A Dubrovnik tre organizzazioni non governative provenienti da Serbia, Croazia e Bosnia hanno promosso una conferenza internazionale sulla cooperazione tra i Paesi che hanno sottoscritto gli Accordi di Dayton. Per discutere di cooperazione regionale.
La conferenza che si è tenuta a Dubrovnik, dal 19 al 21 ottobre scorsi, era stata soprannominata la "mini Schengen". Tre le organizzazioni non governative che l'hanno proposta: il Comitato civico per i diritti umani di Zagabria (presieduto da Zoran Pusic, attivista per i diritti umani e fratello di Vesna Pusic), il Centro per il regionalismo di Novi Sad (il cui presidente Aleksandar Popov, sociologo, fu deputato federale) e il Forum per l'alternativa democratica (Presieduto da Mladen Pandurovic, giornalista ed anch'egli attivista nel campo dei diritti dell'uomo).Tra gli invitati anche autorità istituzionali di rilievo di Bosnia Erzegovina, Croazia e Federazione Jugoslava.
I temi che volevano essere affrontati erano quelli riguardanti l'abolizione immediata della necessità di procurarsi un visto per muoversi all'interno degli Stati che hanno sottoscritto gli Accordi di Dayton, l'introduzione di una zona di libero scambio e la cooperazione regionale.
Molti avevano promesso la propria presenza e, ad eccezione del consigliere del Presidente croato Mesic per gli affari esteri, Tomislav Jakic e del sottosegretario agli esteri Josip Paro, che hanno dovuto rinunciare a causa di urgenze improvvise, non sono venuti meno a quest'impegno. Il livello dei partecipanti era quindi alto: per la Bosnia-Erzegovina erano presenti il vicepresidente del parlamento Sejfudin Tokic ed il viceministro degli esteri Zeljko Jerkic, con loro anche molti deputati; dal Montenegro era presente la presidente del parlamento Vesna Perovic, il primo consigliere del presidente Djukanovic, Miodrag Vukovic e funzionari del ministero degli esteri; rappresentavano invece la Serbia il presidente del parlamento della Vojvodina Nenad Canak, la rappresentanza del ministero degli esteri federale guidata dal consigliere del ministro Svetislav Popovic, alcuni deputati dal parlamento serbo; per la Croazia la rappresentanza di più basso livello, il conte ragusino-naroneo Ivan Sprlje e l'assessore per la cooperazione transregionale di Osijek Tihomir Salajic.
Anche la Comunità Internazionale era presente con suoi rappresentanti di livello. Guidava infatti la delegazione il vice dell'Alto Rappresentante della BiH, l'ambasciatore Colin Munro.Non mancavano poi i rappresentanti della società civile, più di sessanta tra esperti e membri delle differenti organizzazioni nongovernative affermatisi nell'impegno per la pacificazione e democratizzazione della regione.
I temi maggiormente trattati sono stati quelli riguardanti la cooperazione regionale. Si è evidenziato un certo progresso in questo tipo di relazioni. Questo vale soprattutto per la regione pannonica, che comprende il triangolo di città collocabile tra Osijek in Croazia, Tuzla in Bosnia e la capitale della Vojvodina Novi Sad. Una cooperazione quest'ultima certamente favorita dal fatto che l'autogoverno locale nelle tre citta' da sempre è stato nelle mani delle forze civiche e non nazionaliste. Meno significativo ma ugualmente rilevante e' la copoperazione tra Trebinje, Dubrovnik e Herceg Novi basata su interessi meramente pragmatici: l'acqua potabile utilizzata dalle tre città proviene dalla stessa fonte, la protezione del bosco e delle foreste dagli incendi non può essere organizzata in modo efficiente se non con una cooperazione tecnica transfrontaliera ecc.
Sono anche emersi freni a questa cooperazione. Innanzitutto la lentezza con la quale procede l'ampliamento delle relazioni economiche e commerciali tra Croazia e Serbia nonostante ogni giorno migliorino le relazioni sul piano diplomatico-politico (anche se rimane in alto mare l'approvazione da parte dei rispettivi parlamenti dei trattati sottoscritti in merito ai confini meridionali dei due Paesi).
Difficoltà che derivano soprattutto da relazioni interne alle coalizioni governative: il DSS, partito Presidente jugoslavo Kostunica, similmente a quanto accade per l'HSLS, partito del ministro della difesa croato Jozo Rados, cerca di carpire voti alla destra nazionalista e quindi tende a rallentare ogni processo verso una piena e completa normalizzazione. Inoltre ancor'oggi non è chiara la posizione del DSS su di una possibile divisione della Bosnia-Erzegovina; anche l'HSLS non ha rotto le relazioni con l'HDZ bosniaca che da sempre appoggia un'Erzegovina integrata nella Croazia.
Tutti i partecipanti alla Conferenza hanno concordato che questi sono gli elementi che non favoriscono una pacificazione completa della parte occidentale dei Balcani.
Restano ambiguità, hanno notato molti, sulle intenzioni della comunità internazionale. Quali sono le strategie di lungo periodo? Su cosa possono contare gli Stati dei Balcani nel futuro? Molte questioni rimangono aperte anche dopo questa conferenza di Dubrovnik che ha fatto però emergere un'affinità sempre maggiore tra le forze civiche e democratiche dei Paesi della regione "daytoniana".