La casa editrice Keller ha recentemente pubblicato Le lupe di Sernovodsk di Irena Brežná, una raccolta di reportage letterari che raccontano le guerre cecene con le parole delle donne
Le lupe di Sernovodsk è il titolo di una raccolta di articoli a firma della giornalista di origine slovacca naturalizzata svizzera Irena Brežná. Gli articoli ripercorrono l’evoluzione delle vicende cecene, dalla prima guerra alla pacificazione forzata e al culto della personalità di Ramzan Kadyrov e Vladimir Putin. L’articolo più recente risale al marzo 2011, il più datato al 1996. La Brežná ha monitorato 15 anni di Cecenia, raccolti in 213 pagine, pubblicate da Keller Editore per la collana Razione K, nella traduzione dal tedesco di Alice Rampinelli, con postfazione di Lucia Sgueglia e, a mo’ di introduzione, il saggio Ipnosi insanguinata di Anna Politkovskaya.
15 articoli distribuiti in quattro sezioni: la prima guerra cecena, l’indipendenza, la seconda guerra cecena e il dopoguerra.
Irena Brežná si colloca nella lista di corrispondenti di sesso femminile fatalmente e inesorabilmente attratte da una forza irresistibile che le ha condotte in Cecenia e che, sulla base dell’esperienza di questa guerra, hanno partorito un libro: la norvegese Asne Sejerstad e Il fanciullo dal cuore di lupo, l’italiana Francesca Sforza e Mosca-Grozny: neanche un bianco su questo treno, accanto ad Anna Politkovskaya e i suoi sconvolgenti reportage dalla Cecenia e dalla Russia intera, le cecene Milana Terloeva con Ho danzato sulle rovine e Majnat Abdulaeva, corrispondente di OBC Transeuropa, con i suoi racconti pubblicati in tedesco, che ancora attendono un editore italiano. Queste donne coraggiose non hanno voluto condividere l’irresponsabilità della criminale acquiescenza e condiscendenza delle democrazie occidentali al massacro dei ceceni e, pur consapevoli dell’impossibilità di influenzare i giochi della geopolitica internazionale, si sono rifiutate di restare in silenzio.
Irena Brežná porta con sé in Cecenia il suo passato di est-europea, in fuga da Praga nel ’68, mentre i carri armati sovietici la invadevano. Una fuga che, dalla Cecoslovacchia, l’ha condotta in Cecenia 30 anni più tardi. Una sola guerra, quella dell’imperialismo russo-sovietico, combattuta in tempi e luoghi differenti: Budapest nel ’56, Praga nel ’68, l’Afghanistan nel ’79, la Cecenia per ben 2 volte, i più recenti eventi bellici in Georgia, Ucraina e Donbass.
“Vedo una ragazza dai capelli neri sul sedile anteriore di una Skoda grigia, con la targa di Bratislava. Sono i primi del settembre del 1968, l’auto viaggia in direzione ovest […] quella ragazza ero io. […] Sono passati 27 anni dalla fuga. Sente parlare di carri armati ed elicotteri che circondano una piccola regione di montagna, sente dire che quella regione si difende e muore. D’un tratto corre via, corre a briglia sciolta, corre verso l’origine del suo stesso rapimento, corre non via da qualcosa e non verso qualcosa, corre per la dignità, per affrontarla. L’obiettivo del suo ritorno non è la città natia Bratislava[…] Lì, nel Caucaso sconosciuto, scorgevo l’archetipo dell’eroina dei nostri tempi.”
Oriana Fallaci è stata definita una scrittrice prestata al giornalismo. Una definizione egualmente calzante per Irena Brežná. Il volume che raccoglie i suoi reportage contiene solo parole. Nessuna immagine, nessuna foto, nessuna cartina della Cecenia. Solo parole. E riflessioni sulle parole. Riflessioni sulle parole da usare per scrivere la guerra: “Con quelle parole duttili cuce un abito su misura per il suo corpo di donna. Se ne riveste. Di questo inestinguibile intenso desiderio di forma. Per lei, l’estetica delle parole è una legge cui assoggettare gli orrori in modo da renderli tollerabili”. Condensa così, in poche righe - e in terza persona, come a volte fa nel libro - il suo manifesto programmatico, la sua etica ed estetica professionali di giornalista scrittrice e attivista per i diritti umani.
La resistenza delle donne
Al centro del libro le donne cecene, le lupe – il lupo è il simbolo della Cecenia – nel bene e nel male. Da che mondo è mondo la guerra è fatta dagli uomini. Kadyrov, El’cin, Putin, Basaev, i soldati russi, uno dietro l’altro sfilano bigi, quasi indistinti, senza carattere, simili fra di loro, accomunati da un unico culto: la necrofilia, in senso lato, figlia della guerra.
Un libro scritto da una donna dedicato ad altre donne: quelle che vanno avanti, quelle che lottano con o senza armi, quelle disposte a perdere i figli e i mariti ma non la Patria, quelle che sognano un tribunale di guerra per crimini contro l’umanità, quelle che vendono il sangue per sfamare la famiglia, ma sono sempre impeccabilmente abbigliate.
Diversi articoli sono dedicati alla figura di Zajnap Gašaeva, nome noto in Occidente, partigiana sui generis che al posto delle armi brandisce una videocamera per creare un archivio di prove dei soprusi subiti dai civili, nella speranza, chissà dove chissà quando, di una Norimberga cecena. L’onestà intellettuale della Brežná non le consente di tacere su quella che è la vera condizione della donna in Cecenia, vittima di una società estremamente machista, dove le donne, soprattutto quelle giovani, hanno pochi diritti.
Doppiamente vittime, dunque, le donne, della guerra e di un concetto deviato di onore, ancora molto in voga nel Caucaso del Nord, che le vuole sempre colpevoli anche in caso di violenza sessuale. I ratti della sposa e i delitti d’onore fanno parte integrante del diritto consuetudinario di famiglia, accuratamente nascosto agli occhi dello straniero: “La prima pilota cecena, Lilija Suchanova, ha sorvolato i cieli sovietici negli anni ’60. Le nuove libertà sono sopraggiunte però nello stretto ambito del socialismo. Mi sono meravigliata della forza e della dignità delle donne cecene in guerra, e ho intravisto solo una parte degli usi e costumi a cui aderiscono fin da subito. Il silenzio sul diritto consuetudinario caucasico mantenuto nei confronti dello straniero è appunto una componente di questo meccanismo repressivo […] Il responsabile per i diritti umani di Kadyrov, Nurdi Nuchažiev, ha dichiarato che per le donne dei popoli di montagna vige un certo codice di comportamento, e i parenti maschi che si sentono offesi dal comportamento delle donne adottano il linciaggio”.
Il diritto di famiglia vigente è quello del clan patriarcale in cui la donna non ha voce in capitolo. In caso di vedovanza – di separazione o divorzio neanche a parlarne – i figli vengono affidati al clan dell’uomo, nonostante la madre sia in vita.
La violenza dei soldati russi sulle donne cecene è stata denunciata a più riprese: il clamoroso caso del colonnello russo Yuri Budanov, condannato per lo stupro e assassinio dell’adolescente Elsa Kungaeva, ha fatto storia come uno dei pochi processi vinti da una famiglia cecena contro militari russi. La violenza dei ceceni contro le donne cecene viene invece regolarmente passata sotto silenzio. La violenza, sessuale e non, contro le donne, è assurta a sistematico mezzo di repressione quando esercitata contro le attiviste per i diritti umani, prime fra tutte Natalja Estemirova e Zarema Sadulaeva, i cui barbari omicidi hanno avuto eco anche in Italia. Irena Brežná riferisce raccapriccianti particolari riguardo la Sadulaeva, violentata al quarto mese di gravidanza, con le ossa spezzate, per disonorare tutta la sua famiglia, con un’offesa che si perpetua anche dopo la morte della vittima. “Le donne, insieme agli islamisti, sono il pericolo principale per la stabilità tanto decantata da Putin e dal suo figlioccio adottivo Kadyrov a Grozny, questa terra necrofila dove vige la protezione speciale per gli assassini.”
Con una decisione editoriale controcorrente, la Keller Editore, pubblicando questa serie di ricordi, questo revival di ciò che è stato e non si può cambiare, spezza la damnatio memoriae a cui la storia recente della repubblica cecena è stata condannata. Putin e Kadyrov, hanno deciso di fare proprio questo strumento giuridico del diritto romano e consapevolmente condannare all’oblio coloro che ancora attendono giustizia, seppellendo vive le tante ferite sotto una coltre di panem et circenses. Non a caso il termine più ricorrente per descrivere il processo di assenza di azioni belliche in Cecenia è “pacificazione”, vale a dire un processo forzato indotto dall’alto. La parola “pace”, in assenza di giustizia, è del tutto fuori luogo.