamente marginali, non basta guardare chi c'è alla Casa Bianca. Dobbiamo riflettere su quali narrazioni globali attuali stanno guadagnando terreno.
Per esempio, c’è stato un momento in cui la violenza domestica sembrava essere il problema più rilevante. Ora sembra se ne parli meno. Ci sono questioni sociali che stanno emergendo?
Vorrei cominciare dal 2018, momento in cui, in Bulgaria, è nato il collettivo femminista LevFem. Questo periodo è stato segnato dai dibattiti sulla ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta alla violenza contro le donne, la cosiddetta Convenzione di Istanbul . Il documento in Bulgaria è stato respinto in quanto giudicato incostituzionale. L'estrema destra — all'epoca guidata dai Patrioti Uniti e dal Partito socialista bulgaro (BSP ) nella persona della leader Kornelia Ninova — se ne uscì con una campagna contro le donne e la comunità LGBTI+. Per questo ci siamo unite al movimento sociale delle donne.
In quasi tutti i programmi dei principali partiti sono presenti politiche volte a incoraggiare, principalmente, le donne ad avere figli. Si tratta chiaramente di donne bianche, di classe media, eterosessuali, che dovrebbero produrre forza lavoro disciplinata per il futuro del paese. Per fortuna, la versione più radicale di questo conservatorismo, che avrebbe potuto includere il divieto di aborto, non è arrivata in Bulgaria.
Contemporaneamente il movimento femminista della nostra recente storia post-socialista ha dato priorità al problema della violenza domestica. L'attivismo delle ong femminili in Bulgaria, analizzato da Maria Ivancheva , è iniziato con la quarta Conferenza mondiale sulle donne di Pechino nel 1995. Da qui è stata avviata la legge sulla protezione dalla violenza domestica (PDVA ). Gli anni Novanta hanno visto l'emergere del concetto di "diritti delle donne" e "diritti dei bambini", concettualizzati in termini di violenza domestica e traffico di esseri umani. Il quadro generale per il lavoro su questi temi è fornito dal concetto di diritti umani. All'inizio degli anni Duemila, grazie all'azione di lobby delle ong femminili, sono state approvate altre leggi: quella sulla protezione dell'infanzia (2000), la legge contro la tratta di esseri umani (2003) e la legge sulla protezione dalla discriminazione (2004). Ciononostante è la questione della violenza domestica ad essere stata la più significativa nel dibattito in Bulgaria dal 1989.
Inoltre, come collettivo LevFem ci siamo trovate di fronte a un altro problema nel movimento: esistevano poche voci che parlavano chiaramente delle disuguaglianze socio-economiche da una prospettiva femminista, o dei problemi dell'essere donna e una persona che si occupa di mansioni di cura. E questo è problematico perché, durante il dibattito sulla Convenzione di Istanbul, abbiamo assistito all'insistenza della frangia conservatrice sulla "famiglia tradizionale cristiana”, usata come una metafora per non parlare della ri-tradizionalizzazione derivante dallo smantellamento dello stato sociale. Lo stato sociale ha svolto (e svolgeva prima del 1989 nella Bulgaria socialista) un ruolo importante nel raggiungimento dell'emancipazione e dell'uguaglianza delle donne. Ad esempio, ci sono in Bulgaria interi settori economici 'femminilizzati' che sono assolutamente cruciali — la sanità, l'istruzione, i servizi sociali e l'industria dell'abbigliamento — e dove la manodopera è quella meno pagata e le condizioni di lavoro sono pessime. Non è un caso che gli scioperi delle infermiere partano da qui. Non si tratta solo di lottare per un aumento dei salari, ma anche di criticare la subordinazione dell'assistenza sanitaria alla logica del mercato e alla mercificazione. Ci sono state proteste di madri con figli disabili e di assistenti sociali. Queste situazioni sono diventate ancora più importanti durante la pandemia di Covid-19 , ma il riconoscimento del loro valore non sembra essere andato molto oltre gli applausi dai balconi.
Molte donne hanno scelto di emigrare, diventando infermiere e collaboratrici domestiche nei paesi dell'Europa occidentale. La Bulgaria ha tradizionalmente rifornito l'Europa occidentale di lavoratori nel settore dell’assistenza. Va aggiunto che non sono solo i lavoratori di questi settori a soffrire delle pessime condizioni di lavoro, della svalutazione del loro impiego e di salari bassi. Il problema tocca anche tutti i cittadini, il cui accesso ai servizi pubblici di base è sempre più limitato. In Bulgaria, ad esempio, abbiamo un problema di carenza di posti negli asili nido e nelle scuole materne comunali delle grandi città, che assorbono il flusso migratorio interno. Questo si ripercuote sulle donne, che devono rimanere a casa per occuparsi dei figli.
Le ricerche che abbiamo condotto dimostrano che ci sono donne che perdono il lavoro, mentre altre passano al lavoro a ore e/o a forme più flessibili, con conseguenze negative per quanto riguarda la copertura assicurativa; altre ancora prolungano il periodo di maternità per il secondo anno o vanno in congedo non retribuito per il terzo. Questo significa che il loro reddito diminuisce rendendole dipendenti dal partner e dai parenti. Anche in questo caso, le donne si mobilitano ogni anno per protestare su questo tema, ma per lo più invano.
Alla luce di tutto ciò forse non è sorprendente che dal 2018 siano nate tante nuove organizzazioni, tra cui la nostra. Da una ricerca che ho condotto, è evidente che c'è una nuova ondata femminista in Bulgaria ed è un fatto positivo, perché è sotto gli occhi di tutti che il dibattito pubblico sta regredendo, dobbiamo pensare in maniera più sistematica a come contrastarlo.
Quali sono le lotte del movimento femminista?
Ci sono persone che cercano di comprendere la situazione delle donne bulgare. Questo è a tutti gli effetti uno dei filoni dell'attivismo delle donne in Bulgaria, che sicuramente continuerà a svilupparsi. Le infermiere continuano a protestare e a Dobrich hanno ricevuto un prezioso sostegno dal collettivo di sinistra Varna Conflict. Il Centro per le comunità sostenibili di Stanimira Hadzhimitova, in collaborazione con colleghi italiani, e Valentina Vasilonova della KNSB (Confederazione dei sindacati indipendenti della Bulgaria), sta lavorando sulla questione dello sfruttamento delle donne bulgare migranti nel settore agricolo italiano.
LevFem cerca di lavorare in maniera sistematica con i sindacati. Dopo il rigetto della Convenzione di Istanbul, l'attivismo delle donne ha iniziato a fare pressione per un emendamento alla legge contro la violenza domestica. Dopo anni di sforzi, la nuova legge è stata infine respinta dall'Assemblea nazionale. In un certo senso, la legge è stata tenuta in ostaggio dai giochi elettorali e siamo tornati al punto di partenza. La dichiarazione più inquietante è stata fatta all'inizio del 2023 dalla Coalizione per la Bulgaria (BSP ) durante un congresso: la coalizione si è impegnata a indire un referendum contro "l'ideologia di genere nelle scuole".
E, a proposito di partiti politici, va detto anche che le donne sono state emarginate dopo il dibattito sulla Convenzione di Istanbul. Assistiamo a un grave declino della rappresentanza femminile in politica.
Esistono diverse realtà femministe nel paese, come lo spazio autonomo femminista Kopriva e la Feminist Library . Il collettivo informale che si è creato intorno alle femministe, invece, si è dedicato ad organizzare le proteste dell'8 marzo e del 25 novembre, date significative nella lotta per i diritti delle donne in Bulgaria.
Due anni fa c'è stata una terribile tragedia: una studentessa bruciata con l'acido, un crimine estremamente brutale. Seguirono una serie di proteste sotto lo slogan "Ni una menos". Nel mondo, le organizzazioni femministe hanno adottato questo slogan durante le proteste. A che punto sono i movimenti?
Esiste un gruppo informale di attivisti su Facebook chiamato "You are not alone ", dove le donne che hanno subito violenza domestica si aiutano a vicenda. Alla fine del 2018, un'altra donna è stata brutalmente assassinata a Ruse. Quando si è diffusa la notizia del suo omicidio, ci sono state proteste a Sofia e altrove.
Si è iniziato a discutere se fosse il caso di dichiarare un movimento #MeToo bulgaro, aggiungendosi così alle manifestazioni previste per il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Ma non volevamo che questo movimento fosse una copia di quello americano. Se lo avessimo chiamato così, c'era il rischio che i giornalisti ci imponessero un quadro linguistico che non aveva alcuna attinenza con quanto stava accadendo in Bulgaria in quel momento. Abbiamo deciso di chiamarla "Non sei sola” e abbiamo lanciato gli hashtag #НеСиСама e #NeSiSama, che sono diventati rapidamente popolari e hanno contribuito alla protesta del 25 novembre. Nello specifico, LevFem ha raccolto dichiarazioni di donne che raccontavano le loro esperienze e le abbiamo pubblicate, la cosa ha suscitato interesse e alla fine le abbiamo raccolte in un libro .
In quel momento, però, non pensavamo a questo movimento come internazionale, anche se ci confortava il fatto che ci fosse una mobilitazione altrove. Non avevamo la forza di coordinarci con altre organizzazioni nel mondo, per questioni puramente pratiche. Tuttavia, dall'inizio della pandemia, LevFem ha costruito una rete chiamata Essential Autonomous Struggles Transnational (EAST), che riunisce sindacati, collettivi e organizzazioni di attivisti informali di donne e persone LGBTI+.
Per noi l'internazionalismo, soprattutto nell'Europa orientale e nei paesi post-socialisti, è un’asse di lavoro fondamentale. Da un lato, sotto molti aspetti, diversi paesi hanno comunque tendenze simili; d’altra parte, come ho già detto, gran parte del mercato del lavoro di cura è fornito da donne che migrano dall'Est all'Ovest, ed è importante far parte del movimento sociale femminile internazionale nel quale le lavoratrici domestiche e le lavoratrici della cura e le badanti migranti hanno un ruolo importante.
L'impulso a questo movimento all'interno dell'Unione europea è venuto senza dubbio dall'ex deputata e sindacalista Kostadinka Kuneva, e la Convenzione 189 sul lavoro domestico è un documento particolarmente importante. Kuneva è stata anche nostra ospite all'incontro transnazionale organizzato da LevFem a Sofia nel settembre 2022, al quale hanno partecipato oltre 150 attivisti provenienti da molti paesi.
Cosa può dirmi sull'attivismo LGBTQ+ in Bulgaria?
La storia del movimento LGBTQ+ prima e dopo il 1989 sta cominciando a essere scritta. Possiamo dire che un momento cruciale è stato il primo Pride a Sofia nel 2008 con lo slogan "Io e la mia famiglia". La manifestazione fu circondata da cordoni di polizia e attaccata con proiettili e bombe molotov.
Va ricordato il lavoro degli avvocati. Ad oggi, le organizzazioni LGBTQ+ continuano a lottare per ottenere un emendamento all'articolo 162 del Codice penale sui crimini d'odio commessi sulla base dell'orientamento sessuale, dell'identità di genere e dell'espressione di genere, che non sono menzionati. La questione è diventata di estrema attualità a causa delle violenze quotidiane contro la comunità LGBTQ+ in seguito al dibattito sulla Convenzione di Istanbul. Queste organizzazioni concentrano i loro sforzi anche sui diritti delle coppie omosessuali, spingendo per il riconoscimento legale delle relazioni di convivenza tra persone dello stesso sesso. Gli avvocati si occupano anche dei casi di persone transgender che vogliono poter cambiare il sesso sui loro documenti d'identità in modo che corrisponda alla loro identità di genere. Stanno spingendo per l'allineamento della legislazione bulgara a quella dell'Ue.
Credo che la peculiarità dell'attivismo LGBTQ+ sia lo sforzo per la costruzione di una comunità. Un ruolo chiave in questo senso è svolto dal centro comunitario Rainbow Hub, da cui emergono gruppi giovanili di base. Tali comunità si sono formate anche intorno al centro sociale anarchico Autonomy Factory /Fabrika Avtonomia. Un'altra caratteristica specifica dei giovani attivisti è che la maggior parte di loro si definisce di "sinistra" e pensa in una prospettiva intersezionale, a differenza di quelli degli anni Novanta che avevano atteggiamenti più liberali e un'identificazione anticomunista. Questa differenza è stata analizzata dal sociologo Shaban Darakchi . La tendenza dell'attivismo LGBTQ+ a essere più di base rispetto a quello delle donne può anche essere una conseguenza dell’assenza di un partito impegnato nella difesa dei diritti LGBTQ+.
Infine, parliamo delle relazioni tra i gruppi LGBTQ+ e quelli femministi.
L'attivismo femminile e quello LGBTQ+ hanno funzionato per lo più in maniera parallela. Una svolta in questo senso è stato il dibattito sulla Convenzione di Istanbul, quando le donne si sono trovate sullo stesso terreno degli attivisti LGBTQ+. Ma non si tratta della norma in Bulgaria: anche qui, alcune delle femministe più “anziane” degli anni Novanta si sono chiaramente distinte dagli attivisti LGBTQ+ e non hanno riconosciuto la causa come propria. Anzi, sostenevano che fosse dannosa.
Non è chiaro se e in che misura i rappresentanti della comunità LGBTQ+ vedano anche le questioni femminili come proprie. Ma è solo dopo la Convenzione di Istanbul che è emersa una maggiore necessità di guardare all'intersezionalità. Sebbene ci sia la volontà di unirsi, dobbiamo assolutamente considerare i punti di divergenza e di convergenza tra quelle che storicamente sono state forme diverse di attivismo.
(Traduzione di Francesca Barca per VoxEurop)
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