"I pastori di Brezovo" (1941) - Z.Boyadzhiev

"I pastori di Brezovo" (1941) - Z.Boyadzhiev

Zlatyu Boyadzhiev, uno dei pittori bulgari del ventesimo secolo più amati e conosciuti. Per i 120 anni dalla sua nascita, la Galleria nazionale d’arte a Sofia ha organizzato una mostra di successo curata da Boryana Valchanova e Vessela Hristova-Radoeva, che abbiamo incontrato

31/01/2024 -  Francesco Martino Sofia

Un pittore unico, “ che sicuramente trova posto nella ristretta cerchia degli artisti che sono universalmente noti tra il pubblico bulgaro, le cui opere vengono riprodotte con frequenza e di cui si organizzano spesso mostre, convegni e discussioni”. Così Vessela Hristova-Radoeva, curatrice della mostra organizzata per il 120simo anniversario dalla sua nascita , introduce la figura di Zlatyu Boyadzhiev e il duraturo riflesso della sua opera nella società bulgara contemporanea.

Un interesse confermato dal successo record della rassegna che da metà settembre 2023 a inizio gennaio 2024 ha raccolto più di 23mila visitatori, tra cui molti turisti stranieri presenti nella capitale bulgara, mettendo in mostra settanta opere dell’artista sui due piani della Galleria nel cuore di Sofia.

Nato nel 1903 nel villaggio di Brezovo, non lontano da Plovdiv, i cui abitanti e i cui paesaggi resteranno uno degli elementi di ispirazione più duraturi per l’artista, Boyadzhiev si è diplomato all’Accademia d’arte di Sofia nel 1932.

"Le miniere di Pernik in inverno" (1945)

“Nel primo periodo della sua produzione artistica, il pittore si attiene ad uno stile e a una tavolozza che potremmo definire classici o neo-classici, con un’estrema attenzione ai dettagli”, spiega Hristova-Radoeva. “Nei suoi quadri in questa fase domina una certa imponente staticità, e dal punto di vista dinamico le sue opere assomigliano a foto istantanee, spesso raccolte nella campagna bulgara o nel suo paese natale di Brezovo”.

Tra la fine degli anni ‘30 e l’inizio degli anni ‘40 produce alcuni dei suoi lavori più conosciuti, come “Matrimonio a Brezovo” (1939), “I pastori di Brezovo” (1941) e “Nei campi/Dopo la mietitura” (1942). Seguono la tragedia della Seconda guerra mondiale e per l’Europa centro orientale, Bulgaria compresa, i traumi e le difficoltà legate all’instaurazione dei regimi comunisti sotto l’occhio vigile dell’Unione sovietica.

A provocare una vera e propria spaccatura violenta nel percorso artistico e personale di Boyadzhiev è però la malattia. “Quando aveva 48 anni, nel 1951 Boyadzhiev ha infatti subito un grave ictus che ha danneggiato la parte sinistra del cervello”, racconta Hristova-Radoeva “Questo ha comportato la paralisi della parte destra del corpo e della mano con cui dipingeva, ma anche la quasi completa perdita della parola e della capacità di scrivere, con la mera capacità di firmare le proprie opere”.

La gravità dello stato di salute, però, non è riuscita ad intaccare la volontà di dipingere del pittore, anzi. Dopo alcuni mesi estremamente difficili, già nel 1952, durante una visita della madre, è riuscito per la prima volta a comunicare con la moglie, chiedendole di dargli una matita e di legarla alla sua mano sinistra, con la quale ha abbozzato un ritratto-schizzo della madre. A poco a poco, si è sentito gradualmente più sicuro di poter dipingere con la mano sinistra.

"Carovana con cammello" (1968)

Ma a cambiare non è stata solo la mano utilizzata: “In questa sua nuova fase Boyadzhiev ha iniziato a mostrare la volontà di dipingere opere anche fisicamente più grandi, piene di personaggi, animali, natura, quasi una reazione istintiva al suo stato di menomazione fisica”, spiega Hristova-Radoeva. “La voglia di vivere e di dipingere è andata a compensare quello che la malattia gli aveva tolto: tanto che l’artista ha iniziato a lavorare quasi compulsivamente, ogni giorno, senza sabati o domeniche ad interferire con la sua voglia di creare”.

Lo stile pittorico dell’artista ne è uscito stravolto, ma anche fecondo di una nuova vitalità fuori dagli schemi perseguiti fino a quel momento. Nella prima fase del nuovo periodo, Boyadzhiev utilizza un numero estremamente ridotto di colori. “All’improvviso, però, i suoi quadri perdono la necessità di rispettare le regole della prospettiva o dell’accostamento cromatico”, racconta Hristova-Radoeva “e la sua tavolozza sperimenta una vera e propria esplosione. Grazie al suo innegabile talento, però, tutti gli elementi in qualche modo trovano nuovamente il proprio posto nella composizione. Forse proprio a testimonianza della sua indomita voglia di vivere, i personaggi e i soggetti dipinti diventano ricchi di dinamicità, e sembrano muoversi ed agitarsi quasi con impazienza all’interno della tela, con un continuo mescolarsi di temi ed impressioni”.

La malattia per Boyadzhiev si è forse rivelata essere anche una rivoluzione interiore, come visibile dalla produzione artistica, ma anche dalle osservazioni dei medici, che parlano nel suo caso di “liberazione dai dogmi di quanto appreso fino a quel momento”.

“Una delle opere in cui questo fenomeno è immediatamente percepibile è “Aprilskoto Vastanie” (“La rivolta di aprile”), rappresentazione del momento in cui la popolazione bulgara, nel 1876, si è ribellata al potere ottomano, iniziando il proprio percorso di affrancamento e liberazione”, sostiene Hristova-Radoeva. “L’eccitazione, l’entusiasmo il caos, la violenza, la speranza, tutto sembra volteggiare nel quadro di Boyadzhiev, forse una delle opere che meglio è riuscita a cogliere non tanto la realtà storica, ma la realtà emotiva profonda di quegli eventi”.

"Due funerali" (1963)

E l’ictus, invece di fermare il suo pennello, gli ha dato una forza nuova e inaspettata: dagli appunti della moglie, che oltre a sostenerlo quotidianamente, ha tenuto minuziosamente conto della sua produzione artistica, in circa dodici anni, dalla metà del 1953 fino alla fine del 1965, il pittore ha realizzato più di 500 opere, tra cui numerose di grande formato.

“Come mi hanno raccontato i familiari, che ne sono stati testimoni diretti e che ho iniziato a frequentare da venticinque anni, in questa fase il pittore era in grado di dipingere due ritratti o un paesaggio in una sola giornata di lavoro, anche se naturalmente le composizioni più grandi richiedevano più tempo”, racconta Hristova-Radoeva.

Secondo la curatrice della mostra, l’opera di Boyadzhiev è ancora in grado di comunicare in profondità con la società bulgara di oggi, e non a caso la retrospettiva è stata intitolata “Poslaniya” (“Messaggi”).

“Uno dei messaggi che l’opera di Boyadzhiev continua ad inviare è che se possiedi talento, devi prendertene cura in modo continuo, senza risparmiare forze, ogni giorno. Un secondo messaggio, dal punto di vista artistico, è che concentrarsi sui temi e sui soggetti che più conosci ed ami è il modo migliore per raggiungere il cuore di chi fruisce della tua arte. Boyadzhiev ha amato molto i paesaggi e i temi della campagna e del villaggio, ma questo non ne fa affatto un artista marginale o provinciale”.

"La rivolta di Aprile" (1963-64)

“E pur avendo operato per buona parte della sua vita sotto il regime comunista, che ha riconosciuto e premiato il suo valore artistico, Boyadzhiev è un autore privo di ogni incapsulamento ideologico, tutt’altro che un ‘artista di regime’. A suo modo”, conclude Hristova-Radoeva “è stato un artista profondamente libero, ed anche questo è un messaggio che risuona nella nostra società di oggi”.