Un tempo era parte dell'autoproclamata repubblica serba di Krajna. Ora è roccaforte del nazionalismo croato. Viaggio estivo tra lapidi commemorative e fotografie di criminali di guerra
Con due articoli pubblicati il 17 e il 30 agosto dall'Osservatorio sui Balcani, Drago Hedl - redattore del settimanale croato Feral Tribune - ha portato alla ribalta il villaggio di Sveti Rok e la sua vicenda recentissima.
Situato nel cuore della Lika, all'interno di quella che dal '91 al '95 fu l'autoproclamata repubblica serba di Krajina guidata da Milan Martić, questo piccolo centro abitato si trova poco discosto dalla strada statale che attraversa da nord a sud i territori "liberati" nell'agosto 1995 con l'Operazione Tempesta.
Sveti Rok è balzato agli onori delle cronache per l'intitolazione di una lapide commemorativa al suo concittadino Mile Budak (1889-1945) - scrittore e Ministro della Cultura e della Religione nel Governo NDH, promotore di leggi e politiche volte ad azzerare la presenza del gruppo etnico serbo in Croazia - e per il blitz con il quale essa è stata prontamente rimossa per decisione del governo Sanader.
L'omaggio a questo protagonista del governo ustascia di Ante Pavelić ha provocato accese polemiche, dichiarazioni ambigue e divisioni di campo all'interno dei confini della Croazia, portando ancora una volta alla superficie i temi più cari del nazionalismo e ultranazionalismo croato in opposizione alle ragioni di chi vede la Croazia proiettata verso una dimensione europea. Per la sua valenza il fatto ha dunque trasceso la ristretta dimensione locale per occupare intere pagine di cronaca e commento di quotidiani e settimanali nazionali e non: Jutarnji e Večernji List, Slobodna Dalmacija, Feral Tribune, Zadarski Regional, ... .
La lapide commemorativa, incastonata nel muro che delimita l'area di rispetto della chiesa parrocchiale di Sveti Rok e sormontata dalla Croce, definiva Budak "patriota croato" morto assassinato "per la causa del popolo croato" (la condanna a morte comminatagli dall'autorità jugoslava comunista fu eseguita il 7 giugno 1945) ed era stata posta dai "patrioti croati dell'emigrazione e della terra croata". La lapide al letterato Budak (la motivazione addotta dai sostenitori dell'intitolazione del monumento era infatti la celebrazione dello scrittore e non dell'uomo politico), decorata con simboli grafici della tradizione artistica e religiosa croata, poneva poi a fianco del ritratto di Budak la significativa immagine di un fuoco ardente.
"Dio, patria e famiglia", elementi fondanti della cultura nazionale e nazionalista croata, vengono così ricomposti in questo quadro, all'interno del quale la componente famigliare è rappresentata dal duraturo, solido e rinnovato legame tra la comunità degli emigrati e la comunità dei rimasti. A Sveti Rok si assiste infatti alla riunione della famiglia, ossia all'abbraccio tra i membri della cosiddetta diaspora (i fuggitivi e gli esuli filo-NDH al termine del Secondo conflitto mondiale) e la comunità di coloro che, rimanendo, hanno presidiato il territorio negli anni della Jugoslavia comunista. La presenza viva e forte dell'emigrazione è segnalata anche da altri elementi, come la costruzione da parte dell'associazione croato-canadese "Sveto brdo" di un monumento intitolato ai caduti "per la patria croata" - posto lungo la strada statale all'altezza della svolta per il villaggio.
La vicenda di Sveti Rok si inserisce in un contesto più ampio. Situata tra la città di Gospić e la cosiddetta "sacca di Medak" - entrambe note per i fatti di sangue contro la popolazione serba locale che hanno portato all'incriminazione dei generali Norac e Ademi - ed i centri etnicamente ripuliti di Gračac e Knin, Sveti Rok (assieme al caso di Slunj, anch'esso menzionato da Hedl) pare rappresentare la punta avanzata ed emersa di un ben più vasto clima di ferma ed orgogliosa rivendicazione dei fatti della guerra patriottica nella Croazia occidentale e di legame spirituale con il passato ustascia. Se la simbologia ustascia si limita generalmente alla presenza sui muri di numerose "U" sormontate dalla croce cattolica, più forte è il messaggio pubblico legato agli eventi della guerra '91-'95: la fitta presenza di bandiere nazionali ricorda con determinazione ossessiva il pieno possesso del territorio da parte croata e costituisce un chiaro monito agli "altri"; messaggi dell'HSP (partito dell'estrema Destra croata guidato da Anto Đapić, estremamente attivo in quest'area) affissi a Gospić chiedono "la Croazia ai Croati", mentre manifesti di sostegno ai generali Norac ("E' colpevole perché ha difeso la patria") e Gotovina (ricercato dal TPI per crimini contro l'umanità commessi nel corso dell'Operazione Tempesta) compaiono in vari centri abitati sulle vetrate di bar, farmacie ed altri esercizi commerciali. A Knin, poi, l'addetto alla vendita dei biglietti per la visita della fortezza alla domanda su chi sia la persona ritratta nel quadretto in vendita tra i souvenirs afferma che si tratta del generale Ante Gotovina, il quale "è un eroe e un problema. Un eroe per noi e un problema per il mondo".
Ma se la volontà di affermare la croaticità dei luoghi e di celebrare le forme e gli effetti della guerra patriottica fanno ancora vibrare l'aria di queste terre fatte di catene montuose, pietra, altipiani e gole, manifestazioni simili giungono fin sulla costa, nella turistica Zara, dove vacanzieri in cerca di una posa fotografica possono imbattersi nell'immagine esibita con orgoglio di Mirko Norac: una sua gigantografia campeggia sul muro esterno del bar Tiffany, ai margini del centro storico, mentre un manifesto che proclama Gotovina "eroe e non criminale" è affisso in vista all'interno di un negozio di elettrodomestici presso la Chiesa di San Simeone.
Atteggiamenti, questi, che nella tormentata città di Zara rievocano l'attribuzione della cittadinanza onoraria allo stesso Gotovina nell'inverno del 2002 e le tensioni politiche che a Zara e da Zara da tempo si sprigionano.
Vedi anche:
Croazia: rimossi i monumenti ai leaders nazisti
Croazia: monumento a criminale ustascia
Croazia: offensiva dell'estrema destra
* Leonardo Barattin è uno di quei molti italiani che girano i Balcani per lavoro. E' responsabile esteri di un'azienda del nord est