La recente visita di Putin in Bulgaria ha ridato fiato a chi vorrebbe riaprire i reattori della centrale nucleare di Kozludoy, fermati alla vigilia dell'ingresso nell'Ue. La campagna "Voglio la luce", sponsorizzata da governo e presidente, sembra però nascondere non pochi interessi di lobby
Gli scorsi 17 e 18 gennaio, insieme ai grandi progetti energetici sottoscritti, la visita del presidente russo Putin a Sofia, ha riportato in primo piano la questione degli archivi bulgari "prigionieri" a Mosca dalla fine della seconda guerra mondiale. Secondo uno sviluppo che sembra poco casuale, poi, la visita ha coinciso con l'apertura di una nuova campagna politica per la riapertura dei reattori 3 e 4 della centrale atomica di Kozloduy, chiusi a fine 2006, alla vigilia dell'ingresso della Bulgaria nell'Unione Europea. Ma cosa si nasconde dietro la campagna, che rappresenta un evidente motivo di frizione con l'Ue? Preoccupazione per una possibile crisi energetica nel paese, oppure interessi di alcune lobby economiche?
Riaprire Kozloduy
Alla vigilia dell'arrivo di Putin a Sofia, il premier bulgaro Sergey Stanishev ha annunciato che la Bulgaria è in trattativa con compagnie inglesi e canadesi per la cessione in leasing dei reattori 3 e 4 della centrale di Kozloduy, in cambio di una loro operazione di lobbying nei riguardi dei paesi Ue, che dovrebbe rendere possibile la riapertura dei reattori stessi. Stanishev ha aggiunto che si tratta di un'operazione complicata, visto che sarebbe necessaria una rivisitazione degli accordi di ingresso della Bulgaria da parte degli altri 26 paesi dell'Unione, visto che la chiusura dei reattori era parte integrante degli accordi stessi.
Nonostante le immediate reazione della Commissione Europea, che ha fatto subito sapere di considerare il caso "Kozloduy" chiuso e non rinegoziabile, il 21 gennaio Stanishev ha preso parte attiva nel lancio della nuova campagna, intitolata "Voglio la luce", organizzata non solo dal governo, ma da grandi aziende attive nel campo energetico. Il premier ha reso noto che l'esecutivo lavora ad ogni possibile variante per la riapertura dei reattori, anche quella di chiamare gli elettori ad esprimersi sulla questione tramite referendum. L'ex ministro dell'Economia, Rumen Ovcharov, ha addirittura lanciato la proposta, piuttosto stravagante, secondo la quale la riapertura completa della centrale possa essere effettuata anche in barba alle disposizioni di Bruxelles.
Anche il presidente Parvanov non ha tardato a dare il suo sostegno alla campagna. "La battaglia politica per la riapertura dei reattori 3 e 4 non è fine a sé stessa", ha dichiarato Parvanov nel corso di una lunga conferenza stampa televisiva, il 27 gennaio, tenuta in occasione della conclusione del primo anno del suo nuovo mandato. Secondo il suo presidente, la Bulgaria è sulla buona strada per riaffermare il suo ruolo di fattore energetico centrale nella regione.
Ma perché i politici bulgari prendono ora parte nella campagna di difesa della centrale atomica, una causa che prima dell'ingresso nell'Ue veniva considerata da loro stessi perduta e venata di populismo spicciolo? Nel 2005 il partito nazionalista VMRO aveva organizzato un referendum popolare, nel quale 837mila cittadini avevano chiesto la riapertura delle trattative sulla questione. Allora, in difesa di Kozloduy, si era spesa politicamente un'altra formazione di carattere nazionalista, il partito Ataka.
Lobbying ed interessi
Molti interessi di lobby sembrano trasparite dalla campagna "Voglio la luce", denuncia il settimanale economico Kapital. Il principale sponsor dell'iniziativa è l'organizzazione non governativa "Bulatom", a cui aderiscono 52 aziende energetiche, guidate da Bogomil Manchev, proprietario del gruppo "Risk Ingeneering". Tra i suoi attori più importanti ci sono poi i gruppi "Enemona", "Glavbolgarsstroy", "Zavodski stroezhi - Kozloduy", "Tita konsult", e "Atomenergoremont" del magnate Hristo Kovachki.
Molti dei gruppi presenti nelle fila di "Bulatom" figurano nelle liste delle aziende che lavoreranno, in sub-appalto, alla costruzione della nuova centrale atomica di Belene, e che hanno forti interessi ad ottenere nuovi contratti nel campo dell'energia atomica, cosa molto probabile nel caso di una riapertura dei reattori 3 e 4 di Kozloduy. Secondo Kapital, una delle possibili spiegazioni al rinnovato interesse ai reattori di Kozluduy è di tipo prettamente strumentale: fare cioè da paravento al vero affare, la costruzione della centrale di Belene, che avrà un costo misurabile in miliardi di euro.
Tensioni europee
Le dichiarazioni dei governanti bulgari sul ritorno della Bulgaria come centro energetico nella regione, insieme alle nuove grida d'allarme sui possibili black-out, ad alcuni fanno tornare alla mente i tempi del regime socialista e del deficit artificiale. Le cifre infatti, sembrano disegnare una realtà diversa. Kapital cita una ricerca sul consumo energetico nella regione, dalla quale appare che il problema non è la mancanza di energia, ma di buone infrastrutture per il trasporto dell'elettricità.
La capacità di produzione, in Bulgaria, è buona. Nel paese ci sono molte centrali attive, termoelettriche come "Maritza Iztok 2" (capacità 1450 MW), "Maritza Iztok 3" (840 MW), "Varna" (1260 MW), "Ruse" (110 MW), ed idroelettriche, come "Belmeken - Sestrimo - Chiara" (1599 MW), "Dolna Arda" (270 MW), "Batak" (231 MW). Altre centrali sono al momento in progettazione.
L'utilizzo ottimale della capacità di produzione attualmente disponibile, insieme ad una distribuzione più razionale dei flussi energetici nella regione potrebbero far risparmiare fino a 6,7 miliardi di euro per la costruzione di nuove centrali. Secondo Feran Taradellas, portavoce dell'eurocommissario per l'Energia, in Bulgaria non c'è deficit energetico, né rischi di possibili black-out, che possano giustificare una riapertura del capitolo "Kozluduy".
"La Commissione supporta in modo molto attivo la Bulgaria nello sviluppo della sua capacità di produzione energetica finanziandola con milioni di euro. Abbiamo concesso un prestito dai fondi "Euratom" per l'aumento della potenza dei reattori 5 e 6 della centrale di Kozloduy, abbiamo dato luce verde per la costruzione di quella di Belene, e non abbiamo posto problemi allo sviluppo del gasdotto "South Stream". Evidentemente non si può parlare di deficit energetico per la Bulgaria, nessuno nel paese è rimasto al buio, e le speculazioni sulla crisi dovuta alla chiusura dei reattori 3 e 4 di Kozloduy sono per noi inaccettabili", ha commentato Taradellas.
Secondo il sociologo Andrey Raichev, la campagna "Voglio la luce" somiglia ad un esperimento del tipo " vediamo cosa succede a prendere a calci in faccia l'Unione Europea...".
Il destino degli "archivi prigionieri"
La visita di Putin a Sofia ha riportato alla luce anche la vecchia questione della restituzione degli archivi bulgari degli anni '30 e '40, sequestrati dall'Unione Sovietica dopo la fine della seconda guerra mondiale. Durante la conferenza stampa conclusiva, il presidente russo Vladimir Putin ha spiegato che fino ad oggi, in realtà, le autorità di Sofia non hanno fatto pervenire alcuna richiesta ufficiale di restituzione. Buona parte degli archivi sono stati restituiti nel 1958, e nonostante la Bulgaria abbia posto la questione della restituzione della parte rimanente a partire dal 2004, da allora non è stata fatta alcuna richiesta scritta nei confronti della autorità russe.
"Aspettiamo. Per adesso non ci è arrivata alcuna richiesta ufficiale, ma nel momento in cui dovesse pervenire, sarebbe presa in considerazione con grande attenzione, nella cornice del quadro legislativo attualmente vigente", ha detto Putin. Il presidente russo ha precisato che al momento non ci sono barriere per gli storici bulgari che vogliano studiare il materiale ancora nelle mani di Mosca. Nel novembre 2007 la fondazione "Bulgaria libera e democratica" ha iniziato una raccolta di firme per caldeggiare la restituzione degli archivi, definiti "prigionieri". La petizione è stata sottoscritta da più di 2400 cittadini, tra cui noti intellettuali, storici e attivisti.
Dopo l'ingresso delle forze sovietiche in Bulgaria, il 9 settembre 1944, furono trasferiti a Mosca per essere interrogati gli allora reggenti del potere, il premier Konstantin Muraviev e quasi tutto il governo, Bogdan Filov, Ivan Bagryanov e il principe Kiril. Allo stesso tempo furono sequestrati gli archivi del governo. Nessuno sa quale sia con precisione la mole di documenti requisiti, visto che questi non sono mai stati inventariati. Si parla di 300 oppure 700 cartelle. Buona parte di queste, come è venuto a sapere Iliyan Vasilev, ex ambasciatore bulgaro a Mosca, si trovano ancora stivate in sacchi e cassoni.
Ora tocca agli esperti fare una lista dei documenti di cui si chiede la restituzione, necessaria affinché gli storici possano fare luce su momenti oscuri di quel periodo storico. Molti studiosi rimangono però scettici. Secondo Veselin Metodiev, deputato dell'opposizione ed ex direttore degli archivi, negli archivi rimasti a Mosca ci sarebbero documenti "che scottano", perché denuncerebbero i tentativi di Stalin di trovare un accordo con Hitler per portare l'Unione Sovietica all'interno del Patto tripartito. La restituzione, secondo Metodiev, è altamente improbabile, visto l'interesse russo a nascondere questa verità scomoda.