Cocci di vetro (John Schneider/flickr)

Cocci di vetro (John Schneider/flickr)

Una Croazia in ginocchio, colpita dalla crisi economica. Nonostante la gioia per l'ingresso nell'UE è questo il desolante quadro della situazione. Ma diventare 28mo membro dell'Unione potrebbe far cambiare qualche cosa. Un'analisi

27/06/2013 -  Matteo Tacconi

La Croazia è a pezzi. Entra nell'Unione europea, il primo luglio, in quello che sotto il profilo economico è senza dubbio il momento peggiore della sua recente biografia nazionale. Da quando è scoppiata la crisi globale, nel 2008, il quadro complessivo è andato progressivamente peggiorando. I numeri fugano ogni dubbio, a partire da quelli relativi all’attività economica. In questi cinque anni è calata del 12%.

Le previsioni primaverili della Commissione europea, tra l’altro, indicano che il 2013 sarà un altro anno di recessione per la Croazia. Il suo Pil, nei prossimi dodici mesi, dovrebbe contrarsi di un punto percentuale. Nel 2014, invece, potrebbe tornare in positivo, seppure con ritmo anemico.

Anche gli altri valori macroeconomici lasciano perplessi. Il 2012 ha visto i consumi privati e la domanda interna contrarsi rispettivamente di tre e 2,9 punti. Mentre gli investimenti diretti hanno segnato il quarto anno consecutivo di contrazione, scendendo del 4,6%. Quanto alla disoccupazione, le stime provvisorie riportate dall’Ufficio statistico croato sono poco consolanti: 20,9%.

Cause esterne e interne

Ma quali sono, esattamente, le origini della severissima crisi che sta vivendo la Croazia? Ce ne sono di esterne, come di interne. Le prime fanno rima con Europa. La Croazia è legata alle economie comunitarie. Basta considerare che il 62% di quello che Zagabria importa e il 59,8% di quello che esporta viene dall’area UE o va verso di essa (dato 2011). A questo va aggiunto che tre dei paesi UE che registrano difficoltà particolarmente acute sono vicini della Croazia: Slovenia, Ungheria e Italia, con quest’ultima che ne risulta il primo partner commerciale, con un interscambio superiore a quattro miliardi di euro. Logico che la situazione traballante di questi paesi ha avuto impatti significativi sul fronte degli investimenti e delle importazioni.

Ma lo scenario fosco ha anche delle variabili interne. La Croazia, come rilevato nel 2012 dalla delegazione del Fondo monetario internazionale in visita a Zagabria non è così competitiva e ha un export debole, la cui incidenza sul Pil è tra le più basse nel panorama dell’Europa centrale e sudorientale. Al di là della qualità dei prodotti croati, ancora non del tutto sufficiente per collocarsi sui mercati occidentali, diversi economisti locali sottolineano che la scarsa performance delle esportazioni – a tale proposito qualcuno spinge sul deprezzamento della kuna per ridare ossigeno al settore – dipende da un vincolo insano tra pubblico e privato. Molte aziende preferiscono fare affari con lo stato e con gli enti pubblici, piuttosto che esplorare i nuovi mercati.

Emergenza corruzione

Un simile fenomeno induce, oltre al fallimento (se lo stato è in crisi non può più “dare da mangiare” a tutti), al clientelismo e alla corruzione. Tema, questo, che negli ultimi mesi è salito in cima all’agenda, specie dopo il processo e la condanna all’ex primo ministro conservatore Ivo Sanader. Gare e bandi pilotati, mazzette, amicizie tra politica e affari rimbalzano nelle cronache.

Una recente ricerca condotta da Ernst & Young sulla base di interviste realizzate con diversi capi d’azienda, ha messo in risalto che, in Europa, la Croazia è insieme alla Slovenia il paese dove la percezione della corruzione è più sentita. Le tangenti, a leggere i risultati del sondaggio (che non va comunque preso come oro colato), sarebbero una cosa normale. Quotidiana.

Tra le altre distorsioni di rilievo del sistema croato figurano, secondo gli esperti, l’ampiezza del pubblico impiego, l’aumento progressivo del debito pubblico (60% all’incirca) e la pressione fiscale, tra le più alte in Europa. C’è inoltre da tenere conto anche della bolla immobiliare e della speculazione edilizia esplose negli ultimi anni. Così come dello scollamento tra le regioni più ricche (Zagabria e la costa) e quelle interne, come la Slavonia e le aree intorno alla città di Knin, dove non a caso fu più duro il conflitto negli anni '90.

La dote europea

Ci si chiede, adesso, se l’ingresso nell’UE può risollevare la Croazia. Su questo punto il presidente Ivo Josipović è stato molto pragmatico. "Il primo luglio è una data storica, ma non aspettiamoci miracoli", ha dichiarato nei gironi scorsi, lasciando intendere che la ripresa arriverà più avanti e non sarà necessariamente legata all’andamento dell’UE. In altre parole, la Croazia deve rispondere all’emergenza economica con le proprie risorse. Facendo riforme.

C’è da dire, tuttavia, che su questo fronte finora non ci sono state troppe novità. Zagabria s’è attenuta alla ricetta austera corrente, alternando i tagli alle nuove imposte (è salita l’Iva e il governo ha pensato a lungo di introdurre una tassa sulla proprietà immobiliare). Cosa che ha alimentato il malcontento e la protesta.

Resta il fatto che l’Europa qualche dote da consegnare ce l’ha. In primo luogo, l’ingresso nell’UE porta alla Croazia un’importante cascata di fondi di coesione e strutturali. Nel periodo 2014-2020 arriveranno tra i 13 e i 14 miliardi di euro. Una somma infinitamente maggiore rispetto a quella ottenuta tramite i fondi pre-adesione (Ipa): un miliardo, grosso modo, dal 2007. In molti si augurano che questi soldi vengano spesi in modo diverso e migliore, rispetto alla strategia pubblica di investimenti finora seguita, che ha privilegiato le infrastrutture e i settori cosiddetti non tradable. La priorità dovrebbe essere accordata alla competitività, ai posti di lavoro, alla conoscenza.

Un altro potenziale beneficio legato all’ingresso nell'Unione europea è rappresentato dal cambio di passo che il quadro normativo comunitario potrebbe stimolare. L’accesso al mercato unico e le leggi antitrust (che vietano gli aiuti di Stato) possono favorire, in Croazia, una rottura in termini di mentalità, inducendo a guardare più al mercato e allo spazio europeo, a migliorare le proprie aziende e i propri prodotti, che non a fare sempre affidamento sullo Stato. In ogni caso, i risultati che la membership europea avrà sull’economia croata si misureranno nel medio periodo. E questa, al momento, è l’unica cosa certa.

 

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