Nonostante la Croazia sia molto vicina all'ingresso nell'Unione europea, la situazione concernente i diritti umani è piuttosto allarmante. E' questa la denuncia del settimanale di Spalato Feral Tribune, secondo il quale i diritti umani sono in significativa caduta rispetto a dieci anni fa. Nostra Traduzione
Di Bojan Munjin, Feral Tribune, 13 gennio2006 (Idila u modricama)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Per una sorta di auto inganno, la gente in Croazia oggi crede di vivere sempre meglio, ma sostanzialmente si sente sempre peggio. Nonostante sembri ormai che siamo diventati un paese normale, a giudicare da molte questioni, nel 2005, i diritti umani sono in significativa caduta rispetto al 1995 e al periodo d'oro della HDZ (Unione democratica croata, ndt.). E mentre ci si satura di continuo con una realtà scadente, i problemi sostanziali, masticati già un migliaio di volte, difficilmente diventano il tema del giorno.
La depressione come stile di vita e l'avvilimento come abito per tutte le stagioni, sono presenti ovunque, ma del problema che più grava sulla gente si parla (pubblicamente) di meno: la privazione dei diritti degli strati più ampi della società già da anni segna degli indici costantemente drammatici, anche se il tessuto sociale di regola reagisce all'orrore della sopravvivenza con i riflessi di un cavallo morto.
Benché nel primo articolo della Costituzione della RH (Repubblica di Croazia, ndt.) sia scritto che la Croazia è uno "stato sociale" niente, in realtà, è più lontano da questa edulcorata formulazione abbellita di spirito nazionale. Da tempo l'amministrazione statale ha adottato, per esempio, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, ma oggi non c'è nessuno che in pratica sappia cos'è. Gli impiegati statali erano obbligati ad inviare all'ONU un rapporto su come è in verità la carta sociale croata, ma come è accaduto con l'applicazione degli altri standard internazionali, i risultati momentaneamente sono finiti sotto il tappeto. Ciò che si sa, secondo l'opinione di Gojko Bezovan, docente alla Facoltà di Legge di Zagabria, è che in Croazia solo il cinque per cento della gente vive secondo gli standard europei, il quindici per cento soffre la fame, il trenta per cento vive sull'orlo della povertà e il cinquanta per cento si arrangia.
Una lentezza che fa impazzire
Questa affermazione non è lontana dalla verità se teniamo presente che in Croazia, un paese di quattro milioni di abitanti, ci sono un milione e duecentomila pensionati, trecentocinquantamila disoccupati, circa novecentomila occupati hanno in media uno stipendio di 4.200 kune, e il resto sono bambini. Considerando che la politica sociale e le misere 450 kune di aiuto sociale mensile da anni sono immutate, che sulla povertà dei bambini in Croazia si potrebbe scrivere un intero studio dal contenuto fosco, il quadro sociale globale anche nel 2005 assomiglia all'idea di Tudjman sulle duecento famiglie più gli altri.
La cosa preoccupante, insieme alla micidiale lentezza su tutti i livelli dell'amministrazione statale, è che l'opinione pubblica e le organizzazioni non governative associate hanno molti motivi per parlare di questi problemi, anzi restano ferme e aspettano. Quando si tratta delle ONG, per molte di loro la solidarietà non abita più in Croazia, e l'attività in comune, l'impegno, il sacrificio e l'interesse per i diritti degli altri sono stati sostituiti dalla papirologia, dai "progetti" e dalla corsa senza fiato verso le donazioni. Quello che in Europa con tanto di orgoglio persuasivo viene chiamata la cittadinanza sociale (social citizenship), in Croazia è un sostantivo astratto, e questa inesistente cittadinanza croata è adagiata nella melma esistenziale fra il letargo politico e la sopravvivenza sociale.
Di regola essa si sveglia solo qualche volta, alla vista degli spettacoli sui campi sportivi oppure voltando la testa alle notizie sugli incidenti basati sull'intolleranza etnica. Da una parte gli spettacoli sportivi presentano un punto di vista molto schizofrenico della situazione dei diritti (sociali) croati, e dall'altra parte gli incidenti di intolleranza etnica indicano dove si trova realmente la Croazia, quando si tratta dei diritti fondamentali (politici). La nazione è caduta in uno stato d'euforia dopo la sortita di Janica Kostelic a Sljemen, benché la stradina di Sljemen costi quanto costa una frittata a San Pietro, cosa che è del tutto congruente all'ammontare annuo complessivo della previdenza sociale della Croazia, mentre una cinquantina di attacchi ai serbi che sono ritornati nel 2005, rappresentano un fatto che il pubblico interpreta all'incirca come un insolito fenomeno di asma, e non come uno scandalo sociale di prim'ordine.
Il simbolismo bucato
Non è possibile avere un impianto sciistico mondiale e sotto di esso una mensa pubblica per i poveri, come non è possibile credere nei valori europei e tollerare che i vecchi vengano picchiati e che succedano omicidi nei villaggi. Il problema è che oggi questi fatti non possono essere riportati all'orecchio di un cittadino medio croato. Secondo i rapporti preliminari del HHO (Comitato di Helsinki per i diritti umani della Croazia, ndt.), su trentaquattro casi di attacchi ai serbi, la polizia ne ha risolto solo uno, per il quale è stato seguito un trattamento giudiziario adeguato, sicché l'ammontare complessivo delle condanne giudiziarie per questi casi è uguale alle condanne per il divieto di sosta. La Croazia ha fatto una legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali e aveva il dovere di farne un'analisi dell'applicazione, ma come vivano le minoranze, in particolare i serbi, in una provincia dove tradizionalmente regnano la notte e la nebbia, lo sanno solo loro e il cielo che gli sta sopra.
In questo caso è caratteristico il rapporto del Forum democratico serbo: "Sul territorio del comune di Dvor, la minoranza nazionale serba è pari al 60 per cento della popolazione totale, in comune ci sono in totale 300 impiegati, di cui solo 7 sono di nazionalità serba che sono ritornati mentre circa 150 impiegati ogni giorno vengono a lavorare dalle altre parti della contea (Sisak, Petrinja, persino da Zagabria). Ci sono quadri qualificati all'interno della comunità serba, ma non riescono a ottenere lavoro. Una situazione simile la si trova pure sul territorio di Petrinje, dove momentaneamente ci sono 15.000 abitanti, circa 2000 sono occupati e nessuno dei membri della minoranza nazionale serba (ritornanti) è impiegata nei servizi pubblici, negli organi dell'amministrazione statale oppure nei corpi giudiziari.
Durante la celebrazione del Natale ortodosso a Zagabria si è riunita la crema politica e sociale al completo, sotto il patronato di Sanader e della HDZ, come se si trattasse di una canzone del festival di Eurovizija (che sul piano simbolico non è certo da trascurare), tuttavia la seduta del Comitato parlamentare per i diritti umani, secondo quanto detto dal suo presidente Furio Radin, sul tema degli attacchi ai ritornanti serbi è stata rimandata alla fine dell'anno, su proposta di quella stessa HDZ. Detto brutalmente, di questo simbolismo avrà ben poco da guadagnare per esempio il pensionato di settantacinque anni di Zagabria che viene picchiato per la terza volta dopo il ritorno dalla messa di Natale, e non l'avranno nemmeno i ritornanti ai quali, come per esempio nella Kostajnica croata, gli impiegati locali senza un'eccessiva gentilezza dicono: "Adesso che siete ritornati, per voi iniziano solo i veri problemi".
Questo autocompiacimento del super ego nazionale che si è trincerato fra una violenza di strada e il civettare con gli ideali della tolleranza è tanto ingenuo quanto immorale: i diritti umani in Croazia vengono rappresentati solo di principio, ma quando di persone concrete: dei rom, degli invalidi e dei senza tetto, non c'è nessuno. Il Governo croato (generalmente sotto le pressioni del Consiglio d'Europa), costantemente sventola il fantastico Programma nazionale per i rom che assomiglia di più ad un libro illustrato per bambini che ad una formula realizzabile per i problemi dei rom. E i rom, sui quali la polizia esercita la sua severità, disoccupati e visti con sospetto negli uffici pubblici - nel 2005 sono vissuti nello stesso miserabile modo come dieci anni fa. La giustizia croata è molto puntuale quando vengono fatte le denunce contro i rom, invece la lamentela dei genitori rom contro la separazione dei loro bambini dagli studenti "bianchi" nelle scuole a Medjimurje già da tre anni giace irrisolta presso il Tribunale costituzionale.
Un'opinione pubblica indolenzita
Nonostante nell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti umani (che vale anche per la Croazia) ci sia scritto che ogni processo legale deve essere "obbiettivo e concluso entro un termine ragionevole", la giustizia croata è schiacciata da un milione e trecentomila casi irrisolti, con un esercito di giudici dei quali la metà si è insediata dopo il grande massacro dei giudici della metà degli anni novanta ed è compromesso da dubbie sentenze che in Croazia hanno gettato "il mestiere più onesto del mondo" ai livelli più bassi. La sfiducia negli organi giudiziari è così diffusa che persino in casi così diametralmente opposti, quali l'accusa per tentato stupro della giocatrice americana di basket contro il tycoon di Gospic Jose Mraovic (che è stato liberato in modo scandaloso) e l'accusa per diffamazione contro Predrag Matvejevic (che è stato condannato in modo scandaloso) - è diventato un luogo comune mostrare all'opinione pubblica la posizione (nella quale in modo impossibile vengono uniti liberali e nazionalisti) che in questo sistema giudiziario andare in prigione in realtà rappresenta un onore.
Nell'atmosfera da ninna nanna dei media su come la Croazia in pratica è già entrata alla grande nell'Unione europea, l'anno scorso ci sono stati dei fatti molto pesanti e scomodi riguardanti attacchi e minacce di sgozzamento rivolte ai giornalisti, ci sono state molte lamentele per abuso di potere della polizia, ci sono state le morti di individui come Vesna Balenovic a INA e Svjetlane Lugar nel quartiere Travno di Zagabria e di Zorn Pusic perché hanno alzato la loro voce contro la corruzione, contro la chiesa o contro l'ingiustizia in generale.
L'anno 2005 per quanto riguarda la vera qualità della vita e dei diritti fondamentali degli strati più ampi della società non ha mostrato niente di nuovo, e il 2006 non sarà niente di meglio: ci lamenteremo che viviamo male, non faremo chi sa che cosa per vivere meglio e tutto - con un basso livello di violenza - avanzerà in modo terribilmente lento: prima per un sordo automatismo che per la logica del nostro coraggio e della nostra morale.