In pochi giorni ha raccolto migliaia di firme. E' il referendum per bloccare la concessione a privati delle autostrade croate. Ancora una volta un esecutivo in Croazia è messo alle strette da un'iniziativa referendaria
160.000 firme in quattro giorni. Da sabato 10 a martedì 14 ottobre, gli organizzatori del referendum “Ne damo naše autoceste” (“Non diamo via le nostre autostrade”) hanno raccolto più di un terzo delle sottoscrizioni necessarie per organizzare la consultazione. A questo ritmo, è molto probabile che si raggiungerà quota 450.000 ben prima del 25 ottobre, ultimo giorno utile per la campagna referendaria. “Arriveremo ad un milione di firme!”, assicurano i promotori dell’iniziativa, che sperano così di mandare un messaggio forte all’esecutivo, superando di fatto il numero di voti incassati dalla coalizione "Kukuriku" - attualmente al governo - alle ultime elezioni.
A Zagabria, in piazza Ban Jelačić, la principale della città, gli stand sono presi d’assalto dai cittadini. L’operazione dura un attimo: giusto il tempo per copiare nome, cognome e codice fiscale nel registro e sottoscrivere a lato. “Non abbiamo nemmeno bisogno di spiegare di cosa si tratta!”, dice sorridendo uno degli attivisti. Per gli organizzatori, la questione è semplice: “vogliamo davvero che lo stato privatizzi le autostrade dopo che ci sono voluti quarant’anni per costruirle?”, chiede Krešimir Sever, presidente del Sindacato croato indipendente (HNS). “Quando la Croazia ha privatizzato le prime autostrade in Istria e nello Zagorje, i vincitori del bando avevano l’impegno di terminarne la costruzione”, prosegue Sever, “oggi, invece, lo Stato vuole dar via una rete stradale già finita!”.
La “rete” in questione conta circa 1000 km e comprende la Zagabria-Spalato e la Zagabria-Fiume, le tratte principali del paese.
Dietro all’iniziativa referendaria vi sono sette associazioni e sette sindacati diversi. A loro avviso il governo Milanović farebbe meglio a tenersi le “autoceste” e ad incassarne i guadagni. “Perché la gestione delle autostrade è economicamente interessante per i privati ma non per lo stato? Se non conviene gestirle, come dice il governo, perché i privati le vogliono?”, si chiede Sever. Secondo il sindacalista, se la Croazia gestisse le proprie autostrade nei prossimi 40 anni, le casse statali guadagnerebbero circa 80 miliardi di kune, vale a dire più di 10 miliardi di euro. Quanto basta per costruire “300 ospedali, 2000 scuole o 4000 asili”, si legge sul cartello appeso alle sue spalle.
Il ministro dei Trasporti, Siniša Hajdaš Dončić fornisce dati leggermente diversi. “Ci aspettiamo un guadagno di circa 3 miliardi di euro da una cessione delle autostrade per 30-50 anni”, afferma il ministro. Con quel denaro, il governo ha intenzione di ripagare parte dei debiti contratti per la costruzione della rete stradale, riducendo così il debito pubblico croato. Inoltre, lo stato manterrebbe la proprietà delle sua autostrade: “Quello che abbiamo in mente è una concessione, non una privatizzazione”, precisa Dončić.
“I vincitori della gara d’appalto saranno scelti sulla base della loro capacità ad assicurare la manutenzione e la sicurezza delle autostrade, oltre l’eventuale costruzione di nuove tratte. Infine, anche il non-aumento delle tariffe è tra i criteri che abbiamo imposto”.
Negli ultimi giorni, il governo ha cercato di rinfoltire la lista delle motivazioni a favore della “monetizzazione” delle autostrade. Il primo ministro, Zoran Milanović ha persino pubblicato un video su Facebook per convincere i cittadini a sostenere i piani dell’esecutivo. Per il capo di governo, la cessione delle autostrade permetterà alla Croazia di risparmiare sugli interessi sul debito (restituendone subito una grossa parte), di costruire il ponte di Pelješac, o ancora di investire nella rete ferroviaria. L’alternativa, conclude Milanović è continuare a pagare gli interessi sul debito per altri 25 anni.
Non è la prima volta che l’esecutivo di Zagabria è messo alle strette da un’iniziativa popolare. Nel novembre 2013, un referendum organizzato dall’associazione “nel nome della famiglia” modificò la costituzione croata, vietando de facto i matrimoni gay. Nei mesi seguenti, alcune associazioni nazionaliste proponevano una raccolta firme per vietare l’uso dell’alfabeto cirillico negli spazi pubblici, ma l’iniziativa fu interrotta dalla Corte costituzionale che la invalidò. In seguito, fu la volta della battaglia contro l’outsourcing nella pubblica amministrazione: il governo sta ancora verificando la validità delle oltre 700.000 firme raccolte. Infine, ultima in ordine di data, c’è stata la petizione per modificare la legge elettorale, voluta, ancora una volta, da “nel nome della famiglia”. Arrivata a termine qualche giorno fa, la campagna referendaria ha raccolto 368.000 firme. Troppo poche, secondo il governo, considerato che serve il sostegno del 10% degli elettori (ovvero 450.000 sottoscrizioni) per organizzare una consultazione popolare.
Questa volta, viste le premesse e il ritmo con cui gli organizzatori stanno raccogliendo le firme, pare proprio che la consultazione sulle autostrade si terrà. E visto che a Zagabria la critica più ricorrente al governo di Milanović è che “sta vendendo tutto”, l’esito del referendum potrebbe essere scontato.