Elezioni in Iraq - AFP

Le elezioni in Iraq hanno nuovamente stimolato il dibattito in Bulgaria sulla partecipazione del proprio contingente all'"Alleanza dei volenterosi". Il governo temporeggia nonostante le argomentazioni che aveva presentato all'opinione pubblica per giustificare l'intervento stiano cadendo una ad una. Ed il Partito socialista, all'opposizione, sta facendo del ritiro uno dei punti forti per vincere le elezioni politiche del prossimo giugno.

31/01/2005 -  Vania Anguelova

Se c'è una cosa che si può dire con franchezza è che la Bulgaria è stata sempre molto fedele nei confronti dei suoi "Stati Protettori"; anche se nella storia questi sono cambiati come risultato dei mutamenti nelle spartizioni delle zone d'influenza politica, in modo molto ortodosso la politica estera bulgara ha seguito tutte le "raccomandazioni" suggerite da qualcuno più grande e più forte. D'altra parte è comprensibile considerando la situazione nella quale si trova un piccolo Stato balcanico.

A volte però le esagerazioni in questa direzione della politica estera bulgara riescono a scuotere anche il "povero cittadino medio"; per esempio quando inevitabilmente si chiede perché con tutti i problemi economici interni il governo cerchi di convincerci che facciamo bene a spendere soldi per stare in Iraq. La presenza delle truppe in Iraq è una questione abbastanza fastidiosa per la società bulgara ed è sempre più difficile per il governo trovare delle buone ragioni per giustificarsi.

La decisione della Polonia di diminuire le proprie truppe in Iraq - sotto il cui comando si trovano i soldati dall'esercito bulgaro - e quella di altri Paesi di ritirare la propria presenza immediatamente dopo le elezioni, hanno messo in ulteriore difficoltà il governo nel convincere l'opinione pubblica della "giusta causa".

Il governo bulgaro e l'Iraq

All'inizio è stato relativamente facile per il governo bulgaro trovare una o più buone ragioni per convincere l'opinione pubblica della necessità della propria presenza in Iraq, nonostante l'80% della popolazione fosse stata contraria a questa decisione politica.

Le promesse dell'amministrazione Bush circa la possibilità per la Bulgaria di recuperare i propri crediti nei confronti dell'Iraq partecipando come alleato nella coalizione si sono rivelate piuttosto vane. Il Ministro delle finanze Milen Velchev ora afferma di accontentarsi di recuperare almeno il 20% dell'1,7 miliardi di dollari di debito che l'Iraq ha nei confronti della Bulgaria.

I conti iniziano a non tornare visto che fino adesso la Bulgaria ha speso circa 55 milioni di dollari per garantire la propria presenza militare.

Per lungo tempo il governo bulgaro inoltre ha presentato la data delle elezioni in Iraq come una specie di termine alla propria presenza ma poi, più questa s'avvicinava, più la questione si faceva vaga. Ora il Ministro della difesa Nicolai Svinarov ha affermato che il governo bulgaro prenderà una decisione in merito alla fine di marzo, cioè a distanza di qualche settimana delle elezioni in Iraq.

"Sofia aspetterà per vedere se il nuovo governo iracheno chiederà o meno la presenza delle truppe bulgare sul proprio territorio" ha concluso il Ministro Svinarov. Nonostante il Ministro della difesa abbia affermato che non ci sono delle controversie all'interno delle istituzioni riguardo alla presenza della Bulgaria in Iraq, il Presidente Georgi Parvanov ha proposto un dibattito per la questione del ritiro delle truppe bulgare entro la fine del 2005.

Nelle ultime settimane appare però sempre più chiaro che le elezioni in Iraq non saranno così determinanti per la presenza del contingente bulgaro sul territorio iracheno quanto lo saranno invece le elezioni parlamentari in Bulgaria.

Elezioni: da Bagdad a Sofia

Le elezioni parlamentari bulgare che si svolgeranno nel giugno prossimo vengono vissute come un "fatto sociale totale" per i partiti politici in Bulgaria. Tutto quanto sta accadendo nella vita politica del Paese gira e funziona in nome di questo appuntamento. Da una parte si ha il governo - che si vanta di aver siglato l'entrata della Bulgaria nella NATO - che teme che un eventuale ritiro delle truppe possa venir interpretato come un fallimento della propria politica estera. Dall'altra il maggior partito d'opposizione, il Partito socialista bulgaro, che ha fatto del ritiro uno dei punti forti della propria strategia elettorale. Angel Naidenov, membro del Partito socialista, responsabile della sicurezza nazionale ha dichiarato: "Nel mese di Luglio abbiamo inoltrato una richiesta al Parlamento riguardo la necessità di una graduale riduzione e ritiro delle truppe bulgare dall' Iraq subito dopo le elezioni di gennaio, ma da allora fino ad adesso la maggioranza all'interno del parlamento categoricamente ha negato qualsiasi discussione riguardo questo argomento".

Il leader del Partito socialista bulgaro Sergei Stanishev ha dichiarato che vorrebbe aprire un dibattito parlamentare subito dopo le elezioni in Iraq per un immediato ritiro delle truppe. Stanishev è stato appoggiato espressamente da tanti esponenti del suo partito. L'atteggiamento del Partito socialista riguardo la questione irachena è ritenuto dalla maggioranza come "populista e strumentale in vista delle prossime elezioni in Bulgaria". Il Partito socialista sarà uno dei maggiori protagonisti sulla scena elettorale, e ha già dichiarato apertamente che nel caso di un'eventuale vittoria ritirerà immediatamente le truppe bulgare.

Anche il Presidente della Repubblica Parvanov, alla vigilia del terzo anniversario della sua elezioni, ha voluto fare un appello in merito al ritiro delle truppe bulgare dal territorio iracheno. Ma senza troppe precisazioni.

Il mantenimento del contingente bulgaro in Iraq si è rivelato molto più insidioso del previsto. Sia dal punto di vista delle ingenti risorse "bruciate" sia dal punto di vista morale. Per un Paese che si trova in una situazione economica così difficile come quella della Bulgaria l'affrontare una spesa del genere è pesante. Una democrazia giovane come quella bulgara rischia di sentirsi tradita. Difficilmente potrà ignorare un simile fallimento alle prossime elezioni politiche.

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