Superata la prima fase della crisi pandemica Zagabria va al voto per le politiche, in anticipo rispetto alla naturale fine della legislatura prevista per quest'autunno. L'opposizione accusa l'esecutivo di aver accelerato sulla data per mero calcolo politico
È con una protesta davanti al parlamento e con i fischi al Primo ministro Andrej Plenković che è iniziata ieri la breve campagna elettorale che porterà la Croazia alle urne entro 60 giorni. Ieri, si è infatti sciolto il Sabor, il parlamento di Zagabria, come deciso la scorsa settimana dall’esecutivo che attende ora la decisione del capo di Stato Zoran Milanović sulla data esatte delle elezioni. Si voterà il 21 giugno, il 28 giugno, il 5 luglio o il 12 luglio. Rispetto ai normali tempi della legislatura, che avrebbe dovuto concludersi quest’autunno, si tratta dunque di un voto leggermente anticipato. Ed è proprio questa “fretta” dell’esecutivo ad aver alimentato le proteste di ieri, non solo perché la Croazia si troverà a votare praticamente all’indomani della fine del lockdown (e con un’imminente crisi economica in arrivo), ma anche perché lo scioglimento del parlamento ha rimandato a settembre (o più tardi) la legge sulla ricostruzione, non ancora approvata dopo il terremoto di Zagabria del 22 marzo scorso.
Capitalizzare la gestione della crisi
"La gente è furiosa, si sentono abbandonati dal governo per qualche calcolo politico", ha dichiarato ieri Tomislav Tomašević, consigliere comunale a Zagabria tra le fila di Zagreb je Naš! (Zagabria è nostra!, all’opposizione) e leader del movimento progressista e ambientalista Možemo [Possiamo]. Secondo Tomašević, l’esecutivo "ha avuto abbastanza tempo per scrivere la legge" e "si sarebbe potuto votare oggi", invece la capitale dovrà aspettare ancora. "Questo è un accordo tra Bandić [il sindaco di Zagabria, ndr.] e l’HDZ", ha concluso il consigliere comunale. Dello stesso avviso anche Peda Grbin, deputato del Partito socialdemocratico, che la scorsa settimana ha accusato il partito del premier (l’HDZ, per l’appunto) di fare "tutto ad hoc", insomma di aver accelerato lo scioglimento del parlamento per trarne un vantaggio elettorale. "L’obiettivo è che la Croazia abbia quanto prima un esecutivo funzionante" ed "è normale prassi che sia il governo a decidere la tempistica delle elezioni", ha risposto Plenković.
Ma gli analisti politici croati sembrano essere unanimi su questo punto: l’esecutivo vuole votare quanto prima, perché più aspetta più il suo rating potrebbe precipitare. Il governo Plenković ha infatti gestito tutto sommato bene la fase più acuta della pandemia, approvando delle misure restrittive fin da subito e limitando il contagio. Da fine febbraio, la Croazia ha dunque registrato poco più di 2mila casi di coronavirus e un centinaio di vittime. Tuttavia, quello che aspetta il paese nei prossimi mesi potrebbe essere ancora più duro. Molto dipenderà dalla stagione turistica e dai risultati di luglio e agosto, dopodiché l’OMS ha già avvertito che in autunno una seconda ondata di coronavirus è molto probabile. A questo si aggiungono le imprevedibili conseguenze della riapertura in corso. Insomma, l’esecutivo ha poco da guadagnare e molto da perdere ad aspettare fino alla scadenza naturale del mandato. Ma il calcolo politico non è passato inosservato.
Le forze in campo
A poche settimane dal voto qual è dunque la situazione nel panorama politico croato? Il governo Plenković, come detto, gode attualmente di un buon livello di popolarità, grazie all’azione dell’unità di crisi che ha gestito la prima fase della pandemia. Nonostante abbia attraversato molti scandali e ha perso molti pezzi negli ultimi quattro anni (da ultimo, il ministro della Difesa Damir Krstičević ha dato le dimissioni una settimana fa dopo che due militari sono rimasti uccisi in un incidente), l’esecutivo è dunque in vantaggio sull’opposizione.
L’ultimo sondaggio pubblicato dalla televisione privata RTL e realizzato dall’agenzia Promocija plus dà infatti l’HDZ a quota 30,2%, contro il 27,8% dell’SDP (attorno a cui si riunisce però la coalizione “Restart”). Segue, in terza posizione, il “movimento per la patria” di Miroslav Škoro, punto di riferimento dell’estrema destra, otterrebbe oggi il 10,1% dei voti. Most, il fronte cattolico-conservatore, che potrebbe unirsi a Škoro, arriva quarto con circa il 4% dei voti (i partiti restanti viaggiano tra l’1 e il 2%, compreso Živi zid, gli alleati croati del Movimento 5 stelle, che toccano ora il punto più basso della loro parabola politica).
L’HDZ sarebbe dunque in vantaggio, ma non di molto. Ecco che negli ultimi giorni, si è parlato molto di una possibile “grande coalizione”, da realizzarsi all’indomani del voto tra HDZ e SDP. Tutti gli interessati, a destra come a sinistra, hanno negato categoricamente quest’opzione, con il presidente del parlamento, l’HDZ Gordan Jandroković, che ha assicurato, riferendosi ai socialdemocratici, che "nemmeno il COVID–19 ci può unire". Domenica, è stato lo stesso leader dell’SDP Davor Bernardić ad assicurare che "non ci può essere coalizione con un partito che è sotto processo per corruzione e il cui governo ha perso 11 ministri per accuse di corruzione".
Tuttavia, la rottura consumatasi nei mesi scorsi tra l’HDZ e l’estrema destra (in passato sia Most che gli attuali seguaci di Škoro facevano parte della coalizione pro-HDZ) potrebbe ora obbligare Plenković a cercare delle alleanze post-elettorali. La stessa attuale maggioranza si regge in piedi grazie ai voti dei rappresentanti delle minoranze nazionali. Sarà dunque una grande coalizione o un’alleanza con l’estrema destra a riportare Plenković al governo? Ci sono chance che l’SDP di Bernardić possa arrivare primo e dettare lui le regole? All’indomani della dissoluzione del parlamento, è decisamente troppo presto per azzardare scenari futuri, mentre quello che già appare molto probabile è che il prossimo governo croato dovrà far fronte ad una crisi economica senza precedenti.