La città di Rafah, nella Striscia di Gaza, dopo un attacco israeliano © Anas-Mohammed/Shuttesrtock

La città di Rafah, nella Striscia di Gaza, dopo un attacco israeliano © Anas-Mohammed/Shuttesrtock

Di fronte alla guerra in Israele e alle notizie che stanno giungendo dalla Striscia di Gaza, la Croazia, così come il resto del mondo, è più spaccata che mai. Ma c'è veramente dell'empatia da parte dei croati? E a chi è diretta? Il commento di Boris Dežulović

22/11/2023 -  Boris Dežulović

(Originariamente pubblicato sul portale Novosti , il 4 novembre 2023)

E se provassimo a svincolare le storie, che ogni mattina arrivano dal Medio Oriente, dalle coordinate geografiche precise, ad accostarci alle dolorose testimonianze senza alcuna chiave di lettura? Se provassimo a nascondere i distintivi sulle uniformi degli assassini e ad oscurare i nomi delle vittime nelle terribili notizie, come ad esempio quella sul giornalista palestinese Wael Al-Dahdouh, il quale ha perso la moglie, la figlia, il figlio e un nipote, o quella sulla povera ragazza ebrea Shani Louk, di cui qualche giorno fa è stata ritrovata solo la testa mozzata?

Di fronte alla guerra in Israele e alle notizie che stanno giungendo dalla Striscia di Gaza, la Croazia, così come il resto del mondo, è più spaccata che mai. Questa volta la spaccatura è tra chi sta inondando i social di stelle di David e chi invece di bandiere palestinesi ostentando empatia. Una società nettamente divisa tra chi, insieme alla Zagabria ufficiale, sostiene il legittimo diritto degli ebrei all’autodifesa e chi invoca lo stesso diritto per i palestinesi. Quale sarebbe invece la posizione dei croati sui crimini perpetrati lungo la recinzione di Gaza se non riuscissero a distinguere se gli assassini appartenessero alle forze di difesa israeliane o alla guerriglia di Hamas, ossia se le vittime innocenti fossero gli abitanti dei kibbutz ebraici oppure i civili dei campi palestinesi?

In quel caso assisteremmo ad a) una prova, abbastanza credibile, di empatia per i morti o b) ad una subdola relativizzazione dei crimini?

Andiamo a vedere. Non costa nulla. A noi non costa nulla.

Ecco un esempio.

Era una mattina calda – un caldo per nulla insolito da quelle parti in quel periodo dell’anno – quando nel villaggio di K, nell’area di confine, si udirono le prime detonazioni cupe e le colonne di fumo iniziarono ad alzarsi all’orizzonte. Gli abitanti, in preda al panico, riuscirono solo a prendere i bambini e a rifugiarsi nell’edificio della vecchia scuola, situato a poca distanza dalle abitazioni. Nel villaggio, ormai svuotato, rimasero solo le pecore, le mucche, i cani e una quindicina di poveracci, troppo vecchi per fuggire, i quali non capivano cosa stesse accadendo o semplicemente non erano abbastanza veloci. Due anziani in qualche modo riuscirono a nascondersi dietro agli alberi più vicini e da lì qualche minuto dopo, pietrificati dalla paura, assistettero all’arrivo dell’esercito, che fece irruzione nel villaggio a bordo di jeep veloci.

Ce n’erano alcune decine, armati di bombe a mano e fucili automatici. Una volta scesi dalle loro jeep, si diressero verso le case, sfondando le porte e invitando le persone ad uscire. Alcuni istanti dopo si udì il primo colpo d’arma da fuoco, seguito da una breve raffica da un’arma automatica che tagliò l’aria torrida. Ben presto il villaggio venne coperto da un denso fumo nero impregnato di urla inumane, imprecazioni, preghiere, raffiche, pianti smorzati del bestiame e guaiti dei cani.

Un giorno un’inchiesta approfondita rivelerà cosa accadde esattamente quella mattina nel piccolo villaggio di K. nell’area di confine. Ad ogni modo, quando tutto finì e i primi abitanti osarono ritornare, trovarono solo carcasse di animali e cadaveri mutilati che giacevano nei vicoli polverosi, sulle soglie delle porte, nelle cantine e nelle stalle. Alcuni furono uccisi a colpi d’arma da fuoco, altri fatti saltare in aria, ad alcuni fu tagliata la gola, altri furono dati alle fiamme: una donna giaceva senza testa, un’altra fu ritrovata nuda e violentata, un’altra ancora fu bruciata viva in una stalla insieme al bestiame. Alcuni osservatori e attivisti contarono quattordici corpi massacrati – dei quali ben nove donne! – nel piccolo villaggio di K. lungo il confine.

Ebbene.

Cosa cambia il distintivo sull’uniforme dell’aggressore, ossia l’appartenenza nazionale e religiosa della vittima nella percezione croata di questo terribile crimine, rigorosamente ricostruito – lo sottolineo – sulla base dei resoconti delle associazioni per i diritti umani e dei testimoni oculari? Il nostro atteggiamento verso questo crimine dipende esclusivamente dal fatto che il villaggio di K. in realtà sia il kibbutz di Kissufim o il campo profughi di Khan Yunis, ossia dal fatto che quegli assassini a bordo delle jeep fossero membri di Hamas – che quella mattina sfondarono la recinzione al confine con la Striscia di Gaza e, mossi da un’ira vendicativa, fecero irruzione nei kibbutz ebraici uccidendo e bruciando tutto ciò che trovavano sul loro cammino – o membri dell’esercito israeliano che una settimana dopo, anche loro mossi da un’ira vendicativa, irruppero nei campi profughi palestinesi dall’altra parte della recinzione, uccidendo e bruciando tutto ciò che trovavano sul loro cammino?

L’empatia di una Croazia nettamente divisa davvero dipende solo dal fatto che le donne anziane massacrate, stuprate e bruciate vive nel villaggio di K. fossero le emigrate ebree, che ottant’anni fa sopravvissero all’Olocausto, o le donne palestinesi che per tutti quegli anni vivevano nella propria terra come se fossero in esilio?

Va bene, è un vecchio trucco. Manca il contesto. A pensarci meglio però, il contesto lo conoscete tutti. In realtà, il contesto importa ben poco. Anzi, ai fini di questo esperimento e della vostra piccola risoluzione personale, potete fare riferimento allo stesso contesto che finora avete utilizzato per interpretare il Medio Oriente. Per questa equazione è del tutto sufficiente sapere che il massacro nel piccolo villaggio di K. è effettivamente accaduto e che è stato provato in modo inconfutabile che è accaduto nel modo sopra descritto. L’unica incognita resta il distintivo sulle uniformi dei soldati.

E la data esatta: gli assassini hanno fatto irruzione nel piccolo villaggio di K. al mattino presto del 7 ottobre quando Hamas ha lanciato un attacco improvviso contro Israele, o qualche giorno fa, quando l’esercito israeliano ha completamente tagliato la Striscia di Gaza fuori dal mondo digitale, intraprendendo un’offensiva di terra?

Oppure tutto è accaduto prima?

Siete sulla buona strada: il crimine che ho descritto non risale allo scorso 7 ottobre né ai giorni successivi, essendo accaduto molto tempo fa, per la precisione ventotto anni fa, due anni dopo che il premier israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat, sotto l’egida del presidente statunitense Bill Clinton, alla Casa Bianca firmarono solennemente gli Accordi di Oslo. Questo contesto storico cambia qualcosa?

Forse cambierà qualcosa quando emergerà che il villaggio di K, teatro degli orrori descritti, si trova in un Oriente assai più vicino e in realtà si chiama Kijani – un villaggio situato nei pressi di Gračac in cui i membri dell’esercito croato fecero irruzione l’8 agosto del 1995, all’indomani dell’operazione militare Oluja [Tempesta], e con una ferocia inaudita uccisero quattordici abitanti, perlopiù anziani e inermi, che non fecero in tempo a fuggire o semplicemente preferirono rimanere. Tra le vittime c’erano nove donne: una fu ritrovata con la testa mozzata, un’altra fu violentata prima di essere uccisa, un’altra ancora venne data alle fiamme in una stalla insieme alle mucche.

Il massacro di Kijani non solo non è l’unico crimine commesso dopo l’operazione Oluja, ma non è nemmeno il più noto: quell’estate da Varivode a Grubori furono uccisi almeno seicento civili serbi, perlopiù anziani, che accolsero l’invito del presidente Franjo Tuđman a rimanere nelle loro case. Il contesto? È del tutto irrilevante se nell’agosto nel 1995 la Croazia fosse paragonabile alla Palestina, con un diritto storico ad avere un proprio stato, o a Israele, con un diritto storico a difendere il proprio stato. Per la nostra equazione è sufficiente sapere che il massacro a Kijani nei pressi di Gračac è effettivamente accaduto e che è stato provato in modo inconfutabile che è accaduto nel modo sopra descritto. L’unica incognita sembra però essere il crimine stesso.

Se da un lato conoscono perfettamente la storia dello stato israeliano e la lotta palestinese per la libertà – trascorrendo notti intere a navigare freneticamente sui social, condividendo immagini degli orrori a cui si assiste in Medio Oriente e contando accuratamente i morti, senza perdere l’occasione di esporre bandiere palestinesi e stelle di David sulle piccole finestre virtuali, accendendo candele, versando fiumi artificiali di lacrime, discutendo con toni acuti su chi ha iniziato per primo, per tutto il tempo offendendo le rispettive madri ebree e musulmane – dall’altro gli esperti croati di Medio Oriente, i giudaisti di Facebook e gli arabisti di Twitter a tutt’oggi, a distanza di ventotto anni dall’accaduto, ancora non sanno nulla del massacro di Kijani.

In Croazia nelle ultime tre settimane si è scritto di più delle vittime innocenti intorno alla recinzione di Gaza, più lacrime sono state versate per loro, più imprecazioni sono state pronunciate, divinità maledette e amicizie rotte a causa dei crimini di Hamas e dell’esercito israeliano che negli ultimi ventotto anni, dall’operazione Oluja ad oggi, a causa dei crimini, altrettanto terribili, commessi dall’esercito croato. In quell’equazione la distinzione tra israeliani e palestinesi conta ben poco. La verità è che in Croazia non si è quasi mai discusso del massacro di Kijani, sui social non sono mai state accese candele per le donne di Kijani, figurarsi postare bandiere serbe.

Pur essendo stati uccisi esattamente come in questi giorni vengono uccisi i civili ebrei e palestinesi, negli ultimi ventotto anni la Croazia non si è mai divisa sui suoi cittadini sterminati a Kijani, Grubori, Varivode, Uzdolje, Žagrović, Plavno, Strmica, Oćestovo, Ivoševci, Lički Tiškovac, Morko Polje, mai si è spaccata su nessuna di quelle seicento vittime innocenti dell’operazione Oluja.

E quel test?

La soluzione, ovviamente, è la seguente: b) una mera relativizzazione dei crimini nella Striscia di Gaza e a) in Croazia, lo avrete già capito, non c’è mai stata alcuna empatia.