Dubravka Ugrešić - Foto di Shevuan Williams. Norman, Oklahoma 2016.

Dubravka Ugrešić - Foto di Shevuan Williams. Norman, Oklahoma 2016.

"Dalla parte croata del confine ci sono dei poliziotti con le zanne spalancate. Tra qualche mese inizieranno a umiliare i migranti, a rasare le loro teste contro la loro volontà e poi a marchiarle con uno spray, a impossessarsi dei loro cellulari e dei pochi soldi messi da parte". Intervista con la scrittrice Dubravka Ugrešić

02/04/2021 -  Dragan Grozdanić

(Originariamente pubblicato da Novosti , il 3 marzo 2021)

Recentemente, nell’ambito del progetto Fiume/Rijeka – Capitale europea della cultura 2020, è stata inaugurata la mostra “Crvena škola ” [La scuola rossa] della scrittrice croata Dubravka Ugrešić che presenta una raccolta di “reperti archeologici”, ovvero di figurine raffiguranti scene di vita scolastica, disegni ispirati ai libri di testo, edizioni originali dei vecchi abbecedari e libri scolastici dell’ex Jugoslavia e dell’est Europa. Novosti ha incontrato Dubravka Ugrešić per parlare del suo ultimo progetto, toccando anche alcuni temi sociali e culturali più ampi.

Su quali temi ha voluto richiamare l’attenzione con la mostra “La scuola rossa”? Cosa possiamo imparare visitando questa mostra?

Inizialmente prevista per marzo 2020, la mostra è stata posticipata a causa del coronavirus, o per qualche altro motivo. La mostra è frutto dell’impegno di Petar Milat del club MaMa e dell’Istituto multimediale di Zagabria, nonché di Nina Bačun e Roberta Bratović del collettivo di donne designer “Oaza” di cui fa parte anche Ivana Borovnjak, curatrice ed editrice di due libri illustrati per bambini che ho recentemente scritto. Alcune opere presentate alla mostra sono già state esposte dieci anni fa nella galleria del Centro creativo di Belgrado.

Con questa mostra non desidero richiamare l’attenzione su alcun tema particolare, e anche se volessi insegnare qualcosa a qualcuno sarebbe impossibile. Non sono competente in materia: non sono un prete, quindi non posso fare prediche. Ad ogni modo, la concorrenza è troppo forte. Ai preti, che sono decisamente troppi, fanno concorrenza i politici, a questi ultimi fanno concorrenza vari guru e guaritori, seguiti da influencer, intrattenitori e intrattenitrici, volontari (raramente anche volontarie) di guerra e tanti altri che ci tengono molto a far sentire la propria voce. La Croazia è un piccolo paese, ma i partecipanti alla gara dell’“attirare l’attenzione su di sé” sono molti. E il risultato è un chiasso uniforme e insopportabile.

Alla mostra di Fiume sono esposte le mie “piccole opere fatte in casa”, il mio “progetto archeologico”. E l’unica persona ad aver eventualmente imparato qualcosa da questa mostra sono io.

Allora, cosa ha imparato?

Ho imparato qualcosa su come funziona la scena culturale croata. Ho scoperto, ad esempio, che esiste una vivace dinamica parallela di cui non sapevo nulla. Se vivessimo in un ex sistema comunista, al posto della parola “parallela” userei più volentieri il termine “sotterranea”, cioè underground. E in quel piccolo mondo invisibile, in quell’underground culturale lavorano persone entusiaste, giovani, talentuose, istruite, capaci di tenere il passo con le tendenze mondiali, mentre la parte dominante e visibile della scena culturale croata segue quel principio volgare secondo cui è il più forte a decidere.

Ad ispirarla a scrivere il saggio “Tu nema ničega!” [Lì non c’è nulla!], accompagnato dalle fotografie di Davor Konjikušić e pubblicato dall’Istituto multimediale di Zagabria, sono state le terme e le spa di tutta la ex Jugoslavia, luoghi in cui – come ha scritto lei stessa – cadono i patriottismi. In che modo nelle terme – dove lei si reca per motivi di salute – il patriottismo viene messo alla prova?

Bisogna innanzitutto dire che le fotografie di Davor Konjikušić hanno un valore indipendentemente dal testo che accompagnano in questo libro e che Konjikušić è responsabile anche della veste grafica del catalogo della mostra “La scuola rossa”.

Il tema del mio saggio non è il patriottismo né il turismo termale, e nemmeno le terme in quanto tali, bensì una rete di molti significati possibili: fin dai tempi antichi le terme erano luoghi della purificazione, ma anche della contaminazione, luoghi della salute, ma anche della malattia, luoghi della vita e luoghi della morte. Le terme sono un palinsesto. Ho scelto intenzionalmente di raccontare una storia buia sull’oblio, la devastazione e la violenza da una prospettiva leggera e spensierata. E il paesaggio termale croato – nel libro viene menzionato anche il paesaggio serbo e quello sloveno – appare più o meno così: a pochi chilometri da Topusko, una località termale, si trova il confine croato-bosniaco e subito dopo il confine si trova un campo improvvisato per rifugiati, dove uno dei rifugiati ha pronunciato, davanti alle telecamere, la seguente frase in croato: “Lì non c’è nulla!”.

È da lì che deriva il misterioso titolo del suo saggio?

Sì. Mentre i turisti cinesi e coreani prendono costantemente d’assalto l’hotel termale e, dopo una breve pausa, proseguono il loro viaggio verso i laghi di Plitvice; mentre i giovani olandesi scendono dalla collina a bordo delle auto in stile Mad Max e distruggono la natura “incontaminata”, gli ospiti dell’hotel fanno ginnastica nella piscina termale.

A questo “paesaggio” aggiungete la Petrova Gora e il monumento di Vojin Bakić che oggi appare come un fantasma architettonico di Chernobyl. A questa scena ne aggiungete un’altra: la vicina città di Glina e un concerto che vede scatenarsi numerosi fan di Thompson. Poi tornate a Topusko e cercate il luogo in cui fu creato un paese che non c’è più, la Jugoslavia. Davanti all’albergo vi imbatterete in una targa su cui c’è scritto che quel luogo fu completamente distrutto nell’ultima guerra. Poi entrate nel territorio dell’altro paese, la Bosnia, e confrontatevi con l’inferno dei migranti, con i lager per rifugiati.

In molti hanno criticato le autorità croate per il trattamento riservato ai migranti, ma Zagabria sta cercando di mostrare un’immagine diversa da quella reale…

Dalla parte croata del confine ci sono dei poliziotti con le zanne spalancate. Tra qualche mese inizieranno a umiliare i migranti, a rasare le loro teste contro la loro volontà e poi a marchiarle con uno spray, a impossessarsi dei loro cellulari e dei pochi soldi messi da parte. Alle domande dei giornalisti – giornalisti stranieri, non quelli locali – i poliziotti risponderanno che tutti quei pakistani, siriani e iraniani mentono. Ma che cosa difendono e proteggono i poliziotti croati? Un bel niente, un nulla impressionante, molto più grande e impressionante di quel monumento di Bakić. Ecco, è di questo, e di tante altre cose, che parla il mio saggio. Ora provate a raccontare tutto questo a qualcuno e a tradurlo in una lingua straniera, e poi provate a trovare un lettore in grado di capirlo.

Forse un linguaggio allegorico sarebbe più facile da comprendere?

Forse un mito sarebbe più facile da comprendere. Il mito di Erisittone mi sembra il più appropriato. Il re Erisittone ordinò ai suoi uomini di abbattere gli alberi in un giardino di Demetra. Quando questi ultimi si rifiutarono di farlo, Erisittone prese in mano l’ascia e tagliando alberi uccise una ninfa. Fu punito con una fame insaziabile: più mangiava, più aveva fame. Quando mangiò tutto quello che si poteva mangiare, cominciò a vendere sua figlia alle fiere. La figlia di Erisittone aveva infatti la capacità di trasformarsi, da un momento all’altro, in qualsiasi cosa. Quando esaurì anche questa opzione, Erisittone divorò se stesso.

Questa è la storia della Jugoslavia, della dissoluzione, dell’abbattimento degli alberi, della punizione. Nei trent’anni di esistenza i nuovi staterelli non hanno creato nulla di nuovo, sopravvivendo mangiando i resti dell’ex Jugoslavia. Ora non c’è più nulla da mangiare, la popolazione è impoverita e affamata. E “le figlie”, che potrebbero essere usate come ultima risorsa, non ci sono. Tutte quelle che hanno potuto, sono scappate all’estero.

Recentemente il ministero della Cultura croato si è rifiutato di acquistare, tra i libri destinati alle biblioteche, l’edizione croata del celebre libro dello scrittore serbo Radomir Konstantinović “Filozofija palanke” [La filosofia del villaggio], motivando tale decisione con il fatto che vengono acquistati solo i libri in lingua croata. Un episodio che fa tornare alla mente gli anni Novanta e la purificazione della cultura croata dagli elementi “non croati”…

Vi è un aneddoto che racconto volentieri perché spiega in modo estremamente preciso come funziona un sistema, sia che si tratti di un sistema fascista, comunista, dittatoriale, mafioso o democratico. Ogni sistema poggia sul coinvolgimento della maggior parte delle cosiddette persone comuni. Un sistema non è una catastrofe naturale che colpisce all’improvviso un territorio e trasforma le persone in vittime inermi, bensì una “catastrofe” che è sempre il risultato di una partecipazione congiunta della maggior parte delle persone.

Ecco l’aneddoto. Una sera Stalin telefonò a Boris Pasternak e gli chiese: “Senti Borja, quel tuo collega, Osip Mandel’štam, è un bravo poeta?”. Pasternak rispose: “Non posso dirti nulla, Iosif Vissarionovč. Osip e io apparteniamo a due scuole poetiche completamente diverse”. Il giorno dopo il NKVD [Commissariato del popolo per la sicurezza dello stato] arrestò Mandel’štam che, dopo essere stato rinchiuso per ben due volte nei gulag, morì nel 1938.

Lei ha ragione, la purificazione della cultura croata non è mai finita. Ma resta la domanda: chi sta portando avanti questo lavoro con così tanta diligenza?

Allora chi è che in questi tempi bui continua a ripulire la cultura croata?

In Croazia i governi democratici ormai da trent’anni – ricordo en passant che il comunismo “repressivo” jugoslavo durò 45 anni – stanno attuando le loro strategie culturali che riguardano l’educazione e le istituzioni educative (dalla scuola elementare all’università), i media, la “cultura” (letteratura, cinema, etc.), le associazioni culturali (associazioni degli scrittori, etc.).

Nella cultura croata ormai da trent’anni assistiamo a fenomeni che sembrano essere sbucati fuori dai magazzini nazisti e staliniani, a partire dall’idea e la prassi di “rinnovamento spirituale”. Un processo che comprende la prassi di bruciare i libri “non croati”, la tendenza a ricanonizzare i sostenitori della cultura ustascia – da Vinko Nikolić a Mile Budak – e, di conseguenza, la prassi di stigmatizzare, criminalizzare e cancellare tutto ciò che è diverso. La lista dei nemici del regime democratico croato è piuttosto lunga. Del resto, anche lei e il suo giornale, e anche io stessa, siamo “i nemici” contemporanei della ricanonizzazione dell’ideologia ustascia.

Eppure, nessuno ha protestato contro la decisione del ministero di non acquistare il libro di Konstantinović…

Ma qualcuno – tra gli editori, filosofi, linguisti, scrittori, educatori – ha protestato contro la decisione del ministero della Cultura di non sostenere finanziariamente il nobile, ma a quanto pare inutile progetto di Dražen Katunarić [editore croato de “La filosofia del villaggio”]? Nessuno, a parte l’editore stesso e due, tre giornalisti. Non è forse vero che tra le persone incaricate di decidere quali pubblicazioni finanziare c’era anche Slobodan P. Novak, un protégé dell’ex sindaco di Zagabria Milan Bandić e il principale ideatore della caccia alle “vještice iz Rija” [“le streghe di Rio”, il riferimento è ad un episodio avvenuto nel 1992 quando, in occasione della conferenza del PEN tenutasi a Rio de Janeiro, cinque giornaliste e scrittrici croate, tra cui anche Dubravka Ugrešić, furono accusate dalla stampa croata di aver tentato di screditare la Croazia allo scopo di impedire che l’anno successivo il congresso del PEN si tenesse a Dubrovnik, finendo per essere esposte ad una vera e propria gogna mediatica, ndt]?

La maggioranza democratica dei kulturnjaci [esponenti del mondo culturale] appoggia la decisione del ministero. Se non l’appoggiasse, avrebbe già protestato, no? La decisione del ministero della Cultura è talmente sbagliata da poter essere contestata ricorrendo a vie legali? Il ministero ha il diritto di non sostenere finanziariamente la pubblicazione della traduzione rutena di un’opera di Shakespeare. Seguendo questa logica, il ministero si è rifiutato di acquistare il libro “La filosofia del villaggio” di Konstantinović perché scritto in una lingua del tutto sconosciuta – il serbo. Da qualunque parte la si guardi, questa vicenda è il risultato di una prassi culturale che dura ormai da trent’anni e che ha sempre goduto, e gode tuttora, dell’appoggio della maggioranza.

Prima ha menzionato “le streghe di Rio”, ma le giovani generazioni forse non sanno che anche lei fu vittima di questa campagna denigratoria lanciata dal settimanale Globus, soprattutto dopo aver pubblicato, nel 1992, un saggio intitolato “Čisti hrvatski zrak” [L’aria pulita della Croazia] in cui descrive l’euforia nazionalista di quell’epoca…

In parole povere, ci troviamo sempre nella stessa costellazione, poche cose sono cambiate negli ultimi trent’anni. Per di più, mi sembra che nella fase iniziale dello sviluppo della “realtà croata” ci fossero più voci e azioni critiche rispetto ad oggi. Ci sono ancora i veterani del pensiero critico, sempre molto bravi: Boris Dežulović, Viktor Ivančić, Boris Buden, Marinko Čulić, Milan Gavrović, Heni Erceg, Tomislav Jakić, per citare solo alcuni. Nel frattempo, ad essi si sono uniti anche alcuni registi teatrali e cinematografici e alcuni artisti concettuali. Ci sono anche alcune persone giovani, per ora invisibili sui media, che sono riuscite a sfuggire alle grinfie dell’istruzione umanistica croata studiando all’estero.

Tenendo a mente le parole dello scrittore Evgenij Zamjatin, secondo cui la vera letteratura può essere creata solo da pochi – folli, eremiti, eretici, sognatori, ribelli e scettici – , pensa che attualmente sulla scena letteraria croata ci siano dei veri scrittori?

Temo che quella formula di Zamjatin oggi non valga più. Nel frattempo la letteratura ha cambiato la sua funzione. Nel nuovo sistema lo scrittore è un content provider, cioè un fornitore di contenuti. Il lettore è un consumatore di quei contenuti, mentre l’editore è un uomo d’affari, un compravenditore. L’editore è colui che pubblica i libri pubblicati anche da altri editori. Solo un consenso culturale obbediente gli garantisce un successo. La lista di una decina di libri pubblicati in un anno in una ventina di lingue è il risultato di un consenso culturale globale. Il mercato letterario globale è omogeneizzato perché è riuscito a omogeneizzare la ricezione della letteratura. Ma il mercato globale della letteratura è ancora più ambizioso, farà di tutto pur di riuscire a presentare quella decina di libri pubblicati in un anno come opere di alto valore estetico. A volte si tratta di opere che hanno un valore letterario, ma nella maggior parte dei casi si tratta di prodotti mediocri o pessimi.

Nel frattempo, gli arbitri del gusto letterario sono scomparsi, sia quelli istituzionali, come i docenti universitari di letteratura, sia quelli ancora più convenzionali, come, ad esempio, le vecchie accademie delle scienze e delle arti. Al loro posto sono arrivati i nuovi arbitri autoritari. Con la scusa della lotta contro l’imposizione autoritaria di un determinato gusto letterario – a prescindere da dove questa imposizione arrivi – il mercato ha creato i suoi centri di potere, assumendo, al contempo, il ruolo di arbitro. A dire il vero, anche gli stessi lettori giudicano il valore delle opere letterarie in vari forum su Internet o sui loro blog. I giudizi dei lettori di solito coincidono con quelli degli editori, per cui viene da chiedersi se si tratti di lettori autentici. Ricordo una vignetta pubblicata sulla rivista The New Yorker in cui un cane, rivolgendosi ad un altro cane, dice: “Su Internet nessuno sa che sono un cane”.


Mostra virtuale Crvena škola (autore: Ivor Glavaš / Multimedijalni institut Zagrabria)