E' una pratica dalle origini dibattute che pare, negli ultimi decenni, riemergere al punto da diventare un vero e proprio problema sociale
Cinquant’anni fa, nel 1967, nei cinema sovietici usciva Kavkazskaja plennica (“La prigioniera caucasica”, opera conosciuta in Italia come “Una vergine da rubare”), commedia che riscosse da subito un enorme successo, affermandosi nel tempo come una tra le più amate dal pubblico sovietico. Diretto da Leonid Gajdaj, uno dei più celebri registi sovietici dell’epoca, il film ironizza sulla pratica del rapimento della sposa, usanza comune a diverse culture del Caucaso considerata all’epoca bizzarra ed esotica.
Ambientata proprio tra le montagne del Caucaso, la commedia racconta le avventure di Šurik, studente di antropologia in cerca di storie e leggende locali, e Nina, una ragazza giovane e avvenente diventata oggetto del desiderio di un ricco e potente governatore locale.
Dopo aver stretto un accordo matrimoniale con lo zio di Nina, resosi conto dell’impossibilità di conquistarla, il governatore assolda un improbabile trio per rapire la ragazza e averla tutta per sé. Il trio non riesce però a portare a termine il compito, poiché Nina spende molto tempo insieme a Šurik, il quale, dopo avere incontrato accidentalmente la ragazza lungo il suo percorso, se ne innamora. Così lo zio di Nina si presenta a Šurik, raccontandogli che la ragazza è già stata promessa in sposa al governatore, e che la stessa avrebbe chiesto di inscenare il proprio rapimento, per rispettare una vecchia tradizione locale. Šurik inizialmente aiuta i tre rapitori, ma dopo essersi reso conto del raggiro si mette alla disperata ricerca della ragazza, per salvarla dalle grinfie del pretendente.
Antica usanza o fenomeno recente?
Sebbene nel film di Gajdaj il rapimento della sposa venga presentato come un’antica tradizione caucasica, le origini di questa pratica sono tutt’ora dibattute: secondo alcuni studiosi si tratterebbe infatti di un’usanza affermatasi solamente negli ultimi decenni. Nonostante tale pratica sia stata bandita dalle autorità zariste già nel XIX secolo, all’epoca della conquista russa del Caucaso, secondo Russell Kleinbach, professore dell’Università di Filadelfia autore di numerosi studi sullo sviluppo di questo fenomeno nelle regioni dell’ex Unione Sovietica, fino alla prima metà del XX secolo si sarebbero registrati solamente casi isolati. L’usanza sarebbe poi stata improvvisamente riscoperta a partire dagli anni Cinquanta, divenendo sempre più praticata in seguito al crollo dell’URSS.
Questa pratica, diffusa soprattutto nelle repubbliche del Caucaso russo e in Asia Centrale, consiste nel prelevare una donna con l’inganno o con la forza, per poi costringerla, attraverso pressioni fisiche o psicologiche, a sposare uno dei suoi rapitori. Secondo Amina Umarova, corrispondente per RFE/RL, per molte società caucasiche, fortemente tradizionali e conservatrici, una volta che una donna spende una notte – o anche solo qualche ora – nella casa dell’uomo che l’ha rapita, perde il proprio onore, finendo quindi costretta, per salvare la reputazione della famiglia, a sposare il proprio rapitore.
Sebbene, nel caso del Caucaso settentrionale, la legge russa preveda pene che vanno dai 4 agli 8 anni di carcere per chi commette un sequestro di persona, nella maggior parte dei casi di rapimento a fini matrimoniali la famiglia della vittima e quella del sequestratore trovano un accordo per risolvere personalmente la questione, evitando quindi di aprire un procedimento penale. Al momento non vi sono statistiche ufficiali riguardo a questo fenomeno, anche se, come ricorda Umarova, nella sola Cecenia gli attivisti per i diritti umani locali ritengono che in almeno un matrimonio su quattro la donna venga costretta a sposarsi in seguito a pressioni di ogni tipo, incluso il rapimento. Ogni anno sarebbero quindi centinaia le ragazze cecene obbligate a convolare a nozze contro la propria volontà.
Tra realtà e messa in scena
Per Lipkhan Bazaeva, presidentessa di Ženskoe Dostoinstvo (Dignità delle donne), organizzazione nata per tutelare i diritti delle donne cecene, spesso un uomo rapisce una donna per gelosia o per orgoglio, dopo essere stato respinto. Il rapimento serve anche a velocizzare i tempi del matrimonio, nel caso una ragazza preferisca invece aspettare perché troppo giovane o perché ancora impegnata negli studi. Nella maggior parte dei casi, comunque, la vittima conosce il proprio rapitore, anche se a volte può capitare che a compiere il sequestro siano dei perfetti sconosciuti, i quali si invaghiscono ad esempio di una ragazza dello stesso villaggio.
Secondo la Bazaeva, non tutti i casi di rapimento avvengono però contro la volontà della donna: diversi sono infatti i sequestri “consensuali”, paragonabili a vere e proprie fughe d’amore, in cui la presunta vittima si mette preventivamente d’accordo con il rapitore, fornendo il suo consenso esplicito a inscenare il sequestro. Questo avviene principalmente quando una donna vuole sposare un uomo per amore, ma non ha il consenso della famiglia, oppure non può semplicemente permettersi di organizzare costose cerimonie. Alcuni locali sostengono addirittura che tali rapimenti vengano inscenati semplicemente per rispettare la tradizione, con la complicità quindi non solo dei due futuri coniugi, ma anche delle rispettive famiglie.
I provvedimenti delle autorità
Per arginare il costante aumento del fenomeno, negli ultimi anni le autorità locali hanno iniziato ad attuare una serie di misure repressive. Il primo paese a condannare ufficialmente tale pratica è stata la Cecenia guidata da un leader – Kadyrov – che in verità si è sempre dimostrato particolarmente legato alle tradizioni, comprese quelle più controverse, come il delitto d’onore e i matrimoni combinati. Nel 2010 le autorità cecene stabilirono una multa di un milione di rubli (quasi 16.000 euro) per chiunque prenda parte a un rapimento, riuscendo in questo modo a ridurre i casi di sequestro, senza però porre fine al fenomeno. Rispetto a questo paese resta comunque il paradosso che, se si interviene sul rapimento della sposa, non si da invece risposta alle gravi accuse da parte di chi si batte in difesa dei diritti umani relativamente a rapimenti, pestaggi e uccisioni degli oppositori politici da parte dell'attuale leadership cecena.
Qualche anno la pratica del rapimento della sposa venne inoltre criticata dal Consiglio degli anziani della Repubblica d’Inguscezia (organizzazione che riunisce i più autorevoli rappresentanti di ogni clan del paese), il quale definì l’usanza come totalmente estranea all’Islam, condannando chiunque si macchi di tale reato a pagare una sorta di indennizzo al proprio villaggio d’appartenenza. Secondo i precetti dell’Islam, un matrimonio può essere celebrato solo con il consenso di entrambi i coniugi e la benedizione dei rispettivi genitori.
Proprio il parlamento dell’Inguscezia, in seguito all’ennesimo caso eclatante, ha recentemente presentato una proposta di legge che mira a punire specificatamente chi organizza e mette in atto il rapimento di una donna al fine di costringerla al matrimonio, proponendo una pena minima di tre anni di carcere.