Ennesimo scandalo nel governo croato di Andrej Plenković: questa volta il protagonista è il ministro della Sanità Vili Beroš, arrestato per sospetta corruzione su fondi europei NextGenerationEU. Scontro tra l’Ufficio della procura europea EPPO e la procura croata
Ventinove? Trenta? Trentuno? Quanti sono i membri del governo Plenković che dal 2016 hanno dovuto abbandonare il proprio posto perché accusati di corruzione o abuso di potere?
Il numero è talmente alto che si fa fatica a tenere il conto. Forse è più facile ricordare questo dato: da quando è arrivato al potere – otto anni fa – Andrej Plenković ha dovuto sostituire in media un ministro o un sottosegretario ogni tre mesi circa. Praticamente ad ogni cambio di stagione.
L’analogia può far sorridere e far pensare che la situazione in Croazia non sia poi così drammatica. In realtà, l’ultimo scandalo, scoppiato una decina di giorni fa ed arrivato al suo apice alla fine della settimana scorsa, ci dice proprio il contrario: in Croazia la corruzione istituzionale di alto livello è onnipresente e il governo Plenković sembra fare tutto ciò che può per nasconderla, anche a costo di scontrarsi con le istituzioni europee.
Il ministro della Sanità in manette
Il 15 novembre il ministro della Sanità Vili Beroš è stato arrestato e contemporaneamente licenziato dal premier Andrej Plenković (una mossa rapida e scaltra, che ha permesso al Primo ministro, in conferenza stampa, di prendere le distanze dal suo ormai “ex ministro”).
Secondo un comunicato pubblicato immediatamente dopo l’arresto dall’Ufficio della procura europea (EPPO), Beroš è al centro di un’indagine europea iniziata a luglio e che coinvolge altre sette persone (tra cui i direttori di due ospedali pubblici di Zagabria) e due società, sospettate di corruzione, abuso di potere e riciclaggio di denaro.
Nel dettaglio, questo gruppo di persone ha cercato – secondo la procura europea – di “garantire che una delle società fosse autorizzata a vendere dispositivi medici robotici per diversi ospedali in Croazia”. Dei microscopi chirurgici che, tra il giugno 2022 e il novembre 2024, sarebbero stati comprati dagli ospedali a prezzi gonfiati, accompagnati da laute ricompense in denaro per le persone coinvolte.
Il 15 novembre, però, Vili Beroš non è stato arrestato su mandato di EPPO, ovvero di quell’istituzione indipendente europea nata nel 2021 per indagare su frodi, corruzione e riciclaggio a danno del budget comunitario. Al contrario, Beroš è stato arrestato su mandato di USKOK, l’Ufficio croato per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
Come spiega infatti un secondo comunicato di EPPO, pubblicato il 21 novembre, la procura europea aveva previsto di condurre una serie di arresti e perquisizioni il 19 novembre, ma è stata bruciata sul tempo dalle autorità croate.
“Il 15 novembre 2024, EPPO ha appreso che USKOK aveva ottenuto ordini di perquisizione da parte del tribunale nei confronti di alcuni dei sospetti indagati da EPPO, venendo così a conoscenza dell'esistenza di un'indagine condotta dalle autorità nazionali su fatti di competenza dell’EPPO”, si legge nel secondo comunicato della procura europea.
L’esistenza di due indagini parallele sugli stessi reati può sembrare una curiosa coincidenza. Il contesto in cui si è sviluppata questa vicenda e lo stato dei rapporti tra Zagabria e il Lussemburgo, dove si trova la sede di EPPO, suggerisce ancora una volta il contrario.
Il 15 novembre, subito dopo l’arresto del ministro, la Procura di Stato croata (DORH) ha chiesto a EPPO di trasmettere il fascicolo completo relativo al caso Beroš, mentre EPPO ha a sua volta chiesto a DORH di trasferire il proprio fascicolo alla Procura europea.
Alla fine, il 19 novembre è stato il procuratore generale croato Ivan Turudić ad assegnare la competenza sul caso alla propria procura (DORH). La legge croata prevede infatti che in caso di conflitti di giurisdizione sia proprio il capo di DORH a decidere.
Secondo Turudić, i fondi europei (più precisamente quelli del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, RRF, meglio noto come NextGenerationEU) sarebbero stati coinvolti solo nel caso di un acquisto da parte dell’ospedale di Spalato, che in ultima istanza non è avvenuto. Insomma, secondo DORH, il danno è avvenuto esclusivamente alle casse dello stato croato.
È interessante però notare il punto di vista di EPPO al riguardo.
“Nel caso del Centro ospedaliero clinico di Spalato, il progetto ‘Approvvigionamento di un sistema per la chirurgia robotica’, con un valore stimato di 4,85 milioni di euro e interamente finanziato dall'RRF, non è stato assegnato alla società sospettata, nonostante la tangente offerta alla persona responsabile dell'ospedale e il fatto che il ministro della Salute abbia ricevuto la promessa di una ricompensa in denaro in cambio di un favore alla società sospettata" – si legge nel comunicato di EPPO, che prosegue – "La persona responsabile dell'ospedale ha rifiutato la tangente offerta e quindi non è stato ottenuto un indebito guadagno finanziario a scapito del bilancio dell’Unione".
Insomma, se il danno al budget comunitario non è avvenuto, è solo perché una persona si è opposta, non per il mancato interesse del ministro.
A rischio i fondi europei alla Croazia?
In seguito alla richiesta del procuratore generale croato, EPPO ha trasferito i propri documenti di indagine a USKOK, ma nel farlo si è rivolta alla Commissione europea esprimendo “preoccupazione riguardo alle violazioni dello stato di diritto in Croazia”.
In “una lettera formale” inviata all’esecutivo europeo, EPPO ha sottolineato “le sfide sistemiche della Croazia nel sostenere lo Stato di diritto” e ha chiamato in causa l'articolo 4 del regolamento (UE) 2020/2092 del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la tutela del bilancio dell'Unione europea.
In altre parole, EPPO chiede a Bruxelles di valutare se sia il caso di sospendere l’erogazione di fondi a Zagabria per salvaguardare il budget comunitario.
Tre sono i punti che preoccupano la procura europea: la designazione del procuratore generale croato come autorità per risolvere i conflitti di giurisdizione, che è “in contrasto con il diritto dell’UE”; il fatto che il procuratore generale, Ivan Turudić, abbia basato la sua decisione “esclusivamente sull'interpretazione di USKOK, senza dare all'EPPO la possibilità di esprimere la propria posizione, minando così l'imparzialità della risoluzione del conflitto”; e infine, il fatto che USKOK non abbia “comunicato la sua indagine su un progetto finanziato dall'UE, violando gli obblighi previsti dal regolamento EPPO”.
Per aggiungere qualche altro elemento di contesto, ricordiamo che Ivan Turudić è stato scelto dal parlamento croato come procuratore generale nel febbraio di quest’anno tra mille polemiche.
Considerato dall’opposizione come vicino all’HDZ, il partito del premier Plenković, Turudić è stato coinvolto prima della sua elezione in uno scandalo intercettazioni che ha mostrato la sua vicinanza a diverse personalità indagate o condannate.
Tra le sue prime dichiarazioni dopo l’elezione, il nuovo procuratore ha puntato il dito proprio contro EPPO, sostenendo che la Croazia “non avrebbe dovuto adottare quell’istituzione” e che “molti paesi non ce l’hanno”.
Ad oggi, però, solo tre paesi dell’Unione Europea non hanno aderito alla cooperazione rafforzata che prevede la procura europea: Danimarca, Ungheria e Irlanda.
“Insoddisfatto, deluso e arrabbiato”
Di ritorno a Zagabria, infuria la polemica politica. Vili Beroš è il secondo ministro di un governo Plenković ad essere arrestato mentre ancora in carica. La stampa croata accusa il procuratore generale Turudić di aver mentito a EPPO pur di appropriarsi dell’indagine in corso, mentre il presidente Zoran Milanović (socialdemocratico) sostiene che la Croazia, agendo così, sta dimostrando di non essere in grado di risolvere da sola il problema della corruzione.
“La gente guarda oggi a EPPO nel modo in cui dovrebbe in realtà guardare a USKOK”, ha commentato l’editorialista politico Tomislav Klauški , secondo cui “è ora chiaro perché Plenković ha insistito tanto per avere Turudić al posto di procuratore generale”.
Dal canto suo, il premier – in sella da otto anni nonostante le decine di scandali – ha tentato l’ennesimo slalom.
“Sono insoddisfatto, deluso e arrabbiato, e lo sareste anche voi se foste al mio posto. Proprio per questo, è stata convocata questa conferenza stampa. Ma siamo tutti convinti che si tratti di un caso limitato ad un individuo e sulle cui decisioni, a quanto ho capito, noi come governo non abbiamo mai avuto alcuna influenza”, ha detto Plenković durante la conferenza stampa del 15 novembre.
Come i precedenti trenta ministri beccati con le mani nel sacco, anche Beroš sarebbe una mela marcia, un caso isolato, del cui comportamento il governo non sapeva nulla.
Nei confronti dell’ex ministro, il premier si è peraltro mostrato piuttosto benevolo. Prima di lasciare il suo ufficio, Vili Beroš (che sarà presto rimesso in libertà ) ha fatto domanda di poter usufruire della formula “6+6” , ovvero, invece di far valere il diritto di ritrovare il suo posto di lavoro all’ospedale pubblico KBC Sestre milosrdnice dove era impiegato prima di entrare nella squadra di Plenković.
Beroš ha chiesto di continuare a ricevere lo stipendio di ministro e vicepremier per altri 12 mesi: i primi sei al 100% (4700 euro) e i successivi sei al 50%. Il governo ha approvato la richiesta e il tutto suona come una curiosa ricompensa.