"Viviamo in un’epoca in cui, purtroppo, i diritti umani vengono sempre più spesso calpestati a livello globale, e si dimentica che la tutela dei diritti fondamentali è un obbligo degli stati". Intervista con la ombudswoman croata Tena Šimonović Einwalter
(Originariamente pubblicato sul portale Novosti , il 30 ottobre 2023)
L’Ufficio del difensore civico della Croazia è un organismo dotato di poteri propositivi e consultivi, la cui collaborazione con le istituzioni dello stato dipende sostanzialmente dalla buona volontà di queste ultime. Ogni anno, il difensore civico presenta all’opinione pubblica e al parlamento croato un rapporto sulla situazione dei diritti umani nel paese, rapporto che solitamente giunge all’ordine del giorno del parlamento con due anni di ritardo. Il portale Novosti ha incontrato l’attuale ombudswoman croata Tena Šimonović Einwalter per parlare del (mancato) rispetto dei diritti umani: dai discorsi d’odio nei confronti di migranti e minoranze al difficile esercizio del diritto alla casa e alla salute.
Nonostante l’avvicinarsi dell’inverno, i flussi migratori continuano, peraltro in un quadro geopolitico sempre più preoccupante. Com’è la situazione dei migranti in Croazia?
Bisogna capire che le migrazioni non si fermeranno mai. Guerre, cambiamenti climatici – l’essere umano aspira ad una vita migliore, è sempre alla ricerca della sicurezza. Non è certo un fenomeno nuovo nella storia dell’umanità, anche dalla Croazia si emigrava in massa. Oggi però assistiamo ad un discorso molto ostile diffuso da una parte dell’opinione pubblica e dell’élite politica, si invoca persino l’invio dell’esercito ai confini.
D’altra parte, è vero che la Croazia attualmente registra numeri assai elevati di richiedenti protezione internazionale. Dall’inizio dell’anno sono state presentate circa 60mila richieste, una cifra record considerando che l’anno scorso abbiamo registrato 13mila richieste e negli anni precedenti tra duemila e tremila.
La maggior parte dei richiedenti asilo è arrivata in Croazia in modo irregolare, anche perché per i cittadini di alcuni paesi le vie legali di immigrazione quasi non esistono. In precedenza alla stragrande maggioranza dei migranti giunti in Croazia veniva rilasciato un foglio di via. Ora invece molti decidono di presentare la domanda di protezione in Croazia, per poi proseguire il loro viaggio verso ovest senza aspettare la conclusione della procedura. E la situazione nei centri di accoglienza è ben lungi dall’essere rosea: scarseggiano i posti letto e le condizioni igienico-sanitarie sono inadeguate.
Non è però un problema circoscritto alla Croazia. L’Unione europea, purtroppo, non ha ancora adottato un approccio ampio ed efficace ai flussi migratori. Manca la solidarietà tra gli stati membri, così come manca la responsabilità politica quando si tratta di salvar vite umane. Stando ai dati dell’Agenzia dell’UE per i diritti umani, dal 2014 oltre 28mila persone hanno perso la vita nel Mediterraneo cercando di raggiungere l’Europa. Poi ci sono i trafficanti che approfittano senza scrupoli della sofferenza umana, ed è un fenomeno che bisogna combattere senza se e senza ma.
L’Europa però resta indecisa di fronte alla disperazione dei migranti e tutti gli occhi sono puntati sul nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. Sarebbe bene raggiungere un accordo sulla questione migratoria prima delle prossime elezioni europee.
Anche in Croazia con l’avvicinarsi delle elezioni assistiamo all’acuirsi di una retorica ostile ai migranti. Dov’è il confine tra libertà di espressione e discorsi d’odio? A chi spetta stabilirlo?
È già evidente che la retorica anti-migranti – una retorica che da qualche tempo ormai è diffusa in diversi stati membri dell’UE – sarà parte integrante dell’imminente campagna elettorale in Croazia. Questa dinamica è legata al fatto che la paura dell’ignoto rappresenta un elemento fondamentale del razzismo e della xenofobia. Quando questa paura viene alimentata quotidianamente diffondendo idee infondate, si finisce inevitabilmente col creare un clima pericoloso.
È curioso notare come questa paura dello straniero non sia corroborata dai dati ufficiali sulla criminalità tra i migranti. Se è vero che [in Croazia] le richieste di asilo hanno raggiunto cifre record, è altrettanto vero che i dati relativi ai crimini commessi dai migranti non sono tali da suscitare un fondato timore nei cittadini. L’odio viene fomentato con un unico scopo, quello di conquistare facili punti politici.
Temo davvero che con l’avvicinarsi delle elezioni questa retorica possa acuirsi ulteriormente. Non tutti sono sempre in grado di distinguere chiaramente tra libertà di parola e discorsi d’odio. Pertanto, il nostro ufficio, come organismo con il compito di contrastare le discriminazioni e tutelare i diritti umani, continuerà a monitorare la situazione e a mettere in guardia sulla necessità di tracciare un confine tra libertà di espressione (compreso il discorso politico) e linguaggio d’odio.
Ci dobbiamo preoccupare per la recrudescenza dei discorsi d’odio?
Continuo a sperare che i miei timori su questa questione si rivelino esagerati. Assistiamo al diffondersi di un discorso che mette in cattiva luce non solo i migranti, ma anche i serbi, i rom e altre minoranze nazionali. Voglio però credere che quelli che sui social si lasciano andare ai commenti ostili nei confronti dei migranti e delle minoranze rappresentino solo una piccola parte della popolazione. Però è la parte più rumorosa, anche perché i social non sono regolamentati dalla legge sui media elettronici che permette di stabilire la responsabilità per i commenti agli articoli pubblicati sui vari portali.
La Commissione europea ha compiuto un passo positivo adottando un codice di condotta per le grandi piattaforme digitali che consente di rimuovere contenuti problematici. Recentemente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso una sentenza che stabilisce la responsabilità individuale di un uomo politico, condannato non per aver pubblicato un contenuto illecito, ma per non aver cancellato un commento [contenente messaggi d’odio, ndt] ad un suo post pubblicato su un social. Resta da vedere come evolverà la prassi volta a stabilire la responsabilità individuale per la pubblicazione e la rimozione dei contenuti d’odio che dilagano sui social.
Recentemente, la polizia croata è finalmente intervenuta arrestando alcuni tifosi che, durante una partita di calcio a Osijek, hanno cantato canzoni ustascia. Alcuni giorni dopo però, durante un’altra partita a Velika Gorica, il ministro della Giustizia Ivan Malenica, presente tra il pubblico, non ha reagito in alcun modo quando dagli spalti si sono levati cori ustascia. Lei come spiega questa riluttanza ad assumere pubblicamente una presa di posizione responsabile, riluttanza che accomuna molti rappresentanti del potere?
I canti ustascia e i simboli d’odio certamente rappresentano un problema. La procura dovrebbe perseguire penalmente le persone che cantano le canzoni e utilizzano la simbologia che incita all’odio, e poi queste persone dovrebbero essere sanzionate poiché si tratta di comportamenti vietati dalla legge. È importante proseguire in questa direzione in modo coerente così da inviare un messaggio all’opinione pubblica sull’illiceità di tali comportamenti. Un messaggio che, come spesso sottolineo, può partire anche dalle persone pubbliche, e soprattutto dagli alti funzionari dello stato, che dovrebbero condannare simili episodi illeciti in modo chiaro e inequivocabile.
È risaputo che un clima sociale negativo, in cui proliferano i discorsi d’odio che poi spesso sfociano in crimini d’odio, si diffonde soprattutto in tempi di crisi economica. Ritiene che l’attuale situazione economica della Croazia sia un terreno fertile per una possibile escalation di odio?
Quanto più i tempi sono incerti e duri, anche dal punto di vista economico, tanto più risulta facile conquistare nuovi sostenitori promuovendo un discorso ostile alle minoranze. Stando ai dati resi noti dall’Istituto croato di statistica (DZS), nel 2022 in Croazia il tasso di rischio di povertà si è attestato al 18%. Quindi, quasi un croato su cinque è a rischio di povertà e, sempre secondo i dati del DZS, un quarto della popolazione fatica ad arrivare a fine mese.
Viviamo in tempi incerti, segnati da un continuo proliferare di guerre e conflitti, ma anche dall’acuirsi di varie problematiche. Poi ci sono i terremoti, le alluvioni, il rischio di nuove epidemie… tutto questo suscita incertezza. Infine, ci sono le vecchie divisioni e i pregiudizi, spesso persino l’odio verso le minoranze. Alcuni pregiudizi diffusi nella società croata sono di vecchia data, come quelli verso i serbi, i rom, le persone LGBT; altri invece sono più recenti, penso ad esempio ai pregiudizi nei confronti dei lavoratori stranieri. È vero che i discorsi d’odio di vario tipo spesso sfociano in atti discriminatori, talvolta anche in crimini d’odio, com’è anche vero che varie forme di malcontento rischiano di esacerbare i conflitti sociali. Tuttavia, attualmente la situazione non è così cupa e non bisogna esagerare nelle valutazioni e nelle ipotesi. È importante però evitare di normalizzare il linguaggio d’odio, e i crimini d’odio devono essere perseguiti in modo adeguato.
Ritiene che lo stato croato abbia fatto abbastanza per permettere ai cittadini di soddisfare due dei bisogni fondamentali dell’essere umano, ossia di esercitare appieno il diritto alla casa e alla salute?
Questo è un problema che non riguarda più solo alcune fasce della popolazione. La povertà è inestricabilmente legata alla possibilità di esercitare i diritti fondamentali. Mi soffermerei in particolare sull’assistenza sanitaria. La maggior parte dei ricorsi che abbiamo ricevuto l’anno scorso riguarda proprio l’accesso ai servizi sanitari: liste d’attesa, poche informazioni, cure inadeguate, etc. Considerando la crisi sociale ed economica che attraversiamo, le misure di sostegno ai cittadini devono essere più accessibili, i sistemi devono essere coordinati con maggiore efficacia, soprattutto il sistema sanitario.
Bisognerebbe finalmente creare anche un sistema abitativo che preveda la costruzione di alloggi sociali a prezzi accessibili. Si è iniziato a lavorare ad una nuova strategia in questo ambito ed è una buona notizia. Il programma esistente – secondo cui le amministrazioni locali e regionali sono obbligate a fornire alloggio ai cittadini in situazioni di crisi – non funziona perché vi è un continuo scaricabarile delle responsabilità tra i vari livelli di governo. L’assistenza abitativa è regolamentata da diverse leggi rivolte a specifiche categorie di soggetti, quindi si assiste spesso ad un sovrapporsi di trattamenti e criteri diversi.
A questo punto la domanda sorge spontanea: cos’è un alloggio adeguato e quante persone – che non sono registrate come senzatetto – vivono in condizioni del tutto inadeguate, in spazi estremamente umidi senza elettrodomestici e senza riscaldamento? Il sostegno ai più poveri è inadeguato, l’accesso ai servizi sociali è limitato, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza agli anziani, le cure domiciliari, le case di riposo, etc.
Abbiamo registrato un calo dei beneficiari dell’assegno minimo, destinato alle famiglie più povere: 11mila in meno rispetto a quattro anni fa. Ci siamo rivolti alle autorità chiedendo spiegazioni su questa diminuzione, abbiamo anche chiesto un’analisi, che però non è mai stata condotta.
Al suo ufficio sono pervenute numerose lamentele riguardanti la ricostruzione post sisma, soprattutto nella zona di Banija. Nel frattempo, i villaggi container, destinati agli sfollati, sono stati smontati. State ancora ricevendo lamentele da parte dei cittadini colpiti dal terremoto?
Alcuni cittadini hanno ormai perso la pazienza, decidendo di non rivolgersi più alle istituzioni, compreso il nostro ufficio. Mi sembra però che nel frattempo la comunicazione con la popolazione sia migliorata e che la ricostruzione proceda ad un ritmo più spedito rispetto all’anno scorso. Abbiamo insistito affinché i villaggi container, concepiti come alloggi temporanei, venissero chiusi perché non erano adatti ad ospitare gli sfollati per così tanto tempo. Siamo contenti che si sia deciso di chiuderli, ma i problemi ovviamente non finiscono qui. Alcuni cittadini si sono lamentati del modo in cui sono stati trasferiti, ma anche delle condizioni dei nuovi alloggi, esprimendo un sentimento di incertezza riguardo alla durata della permanenza nella nuova sistemazione, sempre temporanea, e soprattutto riguardo alle tempistiche e i criteri di ricostruzione delle loro case.
Le persone che al momento del sisma vivevano in affitto sono particolarmente preoccupate, perché non hanno il diritto al sussidio per la ricostruzione e non possono permettersi di pagare l’affitto agli attuali prezzi di mercato, prezzi che peraltro sono saliti a causa della decisione dello stato di erogare un contributo per l’affitto alle persone colpite dal sisma, ma anche per via dell’aumento dei lavoratori coinvolti nella ricostruzione.
Sono contenta che anche chi prima del sisma viveva in affitto, ora abbia il diritto ad un alloggio temporaneo. Questo è il compito dello stato sociale: prendersi cura di chi non dispone di mezzi sufficienti per soddisfare i propri bisogni primari dopo una catastrofe. Ovviamente, i problemi causati dal sisma si sono sovrapposti ad alcune vecchie problematiche, rimaste irrisolte, riguardanti il programma di ricostruzione post-bellica e l’assistenza abitativa ai proprietari dei beni immobili che [dopo la guerra] non sono mai riusciti a far valere i propri diritti.
Il suo rapporto annuale di solito viene inserito all’ordine del giorno del parlamento croato due anni dopo la pubblicazione. Ritiene che questa dinamica rischi di sminuire l’importanza dell’istituzione del difensore civico e di privare le sue posizioni e raccomandazioni di qualsiasi valenza?
Mi piacerebbe che il parlamento ci fornisse un sostegno più forte e che la nostra istituzione venisse maggiormente rispettata e coinvolta in vari processi. Così non dovrei sempre sottolineare che il difensore civico rappresenta il parlamento, ed è peraltro l’unica istituzione, insieme appunto al parlamento, ad essere esplicitamente citata nella Costituzione della Repubblica di Croazia.
Le relazione pubblicate dal difensore civico dovrebbero essere discusse in parlamento nel corso dell’anno in cui vengono presentate poiché contengono dati e analisi aggiornate, e quindi sarebbe utile prendere subito in considerazione le raccomandazioni fornite. Ad oggi solo la Commissione parlamentare per i diritti umani e i diritti delle minoranze nazionali ha discusso il nostro rapporto per il 2022, decidendo all’unanimità di esaminare anche il rapporto del 2021 entro la metà di dicembre di quest’anno. Staremo a vedere se questa decisione verrà rispettata.
Lei è contenta del modo in cui vengono implementate le raccomandazioni contenute nei suoi rapporti annuali? Pensa che alcune istituzioni percepiscano l’ufficio del difensore civico come una realtà inutile?
Probabilmente c’è chi ritiene che il difensore civico sia un’istituzione superflua, penso ad esempio ai decisori politici a cui non piace essere criticati e preferirebbero che il difensore civico, se proprio non può sparire, fosse più silenzioso e passivo.
Credo che anche una parte della popolazione percepisca l’ufficio del difensore civico come poco efficiente e sostanzialmente debole perché non dispone di prerogative che gli permettano di ribaltare certe tendenze. Inoltre, vi è una scarsa comprensione del ruolo del difensore civico e dei meccanismi di funzionamento di un organismo indipendente. Le istituzioni dello stato a volte non rispondono nemmeno alle nostre richieste, oppure rifiutano di fornirci le informazioni necessarie. Se l’ufficio dell’ombudsman non gode del rispetto e della collaborazione degli organismi del potere esecutivo e del sostegno del potere legislativo non può adempiere ai suoi compiti e produrre risultati desiderati.
Viviamo in un’epoca in cui, purtroppo, i diritti umani vengono sempre più spesso calpestati a livello globale, e si dimentica che la tutela dei diritti fondamentali è un obbligo degli stati. Gran parte dei cittadini ritiene che i diritti umani siano un concetto meramente teorico e astratto, completamente slegato dalla vita quotidiana. In realtà, i diritti umani riguardano quelle situazioni di vita con cui ognuno di noi, ogni giorno, deve fare i conti. Il compito della nostra istituzione non è solo di raccogliere lamentele, ma di intraprendere diverse azioni per aiutare i cittadini, anche quelli che non si rivolgono a noi, a risolvere certi problemi. Per fare il nostro lavoro abbiamo però bisogno di un contesto adeguato.