Scuola, sindacalizzazione, sistema di tassazione: sono elementi che hanno portato Slovenia, Croazia e Serbia distanti sul piano dell'eguaglianza sociale, seppur partissero tutte dalla stessa struttura economica, quella della Jugoslavia
Quali traiettorie economiche stanno seguendo gli stati della ex-Jugoslavia dopo quasi tre decenni dall’inizio della disgregazione? Dato che questi stati sono germinati da un unico sistema comune, ad una prima riflessione sarebbe lecito aspettarsi che negli anni abbiano conseguito uno sviluppo economico paragonabile. Se guardiamo però a tre di loro, ossia Croazia, Serbia e Slovenia, scopriamo che hanno raggiunto risultati economici e sociali significativamente differenti, soprattutto per quanto riguarda i livelli interni di diseguaglianza.
Da una recente ricerca condotta da Jelena Žarković Rakić, Gorana Krstić (entrambe della Facoltà di Economia dell’Università di Belgrado), Nermin Oruč (del Centre for Development Evaluation and Social Science Research) e Will Bartlett (della London School of Economics and Political Science) emerge infatti come la Slovenia abbia uno dei livelli di diseguaglianza economica più bassi in Europa, la Croazia un livello medio e la Serbia uno dei livelli più alti. Ma come si è arrivati ad uno sviluppo diametralmente opposto?
Le autrici e gli autori introducono il loro articolo mostrando innanzitutto come la ex-Jugoslavia avesse un livello di ineguaglianza economica relativamente basso, misurato da un coefficiente di Gini pari allo 0,21. Semplificando la questione tecnica, il coefficiente di Gini è un indicatore di diseguaglianza calcolato come la differenza tra la distribuzione della ricchezza effettiva e una situazione ideale di perfetta eguaglianza economica (equidistribuzione della ricchezza). Così, un valore del coefficiente di Gini prossimo a zero indica che la ricchezza economica in un paese è egualmente distribuita tra la popolazione, e dunque non vi sono disuguaglianze particolarmente rilevanti. Al contrario, un indice pari ad 1 implica massima disuguaglianza: il caso limite è rappresentato da una sola persona che detiene tutta la ricchezza di un paese. Ebbene, prima della disgregazione degli anni ‘90 il coefficiente di Gini per Croazia, Serbia e Slovenia era rispettivamente pari a 0,23, a 0,22 e a 0,24. Se ne evince dunque una situazione in termini di distribuzione della ricchezza relativamente equa, sia a livello generale di repubblica federale sia a livello di confronto fra stati interni.
Jelena Žarković Rakić e i suoi coautori mostrano poi come rispetto agli ultimi dati disponibili su Eurostat (l’anno di riferimento nella loro ricerca è il 2018), la Slovenia presenta un coefficiente di Gini contenuto ed equiparabile a quello della ex-Jugoslavia, ossia prossimo allo 0,23. Questo valore è il secondo più basso in tutta Europa, solo la Slovacchia fa meglio (0,21). L’indicatore di Gini per la Croazia invece è cresciuto negli anni fino allo 0,30, attestandosi sul valore della media europea di 0,31. Infine, per quanto concerne la Serbia, il suo coefficiente di Gini nel 2018 sfiora il valore dello 0,36, il terzo più alto in tutta Europa. Fanno peggio solo Lituania (0,37) e Bulgaria (0,40). A mero titolo di paragone, negli ultimi anni il coefficiente di Gini in Italia si è assestato intorno allo 0,33.
Dando però uno sguardo più ampio alla traiettoria del coefficiente di Gini dei paesi presi in considerazione, dal grafico sottostante (fonte Eurostat) possiamo notare come la Croazia e la Slovenia sembrano aver raggiunto un proprio limite inferiore nell’attenuazione delle diseguaglianze interne. Al contrario invece, a partire dal 2015 la Serbia mostra una netta tendenza alla riduzione delle diseguaglianze, tant’è vero che il coefficiente stimato per il 2019 è pari allo 0,33, sintomo che qualcosa sta cambiando.
Preso comunque atto dell’ampio divario che si è venuto a creare nel corso del tempo nei tre paesi rispetto al coefficiente di Gini, le autrici e gli autori dell’articolo cercano di andare a ritroso per capire quali fattori istituzionali abbiano influenzato nel corso del tempo traiettorie così differenti negli indici di disuguaglianza, dato che tutti e tre gli stati partivano da una medesima base comune, come dimostrano anche i valori del coefficiente di Gini per l’ex-Jugoslavia.
I fattori chiave di differenziazione individuati sono il mercato del lavoro, il sistema educativo e il sistema redistributivo statale.
Per quanto riguarda il primo di questi fattori, l’accesso al mercato del lavoro costituisce indubbiamente una fonte primaria di disuguaglianza economica. In particolare, nel 2018 in Serbia si è osservato un tasso di occupazione generale del 63,1% e un tasso di disoccupazione del 12,9%. In Slovenia invece il tasso di occupazione si è assestato nel tempo sopra al 75% e il tasso di disoccupazione intorno al 5%. La Croazia si identifica invece per tassi a metà strada tra quelli di Slovenia e Serbia, del 65,2% e del 8,2% rispettivamente. Come spiegato dalle autrici e dagli autori, queste differenze sono attribuibili principalmente a due elementi: alla percentuale di contrattazione collettiva, che in Slovenia copre oltre il 70% dei contratti, mentre in Croazia e in Serbia questa percentuale non giunge al 50% e alla diversa rappresentatività dei sindacati: nel 2020 quasi il 60% dei lavoratori sloveni si è dichiarato essere rappresentato da un sindacato, mentre in Croazia e in Serbia questo valore è di poco superiore al 40%.
Per quanto concerne i sistemi educativi vigenti nei tre paesi, Jelena Žarković Rakić e i suoi coautori mettono in evidenza come i tre stati condividano di fatto lo stesso sistema di accesso all’educazione superiore (basato sulle abilità misurate al termine della scuola primaria e reminiscenza del sistema adottato in ex-Jugoslavia). Tuttavia, la percentuale di popolazione con un’educazione superiore differisce tra le tre nazioni: nel 2018 questa era del 36,6% in Slovenia, del 27,9% in Croazia e del 25,7% in Serbia. Questi numeri dimostrano la difficoltà sistemica di croati e serbi ad accedere a livelli di educazione superiore rispetto alla Slovenia. Questo senza contare poi che i laureati in Serbia hanno quasi lo stesso livello di disoccupazione (11%) di una persona che ha interrotto gli studi dopo la scuola primaria (13,9%), mentre in Slovenia per le due categorie le percentuali differiscono significativamente (del 9,2% e del 3,7% rispettivamente), indicando come il mercato del lavoro sloveno è in grado di differenziare le due categorie e di assorbire in maniera più efficace persone qualificate. Come anche per gli altri dati, pure in questo caso la Croazia si pone a metà tra Serbia e Slovenia. Quello che gli autori cercano di comunicare è che anche un sistema educativo vischioso e non comunicante con il mercato del lavoro contribuisce ad aumentare le disuguaglianze economiche.
Infine, l’articolo si sofferma sui regimi fiscali e sulle politiche di redistribuzione. In particolare, viene ribadito come mentre Croazia e Slovenia abbiano adottato fin da subito un paradigma fiscale progressivo, la Serbia ha optato per una cosiddetta tassa piatta (flat tax) del 10% su tutti i redditi. Per quanto riguarda i sistemi pensionistici, invece, la Serbia segna un punto a proprio favore rispetto alle altre due regioni, in quanto il suo sistema pensionistico sembra essere anche quello che ha un maggior effetto redistributivo verso le fasce di popolazione economicamente più deboli. "In particolare, in Serbia le pensioni sono la seconda fonte di reddito (20%) dopo i redditi da lavoro (59%), mentre in Croazia (19%) e in Slovenia (14%) le pensioni costituiscono una quota di reddito inferiore". A contribuire alla redistribuzione della ricchezza, alle pensioni in Serbia si aggiungono poi i trasferimenti diretti (come per esempio gli assegni al nucleo familiare), che impiegano l’11% delle entrate fiscali totali, mentre per questa stessa variabile si registrano percentuali più basse per Croazia e Slovenia
Croazia Serbia e Slovenia, pur provenendo quindi da un medesimo sistema economico relativamente equo in termini di distribuzione della ricchezza, a partire dagli anni ’90 hanno seguito traiettorie di sviluppo differenti, che hanno portato a diversi livelli di diseguaglianza economica. Le cause principali di questa differenziazione vanno ricercate nelle scelte fatte rispetto al mercato del lavoro, al sistema educativo e ai regimi sociali dei tre stati. Le autrici e gli autori dell’articolo non mancano comunque di porre l’accento su un ulteriore importante fatto storico: la durata del coinvolgimento nelle guerre degli anni '90 e le successive sanzioni economiche internazionali mostrano ancora oggi i propri strascichi nelle economie di Serbia e Croazia; al contrario la Slovenia a suo tempo è riuscita a smarcarsi in fretta dal conflitto.