Il PIL dovrebbe crescere nel 2015, per la prima volta, dopo sei anni di segno meno. Ma in Croazia non c'è ancora nulla da festeggiare
Il 2015 sarà un anno di leggera crescita per l'economia in Croazia. Secondo la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), Zagabria beneficerà di un minimo aumento del PIL (+0,5%) dopo sei anni di recessione. Una notizia senza dubbio positiva, ma che è passata quasi inosservata nel paese. Lungi dal felicitarsi del ritorno all’agognato segno “più”, il governo di Zoran Milanović è infatti alla prese con una crisi economica e sociale a prima vista interminabile.
Disoccupazione
Il primo dei problemi è certamente la disoccupazione, che orbita ormai - nei mesi invernali - attorno al 20%. In Croazia, il tasso di impiego varia in modo significativo a seconda della stagione: in estate, grazie all’attività turistica, il numero dei disoccupati scende di circa il 3%. Ma per i giovani, poco cambia che sia luglio o gennaio, uno su due è in ogni caso senza lavoro: una percentuale (50%) che porta il paese in terza posizione nell’UE per disoccupazione giovanile, dopo Grecia e Spagna.
Come in altri stati membri, si riaffaccia quindi il fenomeno dell’emigrazione verso il nord d’Europa. Il ministero tedesco degli Interni ha pubblicato il 21 gennaio 2015 il suo rapporto annuale sull’immigrazione: il numero dei croati trasferitisi in Germania è aumentato del 94,7% tra il 2012 e il 2013. Conseguenza collaterale, ma prevedibile, dell’ingresso nell’UE: i giovani croati cercano altrove un futuro migliore.
Movimenti
Per chi resta, la situazione non è meno critica. Alle ultime elezioni, quelle che hanno portato alla presidenza la fiumana Kolinda Grabar-Kitarović, la precarietà e la povertà hanno ritrovato il loro posto al centro del dibattito politico. A riportare questi temi alla ribalta non sono stati i due partiti tradizionali, i socialdemocratici (SDP) o i conservatori (HDZ), ma un movimento civico guidato da uno studente 24enne, Ivan Vilibor Sinčić.
“Živi zid”, questo il nome del partito che ha ottenuto il 16,4% dei voti, si batte dal 2012 contro i pignoramenti e gli sfratti per morosità sempre più frequenti nel paese. Attualmente, la Camera di commercio croata registra quasi 40.000 beni in corso di pignoramento per debiti o per fallimento e di questi, più di 1700 sono appartamenti o abitazioni. Nel solo mese di gennaio 2015, gli attivisti di "Živi zid" si sono opposti a cinque diversi tentativi di sfratto.
Il partito di Ivan Sinčić non è l’unico a portare avanti una precisa critica sociale al governo. Il movimento dei “Blokirani” nasce ugualmente dalla crisi economica che colpisce il paese. Quest’associazione si è fatta portavoce di quelle 320.000 persone il cui conto in banca è stato bloccato per debiti. “Una cifra che sale ad un milione, se si considerano anche i membri delle famiglie coinvolte”, assicurano i Blokirani. Un croato su quattro conosce fin troppo bene questo problema. Dal 2010, ovvero da quando l’esecutivo socialdemocratico ha disciplinato e autorizzato il blocco dei conti bancari per morosità, il numero dei cittadini incappati nelle maglie della nuova legge è cresciuto di 65.000 persone l’anno, secondo le statistiche dell’associazione. Il loro debito - prosegue Blokirani - corrisponderebbe oggi a quasi 30 miliardi di kune, quasi 4 miliardi di euro.
Banche vs. cittadini
Infine, la contrapposizione tra istituti di credito e cittadini ha vissuto una nuova escalation in questo mese di gennaio. Giovedì 15, la banca centrale svizzera ha messo fine al cambio fisso tra euro e franco svizzero (CHF), deciso nel 2011 per scongiurare un eccessivo apprezzamento della moneta elvetica di fronte all’instabilità della zona euro. Il successivo salto del franco, che ha guadagnato il 20% in un paio di giorni, ha seminato il panico in Croazia. Qui infatti più di 60.000 persone hanno sottoscritto dei prestiti legati al corso della valuta svizzera ed oggi rischiano di veder il proprio debito aumentare esponenzialmente.
L’associazione Franak, che raggruppa questi creditori, ha incontrato la settimana scorsa l’esecutivo. “Milanović ha accettato la nostra proposta di introdurre una moratoria, bloccando per un anno il cambio tra franco e kuna” - racconta Damir Šlogar, membro del consiglio della Franak - “è un inizio, siamo soddisfatti, ma ci aspettiamo, entro il primo marzo, delle proposte concrete per una soluzione definitiva”.
L’associazione propone, ad esempio, di convertire i debiti in kune (HRK), applicando il tasso di cambio CHF/HRK valido il giorno della stipula del prestito. Ma chiede anche la restituzione degli interessi “strapagati” alle banche dai risparmiatori croati. Per il momento, la Franak non ha invitato i suoi iscritti a scendere in piazza, ma ha chiesto loro di porre un simbolico cero funereo sulla porta degli istituti di credito del paese. “La protesta è per il momento in stand-by”, spiega Damir Šlogar, “aspettiamo di incontrare il governatore della Banca centrale, Boris Vujčić, prima di prendere nuove decisioni”.
Presto di nuovo al voto
I mesi che seguiranno saranno dunque decisivi per il governo socialdemocratico, che ha meno di un anno per presentarsi alle urne con un saldo di popolarità in attivo. A fine 2015, infatti, gli elettori croati voteranno nuovamente, questa volte per eleggere il nuovo parlamento e quindi definire l’esecutivo.
Milanović che ha puntato su privatizzazioni e capitali esteri per rilanciare l’economia, raccoglie ora i frutti dell’opposizione dei cittadini ai suoi progetti: un referendum sarà presto organizzato sulla cessione delle autostrade pubbliche e l’inizio delle esplorazioni petrolifere in Adriatico potrebbe risvegliare gli ecologisti.
Insomma, il ritorno della crescita in Croazia potrebbe non bastare per salvare il centro-sinistra da una disfatta elettorale.