Una serie di attacchi contro membri della minoranza serba di Croazia destano preoccupazione. Sia l'opposizione che il partito della minoranza serba che appoggia il governo Plenković temono la situazione degeneri
A che punto è la convivenza tra croati e serbi in Croazia? I fatti degli ultimi giorni, che hanno registrato una serie di attacchi a membri della minoranza serba in diverse località del paese, fanno pensare che l’ultimo stato membro dell’Unione europea non sia ancora riuscito ad instaurare un modus vivendi stabile e sereno tra le due comunità e questo, a quasi trent’anni dalla fine delle ostilità con la Serbia. Al contrario, il leader del Partito serbo democratico indipendente (SDSS), Milorad Pupovac, parla di un paese, la Croazia, che si sta trasformando "in un fattore di instabilità per la regione" e nel quale la tolleranza inter-etnica «non è buona». La reazione sdegnata del Primo ministro Andrej Plenković alle parole di Pupovac non cambia la realtà delle cose: a pochi mesi dall’assunzione del semestre di presidenza europeo, la Croazia mostra di avere un problema con la minoranza serba.
Attacchi a Knin
L’ultima ondata di tensioni con la comunità serba è iniziata circa una settimana fa, lo scorso 21 agosto, quando in due villaggi nei pressi di Knin sono stati registrati due violenti attacchi. A Đevrske, due persone di età compresa tra i 25 e i 28 anni hanno insultato (usando dispregiativi etnici) i gestori di un bar in cui si stava guardando la partita di Champions League tra la Stella Rossa di Belgrado e gli svizzeri della Young Boys.
In contemporanea, nella vicina Uzdolje, una dozzina di persone sono entrate a volto coperto in un altro bar e, armati di mazze e un machete, hanno preso d’assalto il locale. Cinque persone sono rimaste lievemente ferite, tra cui un bambino di nove anni. Se i due assalitori di Đevrske sono stati immediatamente riconosciuti ed arrestati, per il caso di Uzdolje c’è voluto più tempo. Ma mercoledì 28 agosto, otto persone sono finite in manette con l’accusa di violenza armata (tutti ultrà dell’Hajduk di Spalato). Secondo quanto riportato dalla stampa croata, rischiano dai sei mesi ai cinque anni di prigione.
La violenza dei fatti di Knin ha inevitabilmente scatenato un dibattito politico sul caso. Davor Bernardić, il leader del Partito socialdemocratico (SDP), all’opposizione, ha dichiarato che "purtroppo, questi sono solo alcuni degli attacchi contro i serbi di Croazia registrati sotto questo governo". "La cosa non mi stupisce - ha proseguito Bernardić - perché siamo di fronte ad un esecutivo che tollera l’uso del saluto ustascia Per la patria, pronti!".
Intervenendo all’indomani degli attacchi, il premier Andrej Plenković ha espresso una ferma condanna, augurandosi un’inchiesta rapida. Plenković ha anche sottolineato come il proprio esecutivo sia sostenuto dalle minoranze nazionali, a dimostrazione - dice - dell’attenzione che porta a queste tematiche. Meno chiara, la capo di Stato Kolinda Grabar-Kitarović (candidata alle presidenziali di fine anno) ha detto: "Condanno ogni violenza, ma commenterò l’incidente di Knin dopo che avrò ricevuto una relazione dettagliata della polizia".
Violenza a Fiume?
Il dibattito attorno ai fatti di Knin non si era ancora spento che ecco un nuovo caso venire a turbare le relazioni tra serbi e croati. A Viškovo, nei pressi di Fiume, la lite tra un 70enne serbo e un 42enne croato per delle questioni di parcheggio si sarebbe trasformata, sabato 24 agosto, in una violenza fisica su base etnica. Il condizionale, però, è d’obbligo in questo caso perché, stando a quanto riporta la stampa croata, Matko Škalamere, un impiegato del soccorso alpino croato, assicura di non aver mai toccato l’anziano vicino di casa, tantomeno di averlo insultato perché serbo. E questo mercoledì, il tribunale di Fiume, sentiti tutti i testimoni, ha deciso di rimettere in libertà Škalamere, inizialmente sottoposto a un fermo di trenta giorni. Il caso potrebbe dunque ritenersi chiuso, se non fosse che l’Armada, il gruppo che riunisce gli ultrà di Fiume, ha organizzato mercoledì sera una manifestazione di sostegno a Škalamere, allungando così ulteriormente una vicenda forse durata già troppo.
Queste vicende mostrano dunque bene quale sia lo stato dei rapporti tra serbi e croati in Croazia e quanto poco basti a fare di un battibecco tra vicini una questione nazionale, destinata a finire in prima pagina dei maggiori quotidiani. Dopo che nel febbraio scorso tre giocatori della squadra di pallanuoto belgradese Stella Rossa erano stati attaccati a Spalato (con uno di loro che si era gettato in acqua per fuggire agli assalitori) e dopo che ad inizio estate un altro serbo era stato aggredito nella città dalmata perché aveva su di sé "un tatuaggio provocatorio" (la menzione di Knin in cirillico e una citazione dell’imperatore serbo Lazar), quest’estate pare non sia passata settimana senza che si parlasse di minacce o attacchi ai serbi, o semplicemente senza che fosse questione, sulla stampa, dello stato della minoranza serba, che si vede malvista, se non apertamente presa di mira.
Nuove tensioni
È probabilmente a questo stato delle cose che pensava Milorad Pupovac durante la sua intervista al portale bosniaco Radiosarajevo.ba sabato scorso. Il presidente del Partito serbo democratico indipendente (SDSS), che pur sostiene con il suo voto il governo conservatore di Zagabria, ha dichiarato che nonostante alcuni trend negativi siano stati fermati "temporaneamente" con l’arrivo di Andrej Plenković al governo, "negli ultimi due o tre mesi, notiamo un crescente numero di atti di violenza nei confronti di persone, delle loro proprietà o del loro background etnico".
È per questo, spiega Pupovac, che "la Croazia sta diventando un fattore di instabilità nella regione", dati i continui tentativi di riabilitare l’ideologia ustascia. Queste affermazioni hanno fatto saltare sulla sedia il Primo ministro, che ha indetto una riunione urgente dell’HDZ e ha dichiarato che considera "inappropriate e inammissibili le frasi del nostro alleato, che suggeriscono che la Croazia sia un fattore di instabilità e la comparano allo Stato indipendente di Croazia (NDH)".
"Tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi tre anni aveva come obiettivo la riduzione della polarizzazione della società croata", ha proseguito Plenković che ha chiesto a Pupovac di non contribuire a dividere ulteriormente la società croata.
Mercoledì, il leader dell’SDSS ha chiuso il battibecco annunciando di non voler fare ulteriori commenti, ma intanto altri fatti sono purtroppo venuti a turbare le relazioni serbo-croate. A Belgrado, la celebre squadra di calcio Stella Rossa ha deciso di piazzare un carro armato davanti al proprio stadio, al fine di sostenere i giocatori, impegnati nella gara di ritorno contro gli svizzeri della Young Boys.
Il mezzo in questione è un T–55 sovietico, di quelli che aveva in dotazione l’armata federale jugoslava (Jna) e che furono usati anche durante le guerre degli anni Novanta. Inutile dire che per la stampa croata, il T–55 suona come una provocazione, legata all’assedio di Vukovar. Jutarnji List, ad esempio, ha ricordato come, appena due anni fa, i tifosi della squadra di basket Stella Rossa avevano già sventolato uno striscione con la scritta «Vukovar» mentre dagli spalti campeggiava proprio il disegno di un carro armato.
Un gesto puramente «sportivo» rispondono dalla Stella Rossa di Belgrado, con tanto di intervento del ministro dell’Interno serbo Nebojša Stefanović che ha assicurato che non ci sono gli estremi per la rimozione del mezzo che "non ha più niente di esplosivo".
Intanto, però, per la minoranza serba che vive in Croazia, l’iniziativa della squadra di calcio belgradese non aiuta di certo. In un susseguirsi di attacchi e provocazioni etniche, spesso firmate da tifosi di calcio, la politica croata avanza a scossoni, cercando di tenere la barra al centro mentre cresce nuovamente il peso dell’estrema destra. Allo storico croato Hrvoje Klasić, un gruppo che si è firmato «gli ustascia» ha appena scritto in una lettera: "Verremo al tuo funerale in camicia nera e grideremo Per la Patria, pronti!". La situazione è ormai più che seria nell’ultimo stato membro dell’Unione.